Sponsor culturali

ilprincipenudo. Ora gli sponsor culturali si fanno il portale

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Chi mette in contatto i promotori culturali e le imprese interessate ad iniziative di sponsoring? Lo Stato non lo fa, ecco che arrivano i privati

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Questa mattina, nell’elegante Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani (una delle sedi del Senato della Repubblica), è stato presentato in pompa magna Upaperlacultura.org, il sito web pensato per “promuovere la cultura dell’investire in cultura”.

Lorenzo Sassoli de Bianchi, Presidente Upa, ha presentato l’iniziativa alla presenza di Dario Franceschini, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo: sono intervenuti nella “conversazione” Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (Presidente dell’omonima fondazione), Walter Hartsarich (manager della cultura ed ex pubblicitario, nonché fino a poche settimane fa Direttore dei Musei Civici di Venezia), Vittorio Meloni (Responsabile Direzione Relazioni Esterne Intesa Sanpaolo), e Nicola Sani (Sovrintendente della Fondazione Teatro Comunale di Bologna, nonché compositore e studioso di politiche culturali), in rappresentanza di alcune “best practices” in materia di politica culturale ed economia della cultura.

Con grande eleganza (ed onestà intellettuale), il Presidente dell’Upa Sassoli de Bianchi ha sostenuto che si tratta di una… “piccola cosa”. Piccola ma senza dubbio innovativa: l’Upa, a fronte del disastro cognitivo del sistema italiano delle sponsorizzazioni (ma questo lo sosteniamo noi, non l’Upa, o – almeno – non esplicitamente l’associazione), ha deciso di promuovere un portale, ad accesso pubblico, che intende “mettere in contatto” i promotori ed organizzatori culturali e le imprese potenzialmente interessate ad iniziative di sponsoring. Si domanderà il lettore profano: “ma… perché, in Italia non esiste già un sistema informativo simile?!”. E la risposta è netta e chiara: “no”. Incredibile ma vero. Questa è l’Italia “culturale” del 2015.

Come Sassoli de Bianchi ha lamentato, le “sponsorizzazioni” in Italia sono prevalentemente frutto di dinamiche personali, di rapporti privilegiati, ovvero di quel “capitale relazionale” che governa vischiosamente gran parte del sistema nazionale (non soltanto nelle industrie culturali e creative, ovviamente): non esiste un incontro oggettivo e trasparente della “domanda” e dell’“offerta”, ma prevalgono relazioni individuali (e talvolta clientelar-politiche).

Chi deve promuovere questo “incontro”? Lo Stato o i privati?! Lo Stato non si è mosso, e quindi il privato interviene.

Quel che va segnalato è che non esiste in Italia un dataset minimo di informazioni sul sistema delle sponsorizzazioni tout-court, e specificamente delle sponsorizzazioni culturali. Esistono stime nasometriche, basate su metodologie incerte. Nel 2013, le sponsorizzazioni nei settori “cultura e spettacolo” sarebbero state 159 milioni soltanto (a fronte dei 715 milioni nel settore “sport”), con un calo di ben il 41% rispetto ai 269 milioni di euro del 2008 (stime Stageup).

Evidentemente, il Ministero per la Cultura, prima dell’arrivo di Dario Franceschini, il problema della conoscenza dei fenomeni in atto, non se l’è mai posto seriamente: complimenti ai predecessori del ministro in carica. E comunque lo stesso Franceschini non brilla per vocazione… cognitiva.

È naturale quindi che il Ministro abbia manifestato il suo convinto plauso all’iniziativa dell’Upa, che viene a svolgere una funzione supplente, a fronte della (grave) assenza di intervento dello Stato.

Eppure il Mibact dispone, sulla carta, di un Ufficio Studi e di un Osservatorio dello Spettacolo: ma queste due strutture, depotenziate e definanziate nel corso degli anni, poco “studiano” e poco “osservano”, se è necessario l’intervento di un soggetto esterno alla pubblica amministrazione per mettere in contatto – in qualche modo – gli organizzatori culturali e le imprese commerciali.

Su queste colonne, tante volte abbiamo detto che, al di là della indubbia buona volontà, il Ministro Franceschini non ha la minima cassetta degli attrezzi per un “buon governo” del sistema: dall’economia dei mille (molti di più sono, ma nessuno sa quanti con esattezza…) festival sparsi in tutta Italia all’economia del tanto decantato tax credit per il cinema (nessuno può dimostrare che stia rafforzando realmente il tessuto industriale del sistema produttivo nazionale, anche se è indubbio stimoli gli appetiti degli investitori stranieri, con rischi di riprodurre le dinamiche di “runaway productions” degli anni Cinquanta del secolo scorso…) per arrivare all’economia del turismo culturale (lo stato delle conoscenze è semplicemente sconfortante…). “Buchi neri” di conoscenza.

Si governa con una arcaica lanterna nella prevalente oscurità di una enorme caverna.

Non ci sono dati ed analisi sufficienti a consentire una elaborazione di lungo respiro, una progettualità strategica, un “policy making” vero e proprio. Ne abbiamo scritto tante volte, anche su queste colonne (vedi ad esempio “Key4biz” del 15 luglio 2015: “Mibact-Istat-Rai: inedito ‘tridente’ per misurare l’industria creativa in Italia”).

E stendiamo un velo di pietoso silenzio sulle analisi valutative, sugli studi di impatto e sulle verifiche di efficienza ed efficacia: non essendoci dati ed analisi adeguati, da un lato (lo Stato), si governa inevitabilmente male, e, dall’altro (la collettività), non si comprende qual è la “ratio” degli interventi pubblici.

Con tutto il rispetto di un Ministro che si autodefinisce: “sono solo un ministro tecnico” (vedi l’intervista di Minoli su “il Sole 24 Ore” di ieri): s’accordo, ben venga l’elogio della tecnica, ma allora si tratta di un ministro – sia consentito – discretamente deficitario di tecnicalità (e quindi ben lontano da una non si quanto peraltro auspicabile “tecnocrazia”).

Lo stesso problema riguarda le fondazioni (cosiddette) “ex bancarie”: intervengono con danari importanti nell’economia complessiva del sistema culturale nazionale (si stima 267 milioni di euro nel 2013, l’8% in meno dell’anno precedente e ben il 49% in meno rispetto al 2007), ma non si dispone di un’analisi critica minimamente accurata (e trasparente) del loro intervento, e si ha ragione di temere che prevalgano le “solite” dinamiche (vedi supra): capitale relazionale, amici degli amici, clientelismo, assistenzialismo politico sul “territorio”…

Senza dubbio vengono sostenute iniziative eccellenti, ma rispetto a molte si nutrono seri dubbi. Va anche osservato che gli stessi documenti pubblici delle fondazioni ex bancarie non brillano per capacità di proporre un “bilancio sociale” accurato, approfondito, cristallino, del proprio operato (non soltanto in materia di interventi culturali, ovviamente).

Il Ministro Franceschini ha collegato l’iniziativa Upa all’iniziativa Mibact: ha rivendicato l’efficacia (per ora, potenziale) del cosiddetto “art bonus”, che è divenuto concretamente operativo soltanto a fine 2014. Soltanto a metà dicembre dell’anno scorso, è infatti divenuto operativo lo sconto fiscale per chi aiuta la cultura con le proprie donazioni, con l’istituzione da parte dell’Agenzia delle Entrate del “codice tributo” (è il n. 6842) per compensare le donazioni effettuate tra il 2014 e il 2016.

Si è trattato dell’ultimo tassello mancante per consentire di compensare come credito d’imposta le donazioni in denaro effettuate tra il 2014 e il 2016 a sostegno della cultura. Si ricorda che possono beneficiare dell’“art bonus” sia le persone fisiche che quelle giuridiche, a patto che abbiano effettuato delle erogazioni liberali tramite pagamenti tracciati (ovvero mediante bonifici bancari o postali, carte di credito, di debito o prepagate, o ancora, con assegni circolari o bancari).

Qual è il risparmio per il contribuente? Consiste in un credito d’imposta pari al 65% per le somme erogate nei periodi d’imposta 2014 e 2015. La legge originaria prevedeva che per quelle che si pagheranno nel 2016 si sarebbe scesi dal 65% al 50%, ed invece Franceschini, nella “Legge di stabilità 2016”, è riuscito – giustappunto – a… stabilizzare al 65%, così rendendo l’“art bonus” misura strutturale e permanente. Si tratta di un “bonus” che è stato definito dalle misure… “extra-large”.

Comunque, il credito d’imposta non potrà oltrepassare determinati limiti: per le persone fisiche e gli enti che non svolgono attività commerciale, il 15% del reddito imponibile, mentre per i titolari di reddito d’impresa, il 5 per mille dei ricavi annui.

Si attende di conoscere i risultati concreti di medio periodo, dato che il provvedimento non è stato ancora oggetto di una adeguata campagna di informazione e promozione (nonostante la previsione di uno spot ad hoc sulle tv nazionali), e molte imprese non ne approfittano ancora perché non ne conoscono adeguatamente i benefici…

Ci si augura che venga invertito il deprimente trend: nel 2013, le erogazioni liberali provenienti da privati a favore della cultura sono scese a 36,8 milioni di euro, con un calo del 19% rispetto all’anno precedente. Briciole, rispetto ai potenziali che la strumentazione fiscale-tributaria può determinare.

I primi segnali non sono in verità esattamente entusiasmanti: il 22 ottobre scorso, è stata offerta, proprio da Franceschini, una panoramica dei primi risultati dell’“art bonus”. Da quel che risulta dai dati registrati dal portale www.artbonus.gov.it, gestito dalla società pubblica Arcus (sito ove, per legge, i beneficiari delle donazioni devono riportare gli importi donati e il tipo di interventi finanziati), in un anno sono stati elargiti quasi 34 milioni di euro. Di questi, una porzione significativa – circa 17 milioni – sono stati raccolti dalle fondazioni lirico-sinfoniche e dai teatri cosiddetti “di tradizione”. Insomma, siamo ancora – veramente – ai primi passi… La direzione è giusta, ma l’impulso ancora troppo debole.

Va ricordato che l’Upa è l’organismo associativo che riunisce le più importanti aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità e in comunicazione in Italia: si tratta dei principali 500 “utenti pubblicitari”, che rappresentano nel complesso un budget di circa 9 miliardi di euro, ovvero circa il 90% dell’intero mercato della pubblicità e della comunicazione nel nostro Paese.

Il portale ideato dall’Upa offre un database (nota bene: tutto da costruire) di progetti di sponsorizzazione/partnership culturale, proposti da enti pubblici o soggetti privati (con finalità comunque pubbliche): archeologia, arte, architettura, musica, cinema, libri, teatro… ma anche danza e cinema. A questo database, andranno ad attingere le imprese e gli investitori interessati a sostenere iniziative, sulla base delle proprie strategie imprenditoriali e target commerciali.

Gli enti possono collegarsi direttamente al sito e compilare una scheda descrittiva del progetto. La scheda ci appare eccessivamente “minimal”, ma verosimilmente potrà essere implementata in corso d’opera. Il sito si rivolge, inoltre, a tutte le imprese, associate a Upa o meno, che intendano vagliare la possibilità di finanziare un progetto di sponsorizzazione/partnership culturale. Le imprese interessate a investimenti nel campo della cultura possono collegarsi direttamente al sito per consultare il database dei progetti.  Ovviamente il progetto “Upaperlacultura.org” non ha alcun scopo di lucro, bensì ha l’obiettivo di far incontrare in maniera semplice e trasparente la domanda e l’offerta di progetti di sponsorizzazione/partnership culturale integrabili nelle strategie di comunicazione delle imprese.

Attendiamo di conoscere i risultati concreti della commendevole iniziativa. Anche se crediamo che l’Upa potrebbe fare di più. Anche se crediamo che soprattutto il Mibact dovrebbe fare di più.