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ilprincipenudo. ‘Numeri Pari’: associazioni in rete contro povertà e disuguaglianza

Angelo Zaccone Teodosi

Presentata oggi a Roma, presso il Cesv – Centro Servizi Volontariato del Lazio, “Numeri Pari”, una sorta di federazione di associazioni della società civile che si presenta come inedita “rete contro la disuguaglianza, per la giustizia sociale e la dignità”.

Promossa da soggetti qualificati nell’impegno sociale (che è anche ovviamente impegno politico, ma extra-partitico) come Gruppo Abele, Libera, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e Rete della Conoscenza, “Numero Pari” si pone come obiettivo primario la lotta alla povertà ed alle disuguaglianze, richiedendo anzitutto un “reddito di dignità” e “sfratti zero”. L’iniziativa prende idealmente il testimone dalla campagna “Miseria Ladra”, promossa negli anni scorsi da Gruppo Abele e da Libera con le stesse finalità, e dall’incontro mondiale del 5 novembre scorso dei movimenti popolari con Papa Francesco.

Sempre più il modesto cronista che segue le tematiche della “politica culturale” e della “economia mediale”, così come dell’“habitat digitale”, si ritrova a dover dedicare crescente attenzione ad iniziative afferenti la “politica sociale”, anche perché il confine fra queste due dimensioni – il culturale ed il sociale – diviene sempre più labile. In effetti, la funzione della cultura nell’economia di uno sviluppo equo e sostenibile si afferma con crescente centralità anche nelle politiche sociali.

Mentre in queste ore i potenti del mondo affrontano Davos le strategie di governo neoliberista del pianeta, in Italia si registrano piccole grandi iniziative “dal basso”.

Va osservato che, a fronte di una evidente difficoltà da parte della ex “sinistra” storica (l’approccio socialdemocratico ed organico al sistema del Partito Democratico è evidente ed “a sinistra” del Pd non riesce ancora a prendere corpo una affidabile forma-partito), molti movimenti, anche in Italia, fanno sempre più riferimento al magistero di Papa Francesco. Basti ricordare che è stato il Pontefice a sostenere che il neoliberismo è una forma di “terrorismo”, per dare una idea di come la Chiesa Cattolica sembri rappresentare attualmente un raro caso di tentativo di resistenza strutturata ed organica rispetto ad un governo del pianeta affidato a governi sempre più influenzati dal potere delle multinazionali.

A Davos, inizia oggi l’edizione n° 47 del tradizionale evento di quattro giorni che riunisce a inizio anno i più importanti capi d’impresa, banchieri e leader di governo del mondo, nonché economisti ed imprenditori provenienti da circa 100 Paesi diversi… A Davos, chi governa il mondo è comunque costretto a prendere atto di quel che emerge dal rapporto Oxfam, ovvero che… 8 esseri umani “super ricchi” possiedono la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone!

Eppure, in tutto il mondo, “c’è chi dice no”, per parafrasare la bella canzone di Vasco Rossi.

ll nuovo rapporto di Oxfam, intitolato “Un’economia per il 99%” è stato diffuso ieri, giustappunto alla vigilia del Forum Economico Mondiale di Davos, analizza quanto la forbice della disuguaglianza si stia estremizzando oltre ogni ragionevole giustificazione (l’inerzia conservatrice nel governo del mondo?!).

In effetti, otto super miliardari detengono la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari!) di metà della popolazione più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone. Il rapporto Oxfam analizza quanto il gap tra ricchi e poveri stia aumentando: multinazionali e super ricchi continuano ad alimentare la disuguaglianza, massimizzando i profitti anche a costo di comprimere verso il basso i salari, facendo ricorso a pratiche di elusione fiscale, ed usando il proprio potere per influenzare la politica.

È necessario un profondo ripensamento dell’attuale sistema economico, che fin qui ha funzionato a beneficio di pochi fortunati, e non della stragrande maggioranza della popolazione mondiale. “È osceno che così tanta ricchezza sia nelle mani di una manciata di uomini, che gli squilibri nella distribuzione dei redditi siano tanto pronunciati, in un mondo in cui 1 persona su 10 sopravvive con meno di 2 dollari al giorno”, ha sostenuto Roberto Barbieri, Direttore Generale di Oxfam Italia, “la disuguaglianza stritola centinaia di milioni di persone, e, condannandole alla povertà, rende le nostre società insicure e instabili, compromette la democraziala voce del 99 % dell’umanità rimane inascoltata, perché i governi mostrano di non essere in grado di combattere l’estrema disuguaglianza, continuando a fare gli interessi dell’1% più ricco: le grandi corporation e le élites più prospere”.

Si ricorda che Oxfam (acronimo che sta per “Oxford Committee for Famine Relief”) è nato nel Regno Unito nel 1942, per portare cibo alle donne e ai bambini greci stremati dalla guerra; nel 1965, adotta definitivamente il nome “Oxfam”, e, con il passare degli anni, interviene portando aiuto nelle più importanti crisi del mondo, come in Cambogia dopo la caduta di Pol Pot, o in Etiopia vittima della carestia nel 1984… Parallelamente, sviluppa ricerche e studi di settore, ponendosi come “think-tank” mondiale di esperti nei temi dello sviluppo. Alcuni dei dati su cui Oxfam concentra l’attenzione: “l’1 % della popolazione mondiale possiede, sin dal 2015, più ricchezza netta del restante 99 %… 1 persona su 10 nel mondo vive con meno di 2 dollari al giorno… 7 persone su 10 nel mondo vivono in Paesi in cui la disuguaglianza è aumentata negli ultimi 30 anni… 10 tra le più grandi multinazionali hanno generato nel 2015/16 profitti superiori a quanto raccolto dalle casse pubbliche dei 180 Paesi più poveri al mondo…”. E guardando all’Italia: “l’1 % più ricco era in possesso nel 2016 del 25 % della ricchezza nazionale netta. Da soli, i primi 7 miliardari italiani possedevano più ricchezza del 30 % più povero dei nostri connazionali…”.

Cosa chiede “Numero Pari”, che – non a caso – ha in Oxfam una delle fonti di riferimento per un’informazione critica?

L’associazione intende “rafforzare l’azione tra ‘eguali’ nei territori, costruendo iniziative locali che uniscano tutte le forze delle diverse organizzazioni e dei cittadini, dando luogo a significative sperimentazioni per un effettivo welfare municipale”. La rete, ha osservato don Armando Zappolini, portavoce di “Numeri Pari” assieme a Leopoldo Grosso, si pone come “una reazione dal basso, che vuole dare visibilità alle tante iniziative avviate per aiutare le persone, e una denuncia forte all’opinione pubblica e alla politica, che sembrano essersi distratte di fronte al dramma di milioni di persone in povertà. Mettiamoci due a due accanto, cominciamo a denunciare e a costruire storie e a dire che ci deve essere un futuro possibile, non si può pensare che il mondo possa resistere ancora in questo modo senza esplodere in una reazione devastante e incontrollata”.

È il ‘noi che vince”, ha concluso don Luigi Ciotti, Presidente di Libera, “per un’azione sociale, è necessario unire le nostre forze. Dobbiamo essere un pungolo propositivo perché la politica faccia la propria parte”. Alla rete stanno aderendo centinaia di organizzazioni sociali in tutta Italia. “Numero Pari” si articola in “Nodi Territoriali”, che sviluppano l’attività della rete a livello locale. “Questa rete non ha nessuna etichetta – ha precisato don Ciotti – nessuno ci può mettere il cappello sopra, deve essere libera. C’è stato divorzio tra politica ed etica, dobbiamo recuperare questa forza e dimensione. Dobbiamo recuperare molta umanità nei nostri servizi, nelle nostre realtà e nei nostri rapporti; recuperi anche la politica un’attenzione verso la marginalità. Solo mettendoci nei panni degli altri riusciamo a costruire delle politiche che siano a servizio degli altri. La nostra società viaggia su una doppia corsia, dove il ricco è sempre più ricco e la fascia dell’esclusione si allarga”.

Don Ciotti ha quindi invitato tutti ad “alzare la voce quando altri scelgono il prudente silenzio”, e ha ricordato che, “se oggi i diritti sono così deboli, non è solo a causa di chi li attacca, ma anche di chi li ha difesi troppo fiaccamente. In questi anni, non ho sentito delle voci ferme contro i muri, ho sentito commuoversi tante volte quando i barconi andavano giù ma poi quanta indifferenze e delega. Non ho sentito voci forti e chiare sui 4,6 milioni di persone che vivono in povertà assoluta e sono disperate. Bisogna che uno si fermi e si interroghi”.

Don Armando Zappolini ha segnalato l’esigenza di superare l’“istupidimento” determinato anche da un diffuso torpore delle coscienze, di cui ha buona responsabilità il sistema dei media “mainstream”, con particolare attenzione – aggiungiamo noi – al servizio radiotelevisivo pubblico, considerando la modesta attenzione che assegna Rai a queste analisi critiche, preferendo spesso una informazione di tipo “entertainment”.

Va osservato come sempre più provenga dal Vaticano un grido di allarme rispetto alle ingiustizie che caratterizzano il governo planetario. Si pensi alla grande e concreta attenzione dedicata dalla Chiesa Cattolica, in particolare, alle tematiche migratorie. Il 10 gennaio scorso, in occasione della conferenza stampa per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, con presentazione del messaggio di Papa Francesco (dedicato a “Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”), il sempre pugnace ed eterodosso Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) Monsignor Nunzio Galantino ha segnalato come finalmente qualcosa sembra si stia muovendo in Italia anche nel “trattamento mediatico” delle problematiche migratorie: “negli ultimi tempi ci sono stati buoni risultati: gli operatori sono ben informati, stanno evitando di alimentare scorrettamente equazioni come migrazione = criminalità, islamismo, terrorismo. Queste connessioni causa-effetto restano appannaggio di interventi strumentali. La semplificazione non serve a nessuno”.

Questo miglioramento (a nostro parere lieve, seppur apprezzabile) è in qualche modo confermato da uno strumento di monitoraggio: qualche settimana fa, il 9 dicembre 2016, è stata presentata Roma la quarta edizione dell’utile “Rapporto Annuale” (2016) della Carta di Roma, intitolato “Notizie oltre i Muri”.

Ha scritto Giovanni Maria Bellu, Presidente di Carta di Roma: “Un anno fa, nel presentare la precedente edizione di questo rapporto, definivamo ‘impressionante’ ma ‘non sorprendente’ la quantità di articoli e di servizi televisivi che i media italiani avevano dedicato all’immigrazione nel corso del 2015: una crescita da 70 al 180 per cento nella carta stampata e fino al 400 per cento nelle tv. ‘Non sorprendente’ perché nel corso di quell’anno si erano verificati alcuni eventi che, in base agli ordinari ‘criteri di notiziabilità’, erano di rilevanza assoluta ed era dunque fisiologico che avessero prodotto un gran numero di articoli e di servizi: il naufragio del 18 aprile (a pochi mesi dalla sospensione dell’operazione Mare Nostrum) con 800 vittime, e la morte del piccolo Aylan Kurdi con quella sequenza fotografica che commosse il mondo”. Nell’anno appena trascorso, la situazione è in qualche modo migliorata: “Nel 2016 non si sono verificati eventi di quella portata eppure – ci dice l’analisi dell’Osservatorio di Pavia – quei numeri impressionanti si sono sostanzialmente ripetuti: una leggera flessione quanto ai servizi televisivi, un ulteriore incremento nei titoli delle prime pagine dei quotidiani nazionali. Il dato quantitativo, insomma, si è stabilizzato: si parla molto più di prima dell’immigrazione, anche in assenza di notizie clamorose. Se negli anni passati se ne parlava in occasione di tragedie del mare, di gravi fatti di cronaca nera, dei ciclici aumenti degli sbarchi (le ‘invasioni’) e, spesso in chiave emergenziale, in coincidenza con le campagne elettorali, adesso se ne parla con continuità, quasi tutti i giorni, e vi si arriva attraverso percorsi un tempo praticati, raramente, da pochi specialisti del settore: dalle analisi sull’organizzazione del lavoro a quelle sull’equilibrio del sistema pensionistico, dagli studi sulla nuova imprenditoria ai rimedi per frenare lo spopolamento delle zone interne. Il tema dell’immigrazione è entrato, in modo strutturale e pervasivo, nel sistema dell’informazione”.

Restiamo convinti che continui comunque a prevalere ancora un approccio emotivo (allarmistico e sensazionalistico: spettacolare) su quello razionale (equilibrato e ragionevole: critico), e crediamo che quel che Rai sta facendo su queste tematiche – dalla sensibilità verso il sociale in genere, allo specifico migratorio – sia ancora assolutamente insufficiente ed inadeguato.

Abbiamo già segnalato su queste colonne (vedi “Rapporto Censis: Italia paese ‘ruminante’, anche nel digitale”, su “Key4biz” del 2 dicembre 2016) la differente ricaduta mediale di due rapporti di ricerca strutturalmente differenti, come il “Rapporto Annuale” del Censis ed il rapporto “Diritti Globali” dell’Associazione SocietàInFormazione/Cgil: il primo beneficia di una attenzione dei media e di una rassegna stampa impressionanti, il secondo di accurate ma piuttosto rare segnalazioni giornalistiche. Non è casuale: il primo è un rapporto che non mette in discussione le fondamenta del “sistema”; il secondo propone invece una interpretazione critica dei dati ed analisi che contestano le fondamenta stesse del sistema (la globalizzazione neocapitalistica).

Questa differente “potenza di fuoco” nella notiziabilità è comprensibile, secondo le logiche di mercato, ma non secondo quelle del “servizio pubblico”: per capirci, riteniamo che un “public service broadcaster” come Rai dovrebbe prestare – esemplificativamente – maggiore attenzione all’effervescente rapporto “Diritti Globali” piuttosto che al tradizionale “Rapporto Annuale” del Censis. E così invece non è. Chiediamo troppo, ne abbiamo coscienza: ci piacerebbe una Rai laboratorio di analisi critica della realtà, di stimolazione di letture plurali del mondo, non riproduzione conformista dell’esistente…

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