Progetto

ilprincipenudo. Il Mibact lancia il Portale della Canzone Italiana (in alleanza con Spotify)

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

il Ministro Franceschini lancia il Portale della Canzone Italiana, bella iniziativa, ma strategicamente debole, in collaborazione fra gli altri con il gigante dello streaming Spotify.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Questa mattina, presso la sede della “Stampa Estera” a Roma (a voler enfatizzare il carattere di promozione internazionale dell’iniziativa), è stato presentato il Portale della Canzone Italiana – Canzone Italiana 1900-2000 (www.canzoneitaliana.it), iniziativa che lo stesso Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini ha prontamente annunciato sul proprio profilo Twitter (intitolato “RetwittoLaPolitica. La politica in 280 caratteri”): “Una scheda per ognuna delle 200.000 canzoni dal 1900 al 2000 e la possibilità di ascoltarle gratuitamente! Alla vigilia di #Sanremo un archivio della canzone in 8 lingue che nessun paese al mondo ha!”.

Canzone Italiana” così si autodescrive, nell’homepage del sito web: “Canzone Italiana è una piattaforma per l’ascolto on line dell’inestimabile patrimonio sonoro di oltre un secolo di canzone italiana, dal 1900 al 2000 e nasce l’obiettivo di diffondere questa importante parte della nostra cultura a un target multigenerazionale. Caratteristica distintiva del sito è il recupero storico, analitico e ragionato di una produzione fono-discografica che si presenta oggi, soprattutto in rete, dispersa e non organizzata”.

L’iniziativa è senza dubbio valida, e va dato atto al Ministro Dario Franceschini di aver mostrato, nell’arco del suo mandato, una apprezzabile capacità di “sdoganare” anche forme culturali che, in Italia, sono state oggetto di ri-valutazione (anche da parte dell’accademia, oltre che delle istituzioni) soltanto in anni recenti: dai videogame alla musica pop, appunto.

Abbattute le barriere (retaggio di una qual certa cultura snob e dell’eredità crociana), il problema viene subito dopo: che “strategia” assegnare all’intervento dello Stato nel settore?! E, qui, purtroppo, emergono non poche criticità.

Per ben “governare” un settore dalle grandi valenze socio-economiche, qual è l’industria culturale, è indispensabile una strumentazione tecnico-cognitiva all’altezza della sfida. E questa “cassetta degli attrezzi”, spesso, purtroppo, non c’è.

La presentazione di questa mattina conferma infatti la contraddizione tra una direzione corretta ed una strumentazione fragile.

In cosa consiste il Portale?!

Si pone come “la testimonianza più completa del patrimonio musicale italiano, noto per la sua unicità in tutto il mondo; è una vera e propria enciclopedia sonora, una bandiera musicale, un ulteriore preziosissimo elemento del “Made in Italy”. È composto da migliaia di brani provenienti dalle raccolte dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi – Icbsa (denominazione recente della ex Discoteca di Stato, ndr) progressivamente implementate in collaborazione con archivi pubblici e privati”. Il patrimonio del portale comprende il catalogo di incisioni edite dell’Icbsa insieme a materiale inedito, soprattutto legato alla tradizione popolare e demo-etno-antropologica. Questi materiali sono consultabili per genere, autore, interprete, musicista, unitamente a “sezioni tematiche” (vere e proprie “playlist”) ed a materiali grafici delle produzioni, per offrire un panorama completo del patrimonio inciso della canzone italiana. Le raccolte tematiche sono il risultato dell’organizzazione dei brani in “itinerari musicali”: queste “playlist” rappresentano un livello di approfondimento maggiore, e sono curate da famosi artisti italiani e da esperti del settore.

I brani messi a disposizione sono fruibili in maniera gratuita, e catalogati secondo un metodo che permette un “viaggio” lungo 100 anni, dalle jazz band degli anni ‘20 passando per il rock e le canzoni d’autore. Il Ministro ha annunciato che si prevede di implementare l’archivio musicale nell’ordine di almeno 5.000 brani al mese, ovvero 60.000 l’anno.

L’iniziativa è nata in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur), il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci), la Società Italiana Autori Editori (Siae), alcune associazioni di produttori, autori, interpreti, musicisti, esperti, privati collezionisti…

Il progetto è coordinato da Paolo Masini (Consigliere del Ministro) e da Massimo Pistacchi (Direttore dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi). Partner è Ales spa, società “in-house” del Ministero, nelle persone di Carolina Botti, Carla Gobbetti, Gianluca Colabove. Collabora anche Veronica Di Quattro per Spotify, che viene definito “Main Streaming Service Partner”. Sono coinvolti nel progetto anche Amazon Aws e Wikimedia Italia.

La presentazione è stata coordinata, con eleganza, da Paolo Masini, ed ha visto gli interventi di artisti del livello di Mogol, Tosca, Ambrogio Sparagna e Nicola Piovani.

Sia consentito osservare come i primi due si siano dichiarati entusiasti, ma abbiano approfittato dell’occasione per narcisisticamente bearsi di loro personali iniziative: Mogol ha enfatizzato la qualità del suo Cet alias Centro Europeo di Toscolano (da quella scuola, è però emersa finora soltanto una cantante di successo, ovvero Arisa); Tosca ha parlato della qualità della sezione musicale della Officina delle Arti “Pier Paolo Pasolini” (che si autodefinisce “laboratorio creativo hub culturale”: si tratta di un percorso di “alta formazione” professionale sostenuto dalla Regione Lazio, ed in particolare dal Presidente Nicola Zingaretti, così come la Scuola d’Arte Cinematografica “Gian Maria Volonté”, ma senza che nessuno si sia preso la briga di studiare se esiste una domanda di queste professionalità, dato che a Roma è ben attiva da molti decenni una scuola di eccellenza come il Centro Sperimentale di Cinematografia – Csc), di cui è coordinatrice.

Ambrogio Sparagna ha proposto un discorso appassionato sull’importanza della riscoperta delle tradizioni popolari musicali come collante per una comunità conscia della propria storia socio-culturale.

Nicola Piovani, con simpatica onestà, ha segnalato che non aveva alcuna cognizione di questo progetto di “Portale”, di cui ha appreso l’esistenza allorquando ha ricevuto l’invito per la presentazione odierna: si è naturalmente dichiarato favorevole all’iniziativa, ma ha anche proposto un discorso piuttosto radicale sul “qualitativo” vs “quantitativo”, segnalando che non necessariamente un brano musicale di successo è di qualità, ed invitando a non sottostare al dominio del quantitativo. Volendo, si potrebbe anche leggere, tra le righe, una velata critica ad una qual certa esaltazione del “mercato”, che caratterizza una parte delle politiche neoliberiste del Ministro Dario Franceschini.

A proposito di “mercato”, il Ministro Dario Franceschini ha segnalato come l’iniziativa vada nella direzione di una miglior promozione del “made in Italy”, ed ha rimarcato come il Portale sia già proposto in 8 lingue (italiano ovviamente, ma anche inglese, francese, spagnolo, tedesco, russo, cinese, giapponese), alle quali presto si aggiungerà anche il portoghese. Crediamo che altro, ben altro, ci vorrebbe, per una seria promozione del sistema culturale italiano a livello planetario: e qui ricordiamo che non esiste ancora in Italia una agenzia internazionale per la promozione del cinema, dell’audiovisivo, della editoria, della musica, della moda

Il progetto del Portale della Canzone Italiana, ha tenuto a sottolineare il Ministro, va inserito tra le innovative sensibilità mostrate dai Governi Matteo Renzi e Paolo Gentiloni rispetto all’industria culturale, “come la nuova Legge sullo Spettacolo dal vivo: all’articolo 1, comma 3, essa riporta che ‘La Repubblica riconosce il valore delle espressioni artistiche della canzone popolare d’autore’, un passo importante per vedere finalmente la canzone superare la concezione di prodotto di serie B. Non solo: abbiamo finanziato con 3 milioni di euro la creazione della Casa dei Cantautori a Genova, e stiamo lavorando per ampliare l’offerta per il 21 giugno, giorno della Festa della Musica”.

Massimo Pistacchi, Direttore dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi, ha spiegato che, “per la prima volta, il grande archivio dei beni sonori e audiovisivi entra nel mondo del web, con le sue competenze e il suo patrimonio. Il progetto è nato nel giugno 2016, su precisa indicazione del Ministro, e si è mosso su due presupposti: da un lato, che la canzone italiana rappresenti una parte importante del patrimonio culturale nazionale; dall’altro, che sia uno specchio fedele della nostra storia, tanto che ormai da tempo gli storici interrogano le canzoni come dei documenti affidabili a tutti gli effetti”.

La lunga presentazione (durata oltre un’ora e mezza) è stata molto affollata: tra gli astanti, il Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo Onofrio (detto Ninni) Cutaia ed il Direttore Generale della Siae Gaetano Blandini.

Nessuna domanda dei giornalisti (italiani o “esteri” che fossero), se non da parte di un collega che si è domandato se vi fossero stati problemi in relazione al massimo rispetto del diritto d’autore. Il Direttore dell’Istituto Massimo Pistacchi ha segnalato che la questione è stata forse sottovalutata, nella fase iniziale del progetto, ma ha rimarcato che la società svedese Spotify ha mostrato grande disponibilità nel collaborare all’iniziativa. Si ricorda che Spotify è un servizio musicale che offre lo “streaming on demand” di una selezione di brani di varie case discografiche, “major” ed etichette indipendenti: gli abbonati, a livello planetario, sarebbero attualmente oltre 60 milioni. Valutata nel 2015 a 8,5 miliardi di dollari Usa, le stime più recenti porterebbero il suo valore di mercato ad addirittura 20 miliardi, ed è imminente (entro la primavera) la quotazione a Wall Street. Nell’ultimo anno, il suo il fatturato è cresciuto del 43 %, superando i 3,3 miliardi di dollari.

Ad inizio gennaio 2018, Spotify è stata citata in giudizio da Wixen Music Publishing (titolare esclusivo delle licenze di “band” ed artisti come i Doors e Neil Young, con un catalogo di quasi 11mila brani), per “violazione del copyright”, con una richiesta di risarcimento danni di 1,6 miliardi di dollari… Si ricordi che l’anno scorso, Spotify, al fine di evitare future vertenze legali, ha raggiunto un accordo con autori ed editori, accettando di pagare 43 milioni di dollari in diritti d’autore, proprio nella prospettiva della quotazione (Wixen Music non accettò la proposta)…

Or bene, qui sorge spontanea una domanda: ma un aggregatore come Spotify deve essere considerato proprio un alleato dell’industria creativa?! Non si tratta forse di una multinazionale della globalizzazione digitale che sta sfruttando la creatività musicale, estendendo sì l’accesso dei potenziali fruitori, ma al contempo vampirizzando i diritti degli autori e degli editori?!

La questione è sostanzialmente la stessa che si pone con YouTube: siamo sicuri che lo Stato (gli stati nazionali) debba (debbano) inchinarsi di fronte allo strapotere di questi soggetti, che non sono esattamente dei benefattori (per quanto oggettivamente estendano l’offerta)?

Esiste letteratura scientifica che pone in dubbio la retorica della straordinaria positività dell’avvento degli “over-the-top”, delle “piattaforme”, dei “social network”, degli “aggregatori” e… compagnia cantando.

L’industria creativa, a livello planetario, soffre di una grande continua strisciante pauperizzazione.

Vogliamo riflettere criticamente sulle conseguenze di questo processo?!

Il Ministero ha coscienza che l’industria musicale italiana soffre di una crisi di fatturato ovvero una stagnazione che è impressionante quanto inquietante?! Secondo le ultime stime Deloitte divulgate da Fimi – Federazione Industria Musicale Italiana nel maggio 2017, il totale dei ricavi resta stabile in Italia a quota 149 milioni di euro di fatturato, con un modestissimo incremento dello 0,4 %, anche se la quota dello “streaming” è cresciuta del 30 %. Il digitale non sta determinando una crescita dei ricavi complessivi dell’industria, e certamente nemmeno dei musicisti… Dichiarava allora, commentando i dati il Ceo di Fimi Enzo Mazza: “La forte differenza tra i ricavi da video streaming e audio, lascia ancora emergere il tema del value gap con piattaforme come YouTube, sulla quale vengono realizzati miliardi di stream (la piattaforma di video sharing è utilizzata per ascoltare musica dall’89% degli italiani – fonte Ispsos Connect 2016,) ma che genera pochissimi centesimi per gli aventi diritto a causa di un baco normativo comunitario. Se l’Europa attribuisse una connotazione giuridica univoca per piattaforme come Spotify, Deezer o YouTube i ricavi generati dal video sharing potrebbero anche raddoppiare”.

Ha provato il Ministero a studiare seriamente le ragioni del processo in corso, ad inventarsi una qualche strategia – culturale ed economica – di contrasto alla deriva in atto?!

Il “Portale” è bella iniziativa, ma francamente fragile assai, rispetto a queste dinamiche critiche in atto.

Abbiamo dedicato una mezz’ora a “testare” il sito, e francamente non ci ha entusiasmato, a partire da una discreta incomprensibile lentezza del motore di ricerca interno, e da una discreta confusione nelle strutture ad albero. Cliccando esemplificativamente sul motore di ricerca. il nome di un’artista (non granché famosa, ma a parer nostro eccellente) come “Ginevra Di Marco”, è emersa soltanto la scheda di una sua canzone, “Lilith”, senza alcuna indicazione analitica e critica (non è indicato nemmeno a quale disco appartiene il brano, l’anno di edizione, gli autori, eccetera…). E si può ascoltare soltanto una manciata di secondi, dato che poi si è costretti ad iscriversi (per quanto “gratuitamente”) a Spotify

Ci si domanda: ma la versione presentata questa mattina è ancora una… “beta”?! Come tale non è stata presentata, anche se questa specificazione appare nel piè di pagina del sito, laddove è indicato il copyright (© Icbsa).

Abbiamo tentato con un’altra cantantessa a noi diletta, Nada, ed i risultati sono stati maggiori (come titoli emersi), ma assolutamente confusi.

Francamente, per come è stato annunciato e per la serietà dell’ente promotore (la ex Discoteca di Stato), ci si attenderebbe una maggiore accuratezza “filologica” e “storica”. Insomma, apparato critico?! Zero!

Questa la composizione del “Comitato Promotore” del progetto: Dario Franceschini, Renzo Arbore, Mogol, Filippo Sugar, Ferdinando Tozzi, Ernesto Assante, Gino Gastaldo, Massimo Pistacchi, Paolo Masini, Paolo Prato, Luciano Ceri, Paola Passarelli, Enzo Mazza (per la Fimi/Scf), Giordano Sangiorgi (Audiocoop), Andrea Micciché (Nuovo Imaie), Gianluigi Chiodaroli (Itsright), Mario Limongelli (Pmi), Cristiano Minellono (Afi), Roberto Razzini (Fem), Tony Verona (Anem).

I critici musicali coinvolti non ci sembra rappresentino proprio uno spettro di pluralismo estetico-culturale: il progetto di “Portale” sarebbe certamente stato più plurale e stimolante, se fossero stati coinvolti anche musicologhi ed esperti come – esemplificativamente – Dario Salvatori, Carlo Massarini, Alfredo Saitto

Altra questione: quanto è costato e quanto costa il progetto di Portale della Canzone Italiana?!

Non è dato sapere, e qui si riproduce per un’ennesima volta l’abituale deficit di trasparenza delle politiche culturali italiche: in questo, il Ministro Dario Franceschini purtroppo non s’è granché adoprato per il necessario salto di qualità, allineandosi ad una non commendevole “cultura amministrativa” dei suoi predecessori. Non dovrebbe essere ormai naturale (anzi meccanico ovvero automatico) che, quando si presenta un’iniziativa finanziata da risorse pubbliche venga esplicitato in modo chiaro e preciso qual è il budget della stessa?! Soprattutto in un settore così delicato della vita nazionale, qual è la cultura.

Si ha ragione di ritenere che buona parte delle risorse del Portale della Canzone Italiana vengano dalla società “in house” Ales alias Arte Lavoro e Servizi S.p.A.. E quante da Siae?!

Queste diffuse criticità in materia di trasparenza spesso determinano talvolta anche curiosi effetti-boomerang. È di questi giorni una denuncia di un sindacato: il 1° febbraio, Confsal-Unsa ha addirittura richiesto la chiusura di Ales spa ed ha chiesto alla Corte dei Conti, alla Procura, all’Anac di indagare: “Al Mibact, la gestione delle risorse umane passa esclusivamente per clientele politiche soprattutto attraverso la società in house Ales Spa. che sforna bandi di concorso su misura e che utilizza fondi che gli gira il Mibact (nel prossimo triennio la Ales incasserà oltre 20 milioni di euro)”, ha dichiarato Antonio Parente, Segretario Regionale Campania della Confsal-Unsa Beni Culturali. “Mentre gli idonei del Mibact sono praticamente senza speranze, gli uffici del Ministero vengono popolati da personale Ales. Al Mibact, ci sono Direzioni Generali con organici il cui contingente Ales arriva al 60 %: una vera vergogna, una situazione incresciosa che fa comodo a certa politica dalle vecchie logiche ‘democristiane’. Ora basta, diciamo di cominciare a pensare alla chiusura della società Ales, fermo restando una norma di salvaguardia per il personale, che tra l’altro è rimasta coinvolta in una delle inchieste giudiziarie su Pompei in quanto società affidataria dei servizi di custodia, che preannuncia una segnalazione alla Procura della Repubblica di Roma. Alla Procura Generale della Corte dei Conti e all’Autorità Nazionale Anticorruzione diciamo invece di indagare sulla gestione del fiume di danaro pubblico che arriva ad Ales dal Mibact”.

Non entriamo ovviamente nel merito della denuncia (anche perché un serio discorso analitico e critico su Ales spa richiede ben altra attenzione), ma la riportiamo, per correttezza giornalistica, perché evidenzia che un qualche deficit di trasparenza, anche in questo caso, c’è, sulle funzioni di Ales spa e sul suo rapporto col il dicastero da cui dipende.

Ad una domanda di un collega, a margine della conferenza stampa, il Ministro ha risposto che il costo del portale “Canzone Italiana” sarebbe stato, fino ad oggi, per due anni di lavoro, nell’ordine di 217mila euro: se il dato è questo (immaginiamo al netto delle risorse interne del dicastero), il risultato presentato oggi appare all’altezza del modesto impegno finanziario.

Infine, ci si domanda anche se i promotori del portale, nel denominarlo, abbiano avuto coscienza che esiste un altro sito web dal nome assai simile: “lacanzoneitaliana.it”. In effetti, cercando su motori di ricerca come Google, il nuovo sito web ministeriale non è indicizzato ancora (d’altronde, pare sia stato pubblicato online soltanto questa mattina), e non se ne riscontra traccia, ed emerge invece prepotente il sito con l’articolo (“lacanzoneitaliana”)… Curioso poi che, del sito web del progetto ministeriale www.canzoneitaliana.it, risulti, come proprietario, Carlo Sperati, commercialista in Roma.

Alla fine, non “sono solo canzonette”, come cantava sarcasticamente Edoardo Bennato