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ilprincipenudo. L’immagine distorta delle migrazioni

Angelo Zaccone Teodosi

Mercoledì mattina 8 novembre 2017, presso un’affollatissima sala dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci), è stata presentata la nuova edizione del “Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017”, una iniziativa di studio e sensibilizzazione frutto del partenariato tra Anci (e del suo braccio operativo nelle attività di ricerca, Cittalia), Caritas Italia e Fondazione Migrantes (entrambi organismi pastorali della Cei  Conferenza Episcopale Italiana), Servizio Centrale dello Sprar, in collaborazione con Unhcr (ovvero l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati).

Si tratta di una iniziativa encomiabile, che propone un rendiconto accurato e dettagliato delle attività dello “Sprar”, ovvero del Servizio Centrale – Struttura di coordinamento del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, ovvero del servizio del Ministero dell’Interno che in Italia gestisce i progetti di accoglienza, di assistenza e di integrazione dei richiedenti asilo a livello locale (il servizio è stato istituito dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, meglio nota come “legge Bossi-Fini”, ed è forse una delle poche iniziative che si salvano di quelle norme, controversa e sicuramente ormai obsoleta). Il Ministero dell’Interno ha affidato all’Anci anche attività come l’implementazione del sistema di informazione, la promozione, la consulenza, il monitoraggio ed il supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di accoglienza.

Il “Rapporto Sprar”, coordinato da Monia Giovannetti, è senza dubbio ben strutturato, corposo (290 pagine) ben curato (quadricromia, carta ad alta grammatura), anche dal punto di vista infografico (il progetto è firmato da HaunagDesign), ed è quasi simile ad un “bilancio sociale”, anche se purtroppo manca un capitolo dedicato alla rendicontazione economica dei costi del progetto, ed una qualche analisi approfondita delle ricadute sul “territorio” e più in generale nella società italiana… Si tratta del solito stramaledetto problema del deficit di analisi di impatto – tante volte denunciato anche su queste colonne – che caratterizza la gran parte delle politiche pubbliche italiane.

Ci piace anticipare una delle “raccomandazioni” che emergono dal “Rapporto Sprar 2017”: “Si auspica una maggiore responsabilità da parte della politica e dei media nella narrazione del tema migratorio, invitando tutti ad un approccio scevro da condizionamenti ideologici e da visioni stereotipate”.

Riteniamo che la questione “comunicazionale” sia assolutamente prioritaria, rispetto alla tematica migratoria: da come un problema viene affrontato dal punto di vista informativo, dipende ormai spesso il “policy making” correlato, soprattutto in un’epoca nel quale la politica è spettacolo (à la Guy Debord), e le decisioni sono “mediali” (con un processo di feedback continuo tra “azione” / “comunicazione”).

La questione è strategica e delicata al tempo stesso: se i curatori del “Rapporto Sprar” fanno del meglio per fornire ai giornalisti ed ai media un set di dati precisi, è incredibile come alcune testate – anche di livello qualificato ed in ambito nazionale – finiscano per distorcere – per superficialità ed ignoranza o per strumentalizzazione partigiana – le informazioni.

Da segnalare, in occasione della presentazione del “Rapporto Sprar”, le slide efficaci proposte dal Presidente di Cittalia, Leonardo Dominici.

Veniamo ai “numeri”: sono 205mila i migranti presenti nelle strutture di “accoglienza” in Italia (dato aggiornato al 15 luglio 2017), a fronte degli oltre 188mila a fine 2016. I “centri di accoglienza straordinaria” (da cui l’acronimo “Cas”) rimangono quelli più utilizzati con 158.607 accolti e assistiti. Segue il sistema dello “Sprar” appunto, con 31.313 presenze, ed i “centri di prima accoglienza” (cosiddetti “Cpa”) con 15mila persone.

Questa la fotografia dell’accoglienza in Italia proposta dal “Rapporto sulla Protezione Internazionale”. Nel report, si sottolinea che dal 2014 al 2016 la presenza di richiedenti nei “Cas” è aumentata molto, ovvero del 286,5 per cento, mentre lo Sprar ha registrato un incremento di circa il 50 %. Nel primo semestre 2017, le Regioni più coinvolte nell’accoglienza sono: Lombardia (13,2 %), Campania (9,3 %), Lazio (8,7%), Piemonte e Veneto (entrambe 7,3 %), Puglia (7,0 %).

Il sistema di accoglienza comprende il 40,5 per cento dei Comuni italiani, ovvero 3.231 Comuni.

Un terzo di questi Comuni è situato in Lombardia (20,3 %) e Piemonte (10,8 %).

L’incidenza più elevata tra Comuni coinvolti nell’accoglienza e Comuni esistenti nella regione riguarda tuttavia la Toscana (sul totale dei comuni toscani ben l’83 % accoglie richiedenti asilo) e l’Emilia Romagna (78,1 %) mentre i valori più bassi sono relativi a Sardegna (17,8 %), Abruzzo (19,3 %) e Valle d’Aosta (20,3 %).

Queste percentuali sono senza dubbio indicative di una maggiore sensibilità socio-culturale prevalentemente delle Regioni del Centro-Nord, e dovrebbe stimolare una adeguata riflessione anche in chiave antropologico-politica… Qualcosa significherà, se sono i Comuni toscani ed emiliano-romagnoli a mostrare il più alto tasso di accoglienza diffusa.

Da segnalare che nel sistema istituzionale dell’accoglienza italiana spicca il contributo della Chiesa italiana, in termini di “posti” messi a disposizione che, nel 2016, sono stati quasi 25 mila: si è trattato di accoglienze nell’ambito dello “Sprar” e dei “Cas”, ma anche nell’ambito di progettualità che hanno visto famiglie e parrocchie accogliere i beneficiari presenti sui loro territori. Impressiona osservare come, a fronte di soltanto un 40,5 % dei Comuni italiani che accoglie, ben un 63,2 % delle diocesi italiane (ovvero 139 su un totale nazionale di 220 diocesi) mostra la volontà e la capacità di accogliere i migranti: in coerenza con il messaggio di Papa Francesco di rendere la chiesa sempre più aperta, in senso metaforico ma anche materiale. Le regioni più coinvolte sono: la Lombardia (con oltre 5.500 accoglienze), il Triveneto (circa 2.700), la Sicilia (2.000). A livello diocesano, le realtà più coinvolte sono Bergamo (con circa 2.200 accoglienze, pari a circa il 10 % del totale nazionale), seguita da Milano (oltre 1.600, pari al 7 %), segue la diocesi di Teggiano – Policastro (Salerno), con quasi 1.000 persone (il 4 %), e subito dopo Firenze e Cremona (entrambe fra le 550 e le 580 persone). Da osservare che, a differenza di quel che avviene a livello “comunale”, ci sono esperienze eccellenti, in ambito “diocesano”, anche in Regioni del Sud… Dal monitoraggio, si rileva inoltre che le strutture complessivamente messe a disposizione dalle diocesi per l’accoglienza sono state 1.755, con una “media” nazionale di 13 persone accolte a “struttura” (da intendere riferita al complesso delle modalità di accoglienza, compresa l’ospitalità nelle famiglie).

Il problema dell’accoglienza ha anche un’altra faccia: il successivo inserimento nella società italiana. Nel corso del 2016, sono uscite dall’accoglienza complessivamente 12.171 persone: di queste il 41,3 % aveva concluso il proprio percorso di integrazione e di inserimento socio-economico. Nel 2015, la quota si fermava al 29,5 %: questo incremento percentuale è una riprova della positività del percorso di integrazione che caratterizza l’accoglienza tramite il canale degli “Sprar” gestiti dai Comuni (è per questo motivo che gli oltre 34mila beneficiari dei progetti Sprar non corrispondono ai posti disponibili – circa 26mila –, dato che i beneficiari restano in accoglienza nei centri “Sprar” per un periodo più breve, dando così la possibilità a più persone di usufruire dei servizi erogati dai progetti).

Comunque, dimostrando la stupidità (o mala fede) di chi teorizza una “invasione” dei migranti verso l’Italia, il “Rapporto Sprar” evidenzia come gli “sbarchi” siano calati del 30 %, a fronte dell’incremento delle “domande di protezione”. Nel 2016, sono sbarcati in Italia 181.436 migranti: di questi, ben 162 mila erano partiti dalla Libia.

Al 30 ottobre 2017, il numero di sbarchi segna quota 111.302, ovvero il 30 % in meno rispetto allo stesso periodo del 2016.

Se a livello mondiale i richiedenti protezione provengono soprattutto da Siria, Afghanistan e Sud Sudan, in Italia gli sbarchi coinvolgono per la maggior parte nigeriani (14mila persone fino a giugno scorso), bengalesi e guineani.

Altra caratteristica tutta italiana è l’aumento delle “domande di protezione internazionale”, a fronte del calo a livello europeo: nel 2016, sono state presentate complessivamente 123.600 domande (+ 47 % rispetto al 2015), ed i dati sulle richieste di asilo registrano un ulteriore incremento nei primi sei mesi del 2017, pari al 44 % in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il tasso di accoglimento delle domande invece si ferma al 43 % (status di rifugiato 9 %; protezione sussidiaria 9,8 %; permesso per motivi umanitari 24,5 %).

Il Direttore Generale della Fondazione Migrantes, Don Giovanni De Robertis (che da qualche settimana ha assunto l’incarico che è stato per molti anni di Monsignor Gian Carlo Perego, eletto Vescovo di Ravenna), ha sostenuto che “la situazione della protezione internazionale in Italia e in Europa ha aspetti in bianco e nero, ma a noi è sembrato importante fornire, oltre a un quadro normativo e statistico, anche la possibilità di ascoltare e incontrare dal vivo persone che vivono ogni giorno e spesso subiscono l’esperienza di ricerca di protezione e le contraddizioni ad essa collegate”.

Il sentimento sempre più diffuso di ostilità ci preoccupa fortemente, e deve farci interrogare anche sulla nostra effettiva capacità di costruire comunità e di alimentare e promuovere una cultura della solidarietà”, ha affermato il Direttore della Caritas italiana Don Francesco Soddu, “come rete ecclesiale i nostri sforzi si concentrano in questa direzione, sperimentando nuove forme di accoglienza, con il coinvolgimento di strutture parrocchiali, diocesane e anche di nuclei familiari”.

Ad ulteriore riprova della sensibilità (spirituale ma anche materiale) della Chiesa cattolica, Don Soddu ha illustrato gli obiettivi dei progetti Cei “Protetto. Rifugiato a casa mia” e “Liberi di partire, liberi di restare”: “non stiamo semplicemente dando una possibilità a chi ha bisogno di una sistemazione alloggiativa, ma stiamo tentando nel contempo una operazione culturale, a partire dai territori, anche quelli di provenienza dei migranti, che hanno bisogno di essere accompagnati in questa complessa sfida posta dalle migrazioni contemporanee. Come tutelare la libertà, comune a tutti gli uomini, di scegliere se partire o restare? Ci proviamo anche con l’iniziativa ‘Liberi di partire, liberi di restare’, promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana. Essa testimonia l’impegno della Chiesa italiana perché cresca la consapevolezza delle storie di chi fugge, si sperimenti un percorso di accoglienza, tutela, promozione e integrazione dei migranti che arrivano tra noi, e non si dimentichi il diritto di ogni persona a vivere nella propria terra. Finanziata con 30 milioni di euro di fondi “otto per mille” Cei in 3 anni, si svilupperà sia su un piano pastorale, sia attraverso progettazioni mirate e concrete. In particolare, verranno sostenuti interventi negli ambiti dell’educazione, della sanità, della promozione di opportunità lavorative, dell’accompagnamento di rientri volontari. I destinatari principali saranno i migranti minorenni e le loro famiglie, nei 10 Paesi di maggiore provenienza dei minori stessi, con un’attenzione prioritaria rivolta all’Africa: un impegno fattivo, per dimostrare che politiche di cooperazione volte a uno sviluppo integrale di persone, comunità e territori sono realmente possibili. Siamo consapevoli che si tratta di una grande sfida. Una sfida che dobbiamo affrontare non nella contrapposizione ‘immigrati sì’ / ‘immigrati no’, ma nel dialogo costante, in maniera dialettica, con un obiettivo chiaro: il bene comune”.

Le dimensioni del budget messo a disposizione dalla Cei sono una testimonianza concreta della sensibilità della Chiesa cattolica italiana su queste tematiche.

Il problema dell’accoglienza va comunque contestualizzato nello scenario globale (planetario): i dati proposti dal “Rapporto Sprar” sono impressionanti, se si pensa che nel mondo ogni giorno 28.300 persone sono costrette a fuggire dalle proprie case. La metà di costoro sono bambini, spesso soli.

Il numero totale di chi scappa da guerra, fame e persecuzioni continua a salire: 65,6 milioni alla fine del 2016, 300mila in più rispetto all’anno precedente. Di questi, 2,8 milioni sono “richiedenti asilo”. Il 55 % viene da Siria, Afghanistan e Sud Sudan, vorrebbero rifugiarsi in Germania o negli Stati Uniti, ma il Paese in cui si ritrovano più spesso è la Turchia.

Ciò nonostante, le “richieste di protezione internazionale” rivolte a Paesi dell’Unione europea continuano a calare: è la conseguenza degli impedimenti attivati per raggiungere l’Europa, dagli accordi tra Ue e la Turchia alla chiusura del canale balcanico, alla costruzione del muro al confine con la Serbia.

Se nel 2015, erano state oltre 1.800.000 le persone in fuga giunte in Europa nel 2016 sono state poco più di 500.000.

La conferenza stampa ha registrato anche una vivace polemica tra il Direttore Generale della Caritas Italiana Don Francesco Soddu ed il Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno, il Prefetto Mario Morcone.

Soddu ha sostenuto: “L’esternalizzazione delle frontiere in Nord Africa ci preoccupa. L’urgenza del contenimento dei flussi, non può indurre a soluzioni che si muovono su un terreno pericoloso sul fronte dei diritti umani. Lo stesso Commissario dei Diritti umani del Consiglio d’Europa, lo scorso 28 settembre, chiedendo chiarimenti sull’accordo con la Libia ha scritto che: consegnare individui alle autorità libiche o ad altri gruppi in Libia li espone a un rischio reale di tortura o di trattamenti inumani e degradanti o punizioni. Il fatto che queste azioni siano portate avanti in acque territoriali libiche non esime l’Italia dai suoi doveri stabilità dalla Convenzione”.

Sono queste le parole pronunciate dal Direttore della Caritas che hanno scatenato la reazione polemica del Capo di Gabinetto al Ministero dell’Interno, Mario Morcone. S’è registrato un eterodosso “botta e risposta” sullo stato dei diritti in Libia e sull’accordo tra Roma e Tripoli.

Morcone ha sostenuto, con piglio deciso: “nessun respingimento da navi italiane. Io non seguo le stupidaggini che dice Amnesty International, né il responsabile dei diritti umani europeo: ancora devono trovare manganelli elettrici che avremmo utilizzato negli hotspot e ancora mi devono dare la prova dei respingimenti di migranti in Libia da parte dell’Italia. Stiamo discutendo di un Paese che sta cercando di ritrovare una sua stabilità, di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Se poi mettiamo in discussione una istituzione riconosciuta dalle Nazioni unite, il discorso è diverso… L’Italia non ha mai rispedito nessuno in Libia, se il Commissario ai Diritti Umani dice questo, dice il falso. Noi abbiamo solo consentito che la Guardia costiera libica salvasse le persone e le riportasse in Libia, ma lo ha fatto la Guardia costiera libica, non lo hanno fatto le navi italiane. Molto spesso, questo tema è usato in modo strumentale riguardo al ruolo che l’Italia ha svolto e svolge rispetto ad altri Paesi europei. L’Italia dal 2014 ha accolto numeri sempre più elevati di persone che cercavano il riconoscimento di un diritto: questo ha portato ad avere oggi in accoglienza 200 mila persone ed a porci il problema di quanto saremmo stati in grado di garantire effettivamente a queste persone”. Secondo Morcone, finora “nessuno si era mai posto il problema delle condizioni delle carceri in Libia: c’erano gli sbarchi, le ong portavano i migranti in Italia e fine… Noi, da tempo, stiamo spingendo a favore delle grandi organizzazioni umanitarie, Unhcr e Oim innanzitutto, perché siano presenti in Libia per garantire un’accoglienza dignitosa”.

La replica della Caritas: alle parole di Morcone, ha subito risposto, in maniera laconica quanto elegante, monsignor Soddu: “Sul terreno del rispetto dei diritti umani in Libia ci sono problemi: credo che questo sia innegabile. Se poi il Commissario Europeo dei Diritti Umani ha detto una bugia… lo apprendiamo qui oggi, e ci fa molto piacere”.

In effetti, il 12 ottobre scorso il Ministero dell’Interno aveva pubblicato un comunicato che riportava le contestazioni del Ministro dell’Interno Marco Minniti rispetto a quanto sostenuto dal Commissario del Consiglio d’Europa sui Diritti Umani Nils Muiznieks, che, il 28 settembre aveva scritto una lettera al Governo italiano chiedendo chiarimenti sugli accordi tra l’Italia e la Libia in materia di immigrazione.

Come dire?! Un caso che rientra nella fenomenologia delle… “fake news”, anche questo?! Riteniamo che il “casus” sia oggettivamente grave, e sintomatico di una patologia diffusa, se il Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno dell’Italia accusa il Commissario Europeo di… “falsità” e “stupidaggini”! Ovvero se queste accuse vengono mosse a chi ha trattato “comunicazionalmente” simili affermazioni.

E che fine ha fatto la sensibilità che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha mostrato nell’estate del 2016, su iniziativa in primis del Commissario Antonio Nicita?! È stata emanata una delibera senza dubbio significativa (vedi “Key4biz” dell’8 novembre 2016, “Immigrati sui media, immagine distorta in Italia”), ma Agcom ha poi effettivamente messo in atto un processo di monitoraggio che possa consentire di comprendere le caratteristiche del sistema informativo italiano, nel trattamento mediatico delle tematiche migratorie (e di tante altre “minoranze”)?! Non risulta. Sia consentito osservare che il “fact checking” ed il monitoraggio critico delle tematiche migratorie non può essere curato soltanto da un gruppo di attivisti sensibili ed appassionati come l’Associazione Carta di Roma

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