Key4biz

ilprincipenudo. ‘Quote obbligatorie’ per cinema e fiction made in Italy, manca la valutazione d’impatto (seconda parte)

Angelo Zaccone Teodosi

Abbiamo dedicato grande attenzione, su “Key4biz”, ad una delle più interessanti “querelle” che riguardano l’industria culturale italiana, ovvero il disegno legislativo voluto dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali ed il Turismo Dario Franceschini, che sta introducendo nel nostro Paese delle “quote obbligatorie” – nella programmazione televisiva e negli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo – più rigide di quelle finora in essere.

Nell’edizione di venerdì della scorsa settimana (vedi “Key4biz” del 17 novembre: “Broadcaster contro le nuove ‘quote obbligatorie’ per cinema e fiction made in Italy” (prima parte)), abbiamo proposto un resoconto critico della parte finale del dibattito, sviluppatosi tra martedì 14 e mercoledì 15 nell’ambito del Senato della Repubblica, ovvero le audizioni di fronte alle competenti Commissioni VII ed VIII, chiamate ad esprimere un parere consultivo, non vincolante.

Nel pomeriggio di mercoledì 15 novembre (in extremis, rispetto al termine previsto per legge), la Commissione ha espresso il proprio parere sull’Atto del Governo n. 469, ovvero sullo schema di decreto legislativo recante riforma delle “Disposizioni in materia di promozione delle opere europee ed italiane da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi”.

Impressiona osservare come non si sia registrata, da allora, né a livello di dispacci di agenzia né su web, alcuna presa di posizione (pubblica): tutti contenti, da una parte e dall’altra?!

O tutti ancora impegnati a comprendere il senso (e soprattutto l’efficacia) del lungo testo approvato dalle Commissioni 7ª e 8ª riunite assieme il 15 novembre 2017?!

La formula è quella di rito: “Parere favorevole con osservazioni e condizioni”. Queste “osservazioni” e le “condizioni” sono in verità scritte sull’acqua, perché il Governo può completamente ignorarle, ovvero semplicemente aggirarle. Non hanno alcun carattere vincolante.

La questione presenta due prospettive: politica e tecnica.

Prospettiva politica: premesso che il Ministro Dario Franceschini ed il Direttore Generale Nicola Borrelli (che guida la Direzione Generale Cinema del Mibact ormai da molti anni) hanno inequivocabilmente adottato una “linea dura”, rispetto alle reazioni dei “broadcaster”, come reagiranno questi “decision maker” di fronte alle iniziative politiche che cercheranno nei prossimi giorni – in segrete stanze e corridoi ovattati – di esercitare pressioni – nel libero gioco (ancora non regolamentato, incredibilmente, nel nostro Paese) delle attività di “lobbying” – rispetto al testo definitivo del provvedimento? Le prese di posizione partitiche sono emerse evidenti nel dibattito finale, dopo le audizioni, nel pomeriggio del 15 novembre, ma in verità, in sede di dibattito e votazioni i più contrari sono apparsi paradossalmente gli esponenti del Movimento 5 Stelle (che ha votato contro), piuttosto che Forza Italia (che si è astenuta). Incredibile, ma vero: il Movimento 5 stelle ha…scavalcato, ma a destra, la stessa Forza Italia, adottando posizioni più liberiste.

Prospettiva tecnica: abbiamo già spiegato, in dettaglio, che si tratta di previsioni normative destinate a non determinare effetti realmente significativi, se il Governo ovvero il Parlamento ovvero l’Autorità competente (Agcom) non si doteranno di una strumentazione tecnica adeguata alla verifica accurata di quel che le nuove regole prevedono.

Esattamente come si corre il rischio possa accadere con la gestazione del nuovo “contratto di servizio” tra Stato e Rai (su cui presto andremo a manifestare le nostre osservazioni critiche): si tratta, alla fin fine, di “fiumi di parole” (come cantavano gli indimenticati – soltanto per quella canzone – Jalisse), ovvero di testi dalla scrittura tortuosa e cavillosa e ridondante, con infiniti rimandi e riferimenti incrociati, che richiedono l’impegno di studi legali specializzati, per addivenire alla chiara comprensione ed interpretazione dell’intenzione del legislatore; e, poi, quando questa intenzione viene semmai ben interpretata, si pone il problema della verifica, del controllo, della valutazione…

E sia consentito osservare – senza alcuna “vis polemica” – che ci sembra che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni non abbia mai prestato particolare attenzione a queste vicende, se non con la certo commendevole, ma tardiva assai e non approfonditissima “Indagine conoscitiva sulla produzione audiovisiva” (approvata con la Delibera n. 528/15/Cons del 16 ottobre 2015), che tenta una prima esplorazione, peraltro non completa né esaustiva. Non ci risulta Agcom sia internamente dotata delle tecnicalità indispensabili, né ci risulta si sia affidata a strutture esterne tecnicamente qualificate, per superare questo deficit di analisi, verifica, validazione. A malignare, si potrebbe insinuare che, in fondo, è mancata la “volontà politica”, ovvero – nel caso in ispecie (Agcom) – la “volontà istituzionale”.

Tanto, in fondo, “Quis custodiet ipsos custodes?”. La nota locuzione latina tratta da Giovenale (“VI Satira”) si traduce letteralmente “Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?”, e sintetizza con efficacia una serie di perplessità rispetto all’operato di “vigilanza” e “controllo” dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Su questa delicata questione, così come su altre.

Si legge comunque a pagina 22 della Relazione “Air”  (“Analisi di Impatto della Regolamentazione”), che accompagna lo schema di decreto trasmesso dal Governo al Parlamento, che gli auspicati “vantaggi” – ovvero un “assetto di mercato maggiormente concorrenziale” ovvero, ancora “un riequilibrio delle condizioni di asimmetria tra produttori di contenuti indipendenti e i distributori degli stessi” – “saranno oggetto di un costante monitoraggio da parte del Governo, grazie alle attività di verifica, di controllo, di valutazione dell’efficacia del nuovo regime svolte da Agcom, al quale è affidato il compito di applicare un più efficace ed appropriato sistema sanzionatorio in caso di violazione degli obblighi previsti”.

Quando leggiamo il termine “monitoraggio” associato all’acronimo Agcom un qualche brivido ci prende.

Si ricordi che il sistema in essere attualmente prevede una sorta di autocertificazione da parte dei broadcaster, mentre l’Autorità procede con “controlli incrociati e a campione sui bilanci e sui dati in possesso dell’Autorità stessa (Registro Operatori e Informativa Economica di Sistema, Roc e Ies), sui contratti stipulati con i produttori audiovisivi indipendenti e, relativamente alla programmazione, tramite il monitoraggio giornaliero delle trasmissioni”.

Le metodologie dei controlli “incrociati” ed “a campione” sono ignote.

Secondo le emittenti, i controlli sono severi.

Secondo i produttori, i controlli sono deboli.

Chi avrà ragione?!

Sarebbe interessante conoscere almeno un “quantum” dei controlli su base annua, messi in atto da Agcom, ovvero le dimensioni del “campione”. E quante sono le risorse professionali che in Agcom sono dedicate al controllo?!

Va comunque ricordato che questo intervento normativo italiano avviene allorquando non si è ancora concluso l’iter per la revisione della Direttiva 2010/13/Ue (sui “Servizi di Media Audiovisivi”, cosiddetta “Direttiva Smav”), che disciplina sia la radiodiffusione televisiva sia i “servizi media audiovisivi” a richiesta. La nuova direttiva (la proposta di direttiva Com(2016)287 presentata il 25 maggio 2016 dalla Commissione Europea) mira ad adeguare la normativa all’evoluzione del mercato, caratterizzato da una sempre maggiore convergenza fra televisione e servizi distribuiti via internet. Il 18 maggio 2017 il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione, ma le proposte di modifica approvate dal Parlamento sono tuttora all’esame del Consiglio dell’Unione Europea…

Si ricordi comunque che il testo che il Governo ha trasmesso l’11 ottobre (a firma del Ministro Anna Finocchiaro, Rapporti con il Parlamento) al Senato (nella persona del Presidente Senatore Pietro Grasso) è stato il risultato di ben lunga gestazione.

Da circa 2 anni, il Mibact ed il Mise hanno infatti attivato “tavoli di consultazione” (a porte chiuse, purtroppo), anche se, nella prima fase, con coinvolgimento attivo esclusivamente dell’anima “economica” del settore (produttori e broadcaster), e soltanto successivamente dell’anima “autoriale” (autori cinematografici e audiovisivi), e forse questo è un vizio genetico che poteva essere evitato, anche perché ha senza dubbio complessificato l’iter della nuova legge “cinema e audiovisivo” di metà novembre 2016 (la n. 220 approvata il 14 novembre 2016).

Il Governo ha specificato di aver tenuto in grande considerazione l’indagine conoscitiva promossa dall’Agcom, condividendo le criticità in essa evidenziate, e l’esigenza di superarle, allineando la normativa italiana a quella europea (soprattutto rispetto alla definizione di “produttore indipendente”) ed al nuovo contesto del sistema audiovisivo alla luce della rivoluzione digitale.

La tempistica è stata così dettata: la delega al Governo prevista dalla legge Franceschini-Giacomelli deve essere esercitata entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, ovvero l’11 dicembre 2017.

Il parere del Parlamento doveva essere manifestato entro 30 giorni dalla data di annuncio e assegnazione (17 ottobre) e quindi entro il 16 novembre 2017. E così è stato. I pareri della Conferenza Stato-Regioni e del Consiglio di Stato dovevano essere acquisiti entro 45 giorni dalla data di trasmissione dello schema: i pareri sono stati acquisiti il 9 ed il 12 ottobre. In particolare, il Consiglio di Stato ha manifestato, nell’adunanza del 30 ottobre 2017, il proprio parere positivo attraverso la Sezione Consultiva per gli Atti Normativi (cosiddetto “numero affare” 10868/2017), sostenendo che lo schema governativo “risulta completo e puntuale nel dare attuazione alla delega” (Presidente Luigi Carbone, Estensore Raffaele Greco).

Nell’agosto 2017 – in verità un periodo dell’anno inconsueto per la gestazione di normative… – il Governo ha promosso una novella consultazione dell’anima “economica” del settore: sia a livello associativo (Anica, Apt, Confindustria Radio Tv), sia a livello di imprese (Rai, Mediaset, Sky, La7, Fox, Viacom, Discovery, Disney…).

L’8 agosto (!) è stata avviata una consultazione sulla base di una prima bozza di testo. La consultazione si è conclusa il 28 agosto (!!), in 20 giorni soltanto. Curiosa procedura.

Il Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo (Csca), massimo organo consultivo del Mibact (istituito giustappunto dalla novella legge cinema e audiovisivo) si è pronunciato il 4 settembre 2017.

Si ricordi anche che la nuova normativa diverrà di fatto concretamente operativa soltanto dopo l’approvazione di due regolamenti da parte di Agcom (definizione degli obblighi di programmazione ed investimento dei fornitori di servizi media audiovisivi a richiesta; specificazioni relative alla definizione di “produttore indipendente”), e di più decreti Mise e Mibact (sentita Agcom) per la definizione di opera audiovisiva “di espressione originale italiana” e le “sotto-quote” ad esse riservate da parte dei fornitori di media lineari e a richiesta. Termini: 90 giorni per i regolamenti Agcom e 180 per i decreti ministeriali, dalla data di entrata in vigore del provvedimento.

Si segnala che l’Agcom, ovvero il Presidente Angelo Marcello Cardani, nell’audizione mattutina del 15 novembre, ha evidenziato il rischio che il provvedimento provochi “una crisi di sostenibilità a carico delle imprese creative”. La memoria che ha depositato è corposa (oltre 22 pagine) e ben strutturata: merita essere letta con attenzione.

Agcom ha ricordato che il 29 febbraio 2016 ha trasmesso al Governo una “segnalazione” (anche alla luce della già citata “indagine conoscitiva”) e che ha rilevato che alcuni suggerimenti sono stati recepiti dallo schema di decreto legislativo, mentre rispetto ad altri l’Esecutivo è andato in direzione opposta. L’Autorità si preoccupa che alcune disposizioni cozzino con criteri di ragionevolezza e proporzionalità e finanche con la libertà d’impresa. Rispetto all’innalzamento degli obblighi in quote di investimento, “sono chiare le ragioni di policy, ma non altrettanto i possibili effetti economici sul settore radiotelevisivo, che solo una puntuale analisi di impatto può fornirci”. Analisi di impatto che – come andiamo ripetendo anche da queste colonne – non esiste proprio: altro che “puntuale”! E chi avrebbe dovuto effettuarla, se non giustappunto Mibact e Mise e finanche Agcom??? Nella audizione, l’Autorità ironizza che il Governo sia stato sedotto dalla “legge di Say”, secondo la quale “l’offerta crea la domanda”, e che quindi spingere sull’investimento del prodotto indipendente ne aumenterà la domanda di mercato. Si stima – secondo simulazione Agcom al 2020 (rispetto al dato 2015) – che gli investimenti per produzioni europee di produttori indipendenti aumenteranno nell’ordine di 100 milioni di euro l’anno, di cui 40 a carico di Rai e 60 dei soggetti privati… Altri 60 milioni dovrebbero venire dalla quota di riserva a favore delle “opere cinematografiche di espressione originale italiana ovvero prodotte da produttori indipendenti”, di cui circa la metà dal servizio pubblico… L’Autorità segnala peraltro che in verità, sebbene evocato come sistema di ispirazione, il “modello francese” non sia stato replicato dal legislatore italiano, che, anzi, ha proposto una versione più rigida, schematica e vincolante.

Prima di entrare nel merito del “parere favorevole con osservazioni e condizioni”, riteniamo sia interessante riportare alcuni passi della discussione in Senato.

La seduta finale del 15 novembre (che ha ripreso l’esame che era stato sospeso nella seduta del 25 ottobre) è stata presieduta dal senatore Altero Matteoli (Forza Italia-Pdl), Presidente della 8ª Commissione Permanente (Lavori pubblici, Comunicazioni). Iniziando i lavori, Matteoli ha segnalato che erano stati trasmessi al Parlamento i testi dei prescritti pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza Unificata sull’atto del Governo in esame ed era stata pertanto superata la precedente assegnazione “con riserva”, e le Commissioni riunite erano state quindi autorizzate ad esprimere il relativo parere al Governo.

Il senatore Raffaele Ranucci (Partito Democratico), relatore per l’8ª Commissione, anche a nome del correlatore Andrea Marcucci (Pd), ha illustrato una proposta di parere favorevole con “osservazioni” e “condizioni”. Ranucci ha invitato a tener conto che lo schema di decreto legislativo consente “investimenti aggiuntivi per il cinema di circa 200 milioni di euro”, e si tratta di un obiettivo senza dubbio importante.

Il senatore Maurizio Gasparri (Forza Italia-Pdl) ha rimarcato come il fronte delle emittenti televisive si sia dimostrato compatto nell’avanzare alcune critiche al testo, che rischia di determinare meccanismi a suo avviso “distorsivi”. Permangono inoltre problemi non risolti, tra cui gli obblighi inerenti il “prime-time”, che finiscono per condizionare l’attività di impresa. Ha segnalato in particolare che anche la Rai ha condiviso le molteplici critiche al provvedimento.

Marco Cibona (M5S) ha sostenuto che non vi sono sufficienti garanzie che tutte le opere “di espressione originale italiana”, che lo schema di decreto intende tutelare, abbiano un effettivo valore culturale.

Luis Orellana (Aut / Svp, Uv, Patt, Upt / Psi-Maie: no comment su questa insalata di acronimi di micro partiti!) ha ravvisato la disomogeneità nel parere in merito all’articolo 44-bis, in quanto si propone, tra le osservazioni, il calcolo “mensile” del rispetto di alcune quote obbligatorie e, tra le condizioni, il calcolo “annuale” del rispetto di altre quote obbligatorie. Avrebbe dunque preferito una maggiore “coerenza” nello schema di parere.

Alberto Airola (M5S) ha contestato in maniera radicale lo schema di decreto in esame, che, a parer suo, si ingerisce pesantemente nella libertà di scelta editoriale delle emittenti televisive. Ha rimarcato inoltre che il Governo ha presentato un testo “completamente diverso” da quello che aveva discusso in un primo momento con le stesse emittenti, che infatti si sono dichiarate tutte contrarie. Viceversa, lo stesso Governo ha colpevolmente ritardato l’adozione dei decreti attuativi del “tax credit” per le produzioni cinematografiche e audiovisive, che è “l’unica strada corretta per favorire un rilancio del settore”. Il provvedimento in esame, invece, anziché aiutare autori e produttori a crescere ed a offrire i loro prodotti, ampliando il mercato e le forme di distribuzione, pone solo vincoli sui broadcaster, che sono anche inutili, dato che ormai gli stessi broadcaster rappresentano solo una quota minima dell’offerta complessiva di contenuti audiovisivi (notevolmente ampliatasi con le nuove piattaforme digitali). Ha preannunciato pertanto il voto contrario del Movimento 5 Stelle.

Marco Marin (Fi-PdL) ha dichiarato l’astensione del suo Gruppo sullo schema di parere, che non affronta appieno tutti i profili critici, pur avendo i relatori attenuato le rigidità maggiori del provvedimento. Pur appartenendo allo stesso Gruppo, il senatore Francesco Aracri ha sottolineato in particolare “l’irragionevolezza degli obblighi” posti a carico delle emittenti per la programmazione di opere europee ed italiane nella fascia del “prime-time” serale: si tratta di una pesante ingerenza nelle scelte editoriali di definizione dei palinsesti, che condiziona tutta l’attività degli operatori. Ha preannunciato pertanto il suo voto contrario.

Maurizio Rossi (Misto-Liguria Civica) ha sostenuto che si tratta di norme “di carattere fortemente dirigistico” e del tutto “anacronistiche” rispetto alle condizioni attuali del mercato. Si penalizzano infatti inutilmente le emittenti televisive, imponendo loro pesanti obblighi di programmazione ed investimento, a tutto vantaggio della concorrenza delle grandi piattaforme digitali, che non hanno invece alcun vincolo. Ha ricordato che, con l’avvio nei prossimi anni delle trasmissioni con la “tecnologia 5G”, la pressione concorrenziale aumenterà ancora di più, data l’offerta sempre più ampia di contenuti audiovisivi. Appaiono quindi del tutto irragionevoli gli obblighi di programmazione introdotti per la fascia del “prime-time, che ingessa inutilmente i palinsesti delle emittenti, danneggiando in particolare la raccolta pubblicitaria. Ha quindi dichiarato il proprio voto contrario.

Jonny Crosio (Lega Nord-Aut) ha preannunciato il voto contrario della sua parte politica, rimarcando che il provvedimento in esame rappresenta “un’occasione persa”, essendosi introdotte norme che non aiutano il cinema ed il settore audiovisivo in generale, penalizzando inutilmente le emittenti televisive che, non a caso, si sono dichiarate tutte senza distinzione fortemente contrarie.

Fabrizio Bocchino (Misto-Si-Sel) ha ringraziato i relatori per aver inserito alcune indicazioni a suo giudizio condivisibili. Ha preso tuttavia le distanze da una logica di “identità nazionale”, che non rappresenta – a suo avviso – la modalità giusta per affrontare il tema della “qualità”. Il complesso normativo derivante dall’insieme delle disposizioni contenute nel provvedimento e dal dispositivo del parere non migliora la qualità del prodotto. Ha dichiarato dunque il voto di astensione del suo Gruppo.

Ranucci (Partito Democratico), intervenendo in sede di replica, ha evidenziato che i relatori hanno cercato, attraverso la proposta di parere, di raccogliere e offrire soluzione alle principali criticità segnalate nel corso delle audizioni informative svolte sul provvedimento, soprattutto da parte delle emittenti.

Il Presidente Matteoli ha quindi posto in votazione la proposta dei relatori, ed essa è stata approvata.

Da segnalare che la senatrice Michela Montevecchi (Movimento 5 stelle), subito dopo la votazione, ha chiesto la parola sull’ordine dei lavori, ed ha criticato le modalità con cui le Commissioni riunite hanno proceduto all’esame del provvedimento. Ha segnalato che il testo è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 2 ottobre, ed è stato assegnato il 16 ottobre, a ridosso della sessione di bilancio. Nel deplorare che esso tradisce i principi e criteri direttivi della delega contenuta nella legge n. 220 del 2016, ha sostenuto di non riporre alcuna fiducia nel presunto impegno del Governo a recepire le indicazioni del Parlamento. Ha anche lamentato che si sia proceduto alla votazione a poche ore dall’ultima audizione svolta sul provvedimento.

Va ricordato che l’indomani, giovedì 16 novembre, sostanzialmente lo stesso parere, con “osservazioni e condizioni”, è stato approvato dalla Camera dei Deputati, ovvero dalle Commissioni riunite VII (Cultura, Scienza e Istruzione, presieduta dalla piddina Flavia Nardelli Piccoli) e IX (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, presieduta dal piddino Michele Meta), udite le relazioni delle deputate Lorenza Bonaccorsi (Pd) e Romina Mura (Pd) nella seduta del 25 ottobre, uditi i soggetti intervenuti in audizione nella seduta dell’8 novembre, ed il successivo dibattito nelle sedute del 15 e 16 novembre 2017. Si segnala in particolare quel che ha sostenuto, per Forza Italia-PdL, Deborah Bergamini, nel preannunciare l’astensione del proprio Gruppo (come avvenuto anche in Senato): ha espresso apprezzamento per il lavoro svolto dalle relatrici per superare, da un lato, l’assenza di flessibilità, e, dall’altro, per introdurre meccanismi di gradualità. Pur riconoscendo che la proposta di parere apporta notevoli miglioramenti rispetto al testo originario, ha rilevato che permangono forti perplessità non certo sulla finalità del provvedimento, ossia sussidiare il settore cinematografico italiano ed europeo, quanto sul fatto che tale sussidio viene operato a detrimento di un altro fondamentale settore, quello televisivo. Non volendo soffermarsi sui profili di costituzionalità circa possibili violazioni della libertà di iniziativa economica, nonché della libertà di manifestazione del pensiero, che alcune disposizioni sembrano prefigurare, evidenzia tuttavia come un innalzamento così forte degli obblighi verso gli operatori tradisca una visione dirigista non condivisibile.

Su altro fronte, questo il pensiero critico di Mirella Liuzzi (M5S): occorrebbe, a suo avviso, una maggiore flessibilità nell’applicazione della nuova disciplina, anche per quanto concerne l’arco temporale di riferimento per il computo delle quote. Ha invitato le relatrici a valutare se suggerire una sia pure parziale eliminazione delle “sotto-quote”, che non appaiono compatibili con le diverse tipologie di reti televisive e di broadcast che operano nel settore, cui invece deve essere dato un più ampio margine di scelta circa i modi con cui adeguarsi alle quote di programmazione stabilite. In caso contrario, il rischio è quello di dover ricorrere sempre più frequentemente a deroghe delle autorità di controllo… Infine ha invitato le relatrici a prendere attentamente in esame per la loro proposta di parere le valutazioni espresse da un “soggetto importante” quale è Netflix, “che appaiono condivisibili”. Si segnala en passant che la memoria depositata da Netflix non è stata resa di pubblico dominio sul sito web della Camera dei Deputati, e ci si domanda per quale ragione, dato l’interesse che senza dubbio il documento può suscitare. Chiederemo alla Presidente della Commissione Cultura Flavia Nardelli di rendere accessibile la memoria di Netflix. E sarebbe opportuno che i verbali stenografici delle audizioni e del dibattito venissero messi a disposizione in tempo reale: alle strutture di Camera e Senato non mancano certo le risorse in tal senso.

Alla fin fine, cosa è emerso?

In sintesi: viene accolta una maggiore gradualità ed una maggiore flessibilità, ma la sostanza ideologica dell’intervento normativo voluto da Franceschini è rimasta immutata.

Più in dettaglio: dopo l’anno di moratoria (2018), l’obbligo di programmazione dovrebbe andare a regime in 3 anni, e non 2… la quota massima a regime dovrebbe essere del 55 % e non del 60 %… la fascia oraria sottoposta a vincolo particolare non dovrebbe essere quella che va dalle ore 18 alle 23 bensì dalle 19 alle 24… che le percentuali di obblighi siano rispettate su base mensile, e non settimanale… si auspica che “i procedimenti di accertamento e di irrogazione delle sanzioni dovranno sia rispettare i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, sia assicurare meccanismi di flessibilità e recupero della parte di obblighi eventualmente non assolta”… Si pone come “condizione” (…), che le percentuali relative alle “opere europee” e di “espressione originale italiana” vengano rispettate su “base annuale” e non con riferimento all’“intera giornata”. Altra condizione: “qualora l’obbligo di investimento non sia stato interamente assolto nell’anno, le eventuali oscillazioni in difetto, nel limite massimo del 10 per cento rispetto alla quota complessiva prevista nel medesimo anno, dovranno essere motivate dai fornitori di servizi di media audiovisivi e comunicate all’Agcom. Le parti mancanti dovranno essere comunque recuperate nei sei mesi successivi, in aggiunta a quanto dovuto per tale anno”. Infine, in materia di sanzioni, si ritiene opportuno ridurre dal 2 per cento all’1 per cento del fatturato annuo l’importo massimo ivi previsto, in alternativa a quello di 5 milioni di euro.

Non entreremo nel merito di una dettagliata valutazione tecnicistica (lungi da noi rubare il mestiere agli studi legali specializzati, che produrranno pareri corposi), ma ci sembra che, considerando come 10 il “target” ideale delle emittenti, esse abbiano ottenuto un livello 3 (o forse 4), ovvero ben poco.

Senza dubbio, le Commissioni hanno recepito alcune delle esigenze di “flessibilità” manifestate dai “broadcaster”, ma la rigida architettura ideologica dell’impianto normativo è stata mantenuta.

D’altronde, era improbabile che le Commissioni andassero a smantellare l’assetto voluto dal Governo, che gode evidentemente ancora di buona maggioranza in Parlamento.

Conclusivamente, dopo anni (decenni) di andamento lasco e lento, se questo testo verrà approvato nella forma attuale – anche se il Governo recepirà i pareri delle Commissioni senatoriali e farà propria l’istanza di attenuazione, rendendo il testo un po’ più graduale e flessibile – l’Italia verrà a caratterizzarsi come sistema normativo più dirigistico e più rigido di quello francese. Senza dubbio il più rigido d’Europa.

E’ un bene? è un male?!

In assenza di un “sistema informativo” minimamente adeguato, in assenza di analisi (scenaristiche, predittive, valutative dell’impatto) minimamente adeguate… una risposta (seria) è impossibile.

Ancora una volta, vince l’emozione ideologica: il “pathos” statalista prevale sul “pathos” liberista. Si governa sulla base di ideologie ed emozioni, non sull’evidenza dei dati, sull’analisi dei processi: “evidence-based policy making” e “fact checking”? Non pervenuti! E che dire di “quote obbligatorie”, il cui livello quantitativo è sostanzialmente frutto di un gioco di tira-e-molla tra le contrapposte fazioni: perché si passa – per esempio – dal 10 al 15 al 20 e non al 25 o 30 ovvero “ics” per cento? Numerologie arcane. Nessuna analisi approfondita di economia mediale. Né di ecologia mediale.

I liberisti sostengono che Franceschini, dopo aver allargato i cordoni della borsa dello Stato (le sovvenzioni al cinema ed all’audiovisivo passano da 260 milioni di euro l’anno a 400 milioni), vuole imporre dall’alto agli imprenditori privati la “circolazione” di opere cinematografiche ed audiovisive che il mercato – nel suo assetto attuale – non ha voluto, e sembra non volere. In sostanza, andrebbe ad imporre alle emittenti di trasmettere cinema e fiction altrimenti destinato a diffusioni marginali. Al di là delle battute polemiche, emerge senza dubbio una qual certa vocazione “pedagogica”, non esattamente tipica di uno Stato liberal-liberista. Quel che stupisce, comunque – in quest’Italia spesso tanto “mediterranea” cui siamo abituati da sempre – è il salto: da un sistema di vincoli ed obblighi molli (troppo molli), ad un sistema di vincoli ed obblighi severi (troppo severi).

Si osservi anche come Agcom, nella sua audizione, abbia ricordato che la Corte dei Conti francese ha sostenuto che il rigido sistema delle “quote obbligatorie” d’Oltralpe non ha stimolato l’internazionalizzazione del cinema e della fiction nazionali… Come dire?! Anche senza dare ragione ai liberisti “estremisti” del laboratorio dell’Istituto Bruno Leoni (Ibl), l’interventismo statalista non è in sé garanzia meccanica di soluzione dei deficit di mercato: Ibl non si è ancora – curiosamente – espresso sulla specifica questione “quote obbligatorie”, ma pochi giorni fa ha criticato aspramente la nuova legge sullo spettacolo dal vivo (vedi qui la sintesi proposta dallo stesso Mibact) approvata l’8 novembre 2017, anch’essa fortemente voluta dal Ministro Franceschini (vedi “Legge sullo spettacolo dal vivo: se non è pubblica non è legge”) ed un paio di mesi fa aveva criticato comunque l’approccio complessivo della “nuova legge cinema e audiovisivo” (vedi Filippo Cavazzoni, “Allo Stato piace noioso. Ecco come sono i film fatti con i soldi pubblici”, su “il Giornale” del 13 settembre 2017”).

Non riteniamo comunque sia da condividere quel che Vincenzo Vita (Sottosegretario alle Comunicazioni nei governi Prodi, D’Alema, Amato) ha scritto sulle colonne de “il Manifesto”, il 10 ottobre 2017, ovvero che si tratterebbe comunque quasi-quasi di “tanto rumore per nulla”. Vita ha sostenuto: “È vero che sono inseriti nel decalogo pure i fornitori di servizi a richiesta (vedi Netflix e consimili), e che complessivamente i tetti si alzano, ma gli obblighi esistono da anni (…). Alle emittenti faceva comodo il silenzio, per non illuminare le troppe inadempienze in materia, cui dovrebbe dare un occhio l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Il merito di Franceschini è di avere riportato alla ribalta un tema cruciale per l’industria culturale italiana (…) Bravo Franceschini, ha tenuto botta. Potente ministro, vecchia scuola non mente. E così via. Il prode Dario, insomma, ha avuto i suoi quindici minuti di celebrità audiovisiva, per dirla con Andy Warhol. Le terribili televisioni – generaliste e non – hanno dovuto piegare in ritirata”.

Battute a parte, se gli obblighi esistevano da anni, da anni non era in funzione un buon sistema di controllo ed un severo apparato sanzionatorio.

La nuova legge, se resterà nella versione approvata dalle Commissioni senatoriali il 15 novembre e dalle Commissioni di Montecitorio il 16 novembre, andrà a rivoluzionare un mondo, scardinando alcuni paradigmi storici. Nel bene e nel male.

Non resta che augurarsi che le auspicate “valutazioni di impatto” siano presto elaborate, e con adeguata tecnicalità, per capire se la ragione… è dalla parte “dello Stato” o “del mercato”.

Vai alla prima parte del dossier “Broadcaster contro le nuove ‘quote obbligatorie’ per cinema e fiction made in Italy”.

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