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ilprincipenudo. Italiani in fuga? Quanto clamore per la nuova emigrazione

Angelo Zaccone Teodosi

Un’osservazione mediologica anzitutto: stupisce notare come i media italiani (i media “mainstream” almeno, dalle tv generaliste alla stampa quotidiana) dedichino grande attenzione al crescente fenomeno degli italiani che emigrano all’estero, con preoccupazione ed allarme, allorquando le dimensioni quali-quantitative del fenomeno immigratorio sembra rientrino ormai quasi in una rassegnata dinamica di “clamore abitudinario” (le migliaia di immigrati che arrivano in Italia finiscono quasi per “fare notizia” solo nei casi di morte da barcone affondato…).

Questa osservazione critica nasce dalla comparazione della “rassegna stampa e mediale” di due lodevoli iniziative promosse dallo stesso soggetto, ovvero la Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei): se è infatti giunto alla 25ª edizione l’annuale “Rapporto Immigrazione” (l’edizione 2016 è stata presentata il 5 luglio 2016, ne abbiamo scritto anche su queste colonne: vedi “Caritas-Migrantes: 5 milioni di immigrati in Italia. La Cei striglia (di nuovo) la politica”, su “Key4biz” del 5 luglio 2016), ed ha registrato una ricaduta mediale dignitosa ma modesta, invece la 11ª edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” (l’edizione 2016 è stata presentata giovedì scorso 6 ottobre a Roma, presso The Church Palace Domus Mariae, clicca qui per la sintesi in Pdf) ha registrato una rassegna veramente impressionante, con servizi in apertura dei tg Rai e degli altri maggiori broadcaster televisivi, prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali. Eppure – come dire?! – l’ufficio stampa è lo stesso, curato da Raffaele Iaria della Fondazione Migrantes.

Due pesi, due misure, quindi.

A cosa è dovuta questa… asimmetria?!

Ad una differente sensibilità, rispetto a “noi” (gli italiani che emigrano) ed agli “altri” (gli stranieri che migrano verso l’Italia): una sensibilità radicalmente differente, sintomatica di uno squilibrio ideologico, culturale, psichico, e forse finanche istituzionale.

Scrivono nella quarta di copertina della edizione 2016 del “Rim” (acronimo ormai diffuso del “Rapporto Italiani nel Mondo”), don Gian Carlo Perego e Delfina Licata: “L’idea da maturare è il passaggio a una nuova civilizzazione in cui il meticciato non significa tradire la propria origine, ma arricchirsi delle opportunità date dal mondo e dalle innumerevoli culture che lo abitano. Con questo pensiero è possibile sia vivere ovunque restando se stessi e mantenendo la propria identità, sia partecipare alla cittadinanza del mondo, al cosmopolitismo. Una partecipazione che coinvolge e non discrimina, guidata dalla solidarietà e dal rispetto reciproco, dove il dialogo e la interrelazione tra le persone diventa l’unico codice di comprensione al fine di un interesse comune”.

In sostanza, si cerca di proporre una sana interpretazione positiva dei fenomeni migratori – che si declinino in “immigrazione” o “emigrazione” è… indifferente – nella prospettiva di un cosmopolitismo umanistico, che si contrapponga all’omologazione della globalizzazione capitalistica.

In sintesi, il fenomeno dei nuovi “italiani emigranti” può essere letto con chiavi di interpretazione opposte: grave fuga di cervelli e depauperamento cultural-sociale del Paese, oppure arricchimento complessivo del Paese in una prospettiva globalizzata… La questione è complessa, e qui può essere soltanto accennata.

All’edizione 2016 del “Rapporto Italiani nel Mondo” hanno collaborato ben 60 autori, dall’Italia e dall’estero, per un totale di 51 saggi. Va segnalato ed apprezzato che si tratta di un’operazione culturale molto equilibrata: sebbene promosso da un organismo ecclesiale, il “Rapporto” si pone come iniziativa non… chiesistico-chiesastica. Tra i molti saggi (di approccio scientifico laico), soltanto una piccola parte è dedicata a questioni affrontate specificamente da una prospettiva pastorale cattolica.

In effetti, si tratta di un rapporto annuale di analisi e studio che copre un grave deficit cognitivo mostrato dalle istituzioni pubbliche dello Stato italiano: un attivista laico (à la Pannella) si potrebbe domandare: “perché deve essere la Cei a studiare in modo serio queste tematiche (immigrazione o emigrazione che siano) e non i ministeri competenti dello Stato italiano?!”.

Ma è una domanda in fondo retorica quanto oziosa, conoscendo la attuale limitata vocazione al “conoscere per deliberare” (di einaudiana memoria) della Repubblica italiana: ben vengano, quindi, questi contributi, quale ne sia la fonte, soprattutto se non ideologizzati e non “partisan”.

La presentazione del corposo tomo (500 pagine; con un ricco apparato di dati, tabelle, grafici, figure; edito per i tipi della Tau Editrice di Todi; 20 euro il prezzo di copertina) è stata un’occasione interessante di analisi di questo “nuovo” fenomeno.

Dopo il saluto introduttivo di Monsignor Guerino Di Tora, Vescovo Ausiliare di Roma e Presidente della Fondazione Migrantes, è stato proposto un video di sintesi ed una presentazione di Paolo Ruffini, Direttore di Tv2000 (l’emittente televisiva della Cei).

I dati del Rapporto sono stati presentati da Delfina Licata, curatrice del volume, che ha affrontato il tema “La mobilità italiana tra appartenenze multiple e spazi urbani”.

Particolarmente efficace la presentazione “Trasformazioni demografiche e mobilità degli italiani: uno sguardo al passato per capire il presente”, curata da Sabrina Prati, Dirigente Istat (Servizio Registro della Popolazione, Statistiche Demografiche e Condizioni di vita). La popolazione italiana è sempre più anziana, la propensione alla natalità scema: se non ci fossero gli immigrati, il nostro Paese sarebbe destinato al declino demografico.

Stimolante l’intervento di un giovane e simpatico prelato, don Luigi Usubelli, cappellano per la comunità italiana a Barcellona, dal titolo “La pastorale migratoria oggi: giovani italiani a Barcellona”: ormai sono oltre 80mila gli italiani che vivono nella città iberica, che si caratterizza per ospitare anche la maggiore comunità “gay” di tutta la Spagna (in buona parte formata da connazionali), ed è anche una roccaforte degli anarchici… “Un italiano che vive a Barcellona non si sente migrante, perché percepisce la cultura del luogo molto vicina alla propria… Ho incontrato giovani che praticano lavori umili, anche per 3 euro l’ora, pur di non far ritorno in Italia… Qui si sentono vivi, perché comunque riescono a sentirsi partecipi di quello che la città offre”. È una questione essenziale di “senso” esistenziale e di “inclusione” sociale e civile.

Per la voce delle istituzioni: “Italiani nel mondo oggi nel contesto europeo” è stato il titolo dell’intervento del senatore Pier Ferdinando Casini, Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato; “La rappresentanza degli italiani all’estero tra antichi percorsi e nuove prospettive” il Segretario Generale del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (Cgie), Michele Schiavone; “La promozione linguistica come volano del Paese”, a cura di Massimo Riccardo, Direttore Centrale per la Promozione della Cultura e della Lingua Italiana del Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale Maeci. Dei tre interventi istituzionali, l’ultimo ci è sembrato il più stimolante.

Le conclusioni sono state affidate a Monsignor Gian Carlo Perego, Direttore Generale della Fondazione Migrantes, che ha sostenuto: “noi siamo abituati a leggere ogni giorno i numeri degli sbarchi degli arrivi, e non siamo abituati a leggere i numeri delle partenze dall’Italia. 154.000 arrivi sulle nostre coste nel 2015 e 174.000 cittadini italiani in più all’estero nel 2015, di cui 107.000 iscritti all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (Aire), cosa hanno in comune? Entrambi questi mondi migranti in arrivo e in partenza dall’Italia sono per la maggior parte, il 56%, giovani tra i 18 e i 32 anni; il 20% in entrambi i casi sono minorenni; entrambi questi mondi condividono pregiudizi, non accoglienza, solitudine, entrambi, infine, vedono un diritto negato: non hanno il diritto di rimanere nella propria terra…

Cosa hanno di diverso questi mondi giovanili migranti: chi parte dall’Italia, parte per scelta e in libertà; chi arriva e sbarca in Italia è costretto a lasciare il proprio Paese a causa di guerre, disastri ambientali, persecuzione politica e religiosa, povertà estrema…

Cosa ricercano i giovani in partenza e in arrivo? Nuove e pari opportunità sul piano lavorativo, scolastico? Cosa ci insegnano i giovani italiani oggi all’estero? Ci ricordano, e sono il 75% di questo parere, che l’esperienza in emigrazione è utile per un confronto con le diverse culture. Queste migrazioni in partenza e in arrivo chiedono di ripensare le città e le capitali del mondo come luoghi di incontro e non di scontro, valorizzando e ripensando alcuni luoghi come le piazze, le stazioni, i porti, gli aeroporti, le periferie che diversamente rischiano di costruire nella stessa città mondi distanti fra loro. E l’impegno della Chiesa vicina a chi è in cammino oggi chiede di ripensare strade per un accompagnamento integrale della persona, in particolare dei giovani, guardando alle loro esperienze culturali, storie religiose, sogni, per condividere un cammino insieme”.

I lavori sono stati moderati da Carlo Marroni, vaticanista de “Il Sole 24 ore”.

I dati emersi sono senza dubbio intriganti e provocano molte domande: 107mila gli italiani che hanno lasciato il nostro Paese nel corso del 2015; oltre un terzo è rappresentato da giovani ovvero proprio dai “Millennials” (dai 18 ai 34 anni); la “community” degli italiani che vivono all’estero è formata ormai da quasi 5 milioni di persone; nell’arco di un decennio, i connazionali residenti nei Paesi stranieri sono passati da 3 milioni a quasi 5 milioni; la Germania è la prima regione per i trasferimenti, la Lombardia la prima Regione italiana per partenze…

In sintesi: 1 italiano su 12 vive ormai all’estero.

E, peraltro – secondo alcuni – si tratterebbe di dati comunque sottostimati, perché molti non formalizzano il cambio di residenza (ovvero l’emigrazione all’estero), nel timore di perdere l’assistenza sanitaria.

Si legge nel Rapporto della Migrantes: “la mobilità è una risorsa, ma diviene dannosa se è a senso unico, quando cioè è una emorragia di talento e competenza da un unico posto, e non è corrisposta da una forza di attrazione che spinge al rientro”.

I commenti sui media sono stati molteplici, anche perché si tratta di tematica mediologicamente attraente, come abbiamo già segnalato.

Il sempre equilibrato Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato dal Colle un articolato messaggio, che pure riteniamo possa (non diplomaticamente) essere sintetizzato in un concetto essenziale, ovvero “impoverimento”: “la mobilità dei giovani italiani verso altri Paesi dell’Europa e del mondo è una grande opportunità, che dobbiamo favorire, e anzi rendere sempre più proficua. Che le porte siano aperte è condizione di sviluppo, di cooperazione, di pace, di giustizia. Dobbiamo fare in modo che ci sia equilibrio e circolarità. I nostri giovani devono poter andare liberamente all’estero, così come devono poter tornare a lavorare in Italia, se lo desiderano, e riportare nella nostra società le conoscenze e le professionalità maturate flussi migratori che guardano oggi all’Europa e agli Stati Uniti hanno una portata di durata epocale. Affrontarli con intelligenza e con visione è necessario per costruire un mondo migliore con lo sviluppo dei Paesi di origine. La conoscenza e la cultura hanno un grande compito: aiutarci a vivere il nostro tempo cercando di essere costruttori e artefici di uno sviluppo sostenibile, che ponga al centro il valore della persona umana. La nostra cultura, del resto è anche l’immensa ricchezza che gli italiani, nel tempo, hanno seminato nel mondo, abbellendo e rendendo più prosperi tanti territori nei diversi continenti. E questa cultura è poi tornata, accresciuta, nella nostra comunità. Oggi il fenomeno degli italiani migranti ha caratteristiche e motivazioni diverse rispetto al passato. Riguarda fasce d’età e categorie sociali differenti. I flussi tuttavia non si sono fermati e, talvolta, rappresentano un segno di impoverimento piuttosto che una libera scelta ispirata alla circolazione dei saperi e delle esperienze”.

Non a caso molte agenzie e quotidiani hanno titolato: “Mattarella: abbandonare il Paese è talvolta più un segno di impoverimento che non una libera scelta”.

Il leader della Lega Matteo Salvini ha teorizzato che questi dati, a parer suo, rappresenterebbero “la prova di una pulizia etnica in corso: scappano dal Paese in 100mila e sbarcano 150mila clandestini”.

Si è espresso anche il Presidente del Consiglio Matteo Renzi: “la notizia mi ha fatto male, ed è per questo che dobbiamo rendere il Paese più semplice. I ragazzi che vogliono andarsene hanno tutto il diritto di farlo, noi dobbiamo creare un clima che permetta loro di tornare”.

Se vogliamo proprio andare a cercare una pecca, nell’edizione 2016 del “Rapporto Italiani nel Mondo”, è forse da trovare in una qual certa non adeguata attenzione rispetto agli aspetti culturali e mediali delle comunità italiane all’estero (basti pensare ai tanti artisti italiani che operano fuori dal nostro Paese, così come alle decine e decine di testate giornalistiche in lingua italiana, alle emittenti radiofoniche, televisive e web…): è vero che si tratta di una sorta di “no man’s land” della ricerca nazionale, ma crediamo che possa essere invece un filone di studio meritevole di grande attenzione. Si pensi anche alla questione strategica della promozione del “made in Italy”, oltre che della non meno fondamentale prospettiva della cultura italiana nel mondo in senso lato.

In effetti, le risorse che l’Italia destina alla promozione culturale nel mondo sono esigue se non irrisorie, e gli stessi Istituti italiani di Cultura all’estero meriterebbero ben altri budget economici ed attenzione istituzionale (vedi “Key4biz” del 25 giugno 2015: “Gli istituti italiani di cultura all’estero: una ferita aperta del ‘sistema Italia’”), e, ancora, non dovrebbero essere confusi con l’attività che dovrebbe svolgere l’ Istituto per il Commercio Estero Ice (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), l’ente pubblico che ha il compito di sviluppare, agevolare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero.

Si tratta di tematiche rispetto alle quali le istituzioni italiane non dedicano l’attenzione che meritano: basti pensare al più volte avviato (e sempre finito su binario morto) progetto per un “canale internazionale” della Rai, dedicato anzitutto alla grande “community” degli italiani all’estero, ed a coloro che pure possono vantare radici italiane, ma anche a quella parte dell’umanità attratta dall’“Italian way of life” (tra materiale ed immateriale). A fronte di circa 5 milioni di italiani che vivono all’estero ancora titolari di passaporto italico, si stima che siano oltre 60 milioni coloro che sono in qualche modo italofoni, e comunque sensibili al richiamo culturale del nostro Paese. Abbiamo notizie che a viale Mazzini esista attualmente una rinnovata sensibilità in materia, e ci auguriamo che il gruppo guidato da Antonio Campo Dall’Orto sappia presto esprimere un intervento strategico in materia…

Sarà interessante comprendere quanto l’eco di queste tematiche giungerà concretamente in occasione degli “Stati Generali della Lingua Italiana nel Mondo”, che si terranno lunedì e martedì 17 e 18 ottobre a Firenze, con il titolo “Italiano Lingua Viva” (clicca qui per vedere il promo realizzato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; clicca qui per il programma dell’iniziativa sul sito del Maeci). L’evento si terrà in connessione con la XVI Settimana della Lingua Italiana nel Mondo (17-23 ottobre 2016), dedicata quest’anno al tema “Design”, ed intitolata “L’italiano e la creatività: marchi e costumi, moda e design”. Nel corso dell’evento, sarà lanciato il nuovo “Portale della Lingua Italiana nel Mondo”.

Ne scriveremo presto su queste colonne, ma confessiamo che le preoccupazioni latenti sono tante, a causa di quella diffusa frammentazione istituzionale degli interventi che purtroppo ancora caratterizza la promozione della cultura italiana nel mondo (così come la promozione del “made in Italy” o del turismo)…

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