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ilprincipenudo. Il fantasma di Auditel, obsoleto ma immortale? Serve un nuovo ‘monitoraggio’ della tv italiana

Angelo Zaccone Teodosi

Il fantasma di Auditel è immortale per quanto obsoleto, e crediamo che non sarà agevole fare in modo che la deriva “quantitativa” della televisione italica possa essere realmente contrastata, anzitutto perché Auditel incarna uno dei “poteri forti” del sistema nazionale, e deboli assai appaiono invece i soggetti che dovrebbero stimolare un riequilibrio delle strumentazioni cognitive, in primis l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Delle belle iniziative della cosiddetta “società civile” (Articolo 21, per esempio), poi, che dire?! Deboli, frammentarie, inascoltate, anche se meriterebbero invece attenzione, sia da parte dei media sia da parte della politica: il che non avviene (fatte salve lodevoli eccezioni, come i quotidiani “Key4biz” o “Avvenire”), ed un qual certa ragione deve esserci.

Alcune premesse: in tutti i Paesi del mondo, esistono strumentazioni ad uso e consumo degli inserzionisti pubblicitari, che debbono essere pur liberi di studiare come meglio ritengono il mercato sul quale intervengono con i loro investimenti. Quindi, “in sé”, Auditel non può essere demonizzato: diventa però un “demone”, allorquando la sua influenza fuoriesce dal confine degli utenti pubblicitari, e diviene uno strumento infernale (appunto) di regolazione monocratica dell’assetto del sistema televisivo, ovvero di influenza determinante nelle politiche editoriali dei “broadcaster”. In assenza, appunto, di “contropoteri”.

Se l’Agcom facesse il proprio dovere e se Rai non si fosse assoggettata anch’essa allo strapotere di Auditel (vedi anche alla voce “pubblicità” come fonte di ricavi del “public service broadcaster” Rai), probabilmente la “macchina infernale” avrebbe una potenza ben inferiore di quella che ha assunto nel corso dei decenni come “decisore” di vita e morte dei programmi televisivi di maggior “appeal” nelle fasce orarie di maggior ascolto. La degenerazione dei sistemi di rilevazione della “qualità” della Rai (dal Servizio Opinioni all’Indice Qualità e Soddisfazione – Iqs ovvero all’attuale inutile cosiddetto “mini Qualitel”) dimostra poi come il servizio pubblico abbia rinunciato a porsi come “contraltare” della Weltanschauung pubblicitaria dominante (si veda anche “Key4biz” del 29 luglio 2015, “Il numero zero del ‘bilancio sociale’ Rai: più ombre che luci”). Auditel finisce per divenire un riduttore di diversità del “public service broadcaster” ed un moltiplicatore di conformismo.

In verità, basterebbe fare in modo che i dati Auditel non venissero divulgati giornalisticamente, e restassero nelle “segrete stanze” delle agenzie media e delle direzioni marketing dei grandi utenti pubblicitari (oltre che ovviamente delle direzioni editoriali dei canali televisivi), senza essere strombazzati quotidianamente dalle agenzie di stampa: un simile divieto (che cortocircuiterebbe il sistema, rispetto al “decision making” dei palinsestisti), però – sostengono alcuni – rappresenterebbe un limite alla libertà di opinione e di stampa…

In sostanza, però, non si può addossare soltanto ad Auditel la responsabilità della deriva “omologativa” del sistema televisivo italiano, di cui sono assolutamente correi Agcom e servizio pubblico.

Chi ha consentito allo strumento Agcom di divenire il “giudice” unico della televisione italiana?!

Auditel deve essere libero di “governare” il mercato pubblicitario della televisione, ma non di governare la televisione tutta, “tout-court”, come se rappresentasse un’ordalia (un inappellabile giudizio di iddio).

Non si muove foglia, che Auditel non voglia, anche in Rai, sostengono gli autori televisivi ed i produttori, e quindi la subordinazione del processo decisionale rispetto alla realizzazione e messa in onda di contenuto sembra essere predominante, fatti salvi i rarissimi casi di dirigenti televisivi che talvolta ostinatamente sostengono un programma anche controcorrente (ovvero a fronte dell’insuccesso “accertato” da Auditel).

Lo strumento Auditel è approssimativo, tecnologicamente vetusto, statisticamente debole, e certamente non fornisce un’immagine esattamente realistica delle modalità di effettiva fruizione del mezzo, a fronte di uno scenario sempre più multi-piattaforma, nel quale tante sono le possibili fruizioni, grazie a “device” sempre più evoluti.

Come è noto, il margine di errore di Auditel cresce quando è più basso l’ascolto del singolo canale monitorato, e quando la trasmissione televisiva dura molto poco (per esempio, un telegiornale flash), e quanto più è alto il numero delle persone che guardano lo stesso programma nella famiglia…

Come ha precisato la stessa società, stimare il “margine di errore” nel suo complesso è pressoché impossibile, “perché troppe sono le variabili in campo”. Nel prime-time, il margine dell’errore statistico viene stimato da Auditel nell’ordine del 2% soltanto.

Qualcuno, tra i gli avversari di Auditel, benedice… “la stagista di Nielsen” (immaginiamo “licenziata” in tronco) che ha provocato il terremoto di inizio ottobre ed ha innescato il cosiddetto “Audigate”: come ha anticipato il “Corriere della Sera” nell’edizione del 9 ottobre, con un articolo di Massimo Sideri, quel che potremmo definire un “errore umano” – è stata svelata l’identità di alcune migliaia di famiglie facenti parte del “campione” demoscopico (circa 4mila famiglie su un totale di 5.600 avrebbero ricevuto via email gli indirizzi e quindi l’identità delle altre) – ha fatto saltare l’intero sistema.

A distanza di pochi giorni, Agcom ha comunicato il 16 ottobre la decisione di “procedere nell’attività istruttoria già avviata”.

Il giorno prima, il 15 ottobre, la stessa società aveva deciso di non diffondere i dati per due settimane, e comunicava che si sarebbe presto (nei prossimi mesi) provveduto a procedere “alla completa sostituzione dell’attuale campione e contemporaneamente proseguirà, come previsto, nel processo di allargamento del numero di famiglie per un totale di 15.600”.

Il 27 ottobre, la pubblicazione dei dati Auditel è ripresa, e la società ha dichiarato che il periodo di sospensione ha consentito di “mettere a punto una ‘Road Map’ che prevede l’integrale sostituzione delle famiglie del campione entro il 30 maggio 2016”.

Durante questo arco di tempo, la rilevazione e la pubblicazione degli indici di ascolto “saranno soggette a procedure eccezionali di controllo, certificate e inviate all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni”. Ed intanto “l’operazione ‘Superpanel’ prosegue senza sosta e resta confermato l’obiettivo del luglio 2016 per ampliare il campione a 15.520 famiglie”. Al di là di ogni polemica e dubbio metodologico, se Auditel decide di triplicare le dimensioni del “campione”, significa – evidentemente – che qualcosa “prima” non funzionasse bene…

Mercoledì 11 novembre, si è tenuto presso la sede romana della Federazione Nazionale della Stampa Italiana un incontro tra coloro che criticano aspramente Auditel: in primis, la giornalista di Radio Vaticana che resta senza dubbio la “pasionaria” della battaglia per esorcizzare il fantasma Auditel, ovvero la simpatica Roberta Gisotti, che ha pubblicato anni fa un pamphlet sull’argomento, ed ha ben chiarito la propria attuale posizione critica anche sulle colonne di questo quotidiano (vedi l’articolo pubblicato su “Key4biz” il 15 ottobre 2015, “Auditel in panne, Casa di Vetro chiusa per ferie”). L’occasione è stata data dalla presentazione in Fnsi di alcuni estratti di un film che Giulio Gargia sta realizzando: una trilogia in itinere, con tre cortometraggi dal titolo significativo: “Il fantasma dell’Auditel”, “Gli ammutinati dell’Auditel” e “La scomparsa dell’Auditel”. Tutti i corti si basano sulle indagini giornalistiche condotte da Gargia e Gisotti, a partire dalla fine degli anni ‘90, in cui si documentavano tutte le criticità al sistema di rilevazioni dell’ascolto, che hanno condotto in questi giorni – per la prima volta nell’arco di 30 anni – alla storica decisione di una pur temporanea sospensione delle rilevazioni.

Hanno partecipato al dibattito – tra gli altri – il creativo pubblicitario Marco Ferri, il mediologo critico Glauco Benigni, il sempre pugnace Vincenzo Vita. Molto interessanti gli interventi di Remigio Del Grosso, neo-componente del Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu) dell’Agcom, e di Antonio Diomede, esponente della Rea – Radiotelevisioni Europee Associate, la più piccola (e meno ascoltata dai “poteri forti”, Ministero incluso) associazione delle emittenti televisive locali.

In particolare, Del Grosso ha sostenuto che, a fronte della decisione assunta dall’Agcom, intende proporre che siano esponenti del Cnu ad entrare come osservatori nel Comitato Tecnico di Auditel.

Va qui peraltro ricordato che, nel silenzio dei più (apprezzabile eccezione l’accurato articolo pubblicato dal sito web del mensile “Vita”), proprio il Consiglio Nazionale degli Utenti è stato ricostituito in questi giorni, e, dopo un lungo periodo di inattività, l’organismo cercherà di riprendere il ruolo che pure la legge gli assegna (anima critica e rappresentante popolare nel cuore dell’Agcom).

I nuovi componenti sono: Remigio Del Grosso, Elisabetta Gavasci, Francesca Giammona, Pietro Giordano, Domenico Infante, Elisa Manna, Angela Nava Mambretti Angela, Paolo Piccari, Stefania Schettini Perillo, Rosario Trefiletti, Emilia Visco.

Da segnalare anzitutto che la maggioranza dei componenti nominati ha già fatto in passato parte del Cnu, e ciò – a fronte dell’evidente sostanziale fallimento delle precedenti consiliature – non stimola grandi speranze rispetto alle capacità dell’organismo di acquisire quella forza critica e soprattutto quella visibilità mediatica che dovrebbe esprimere (vedi supra, alla voce “contraltari”, se non “contropoteri”). Anche perché immaginiamo che la “spending review” si abbatta anche sul Cnu, rendendolo più debole di quanto già non fosse, privandolo di qualsiasi strumentazione tecnica.

Temiamo che il Cnu possa finire ancora una volta per rappresentare una comoda “foglia di fico” rispetto alle orripilanti “nudità” dell’Agcom su differenti fronti: non adeguato controllo del pluralismo politico, non adeguato controllo degli obblighi delle emittenti in materia di investimenti nella produzione indipendente, non adeguata tutela dei minori e – aggiungiamo noi – delle tante “minoranze” del nostro Paese…

Alla fin fine, per… tagliare la testa al toro Auditel, la soluzione è forse quella radicale proposta da Vincenzo Vita, nell’edizione del 14 ottobre sulle colonne del quotidiano “il Manifesto” (nella sua rubrica settimanale “Ri-Mediamo”) ovvero… “Sciogliere l’Auditel”?!

Scrive l’ex Sottosegretario alle Comunicazioni, purtroppo non più parlamentare della Repubblica: “In verità, la conta degli ascolti è il cuore dell’economia politica del settore. Da lì, emergono salite e cadute di mercato, il costo dei contratti pubblicitari, gli equilibri di potere. L’Auditel è stato il perno del duopolio Rai-Mediaset, relegando alla periferia delle ‘altre’ le emittenti estranee all’ordine costituito. C’è chi si è sbizzarrito su certe stranezze, come ad esempio i 400.000 utenti stabili attribuiti a lungo ai concerti lirico-sinfonici. Sarà. L’Auditel, dunque, si abbatte e non si cambia, per riprendere uno slogan del ’68. Un po’ estremo, ma pertinente”.

Crediamo che una proposta così drastica (abbattere e non restaurare la… “Casa di Vetro”, piuttosto che proporre strumentazioni altre e parallele) non abbia grande senso di realtà.

Tre le opzioni realistiche e concrete:

È particolarmente interessante la posizione assunta una decina di giorni fa dal Commissario Antonio Nicita, che sempre più spesso appare come voce “fuori dal coro” dell’Agcom, e che sta provocando intense scosse elettriche ovvero sussulti di risveglio nel corpaccione burocratico spesso dormiente:

“La Commissione Agcom per i Servizi e Prodotti (Csp), della quale non faccio parte, ha adottato nella giornata di ieri un’articolata decisione sul caso Auditel, peraltro respingendo una specifica proposta avanzata dal Presidente Prof. Angelo Cardani e da me pienamente condivisa. La decisione è stata preceduta da una discussione in Consiglio, alla quale ho preso parte e nella quale ho avanzato proposte ulteriori, rispetto a quanto poi deliberato, che a mio avviso avrebbero dovuto costituire punti qualificanti e irrinunciabili della decisione della Csp. In particolare, nella riunione di Consiglio che ha preceduto la decisione Csp, ho proposto: (i.) di dare esecuzione alla nomina di propri rappresentanti nel comitato tecnico, in base ad una delibera Csp rimasta inapplicata da otto anni e (ii.) di avviare un’indagine conoscitiva immediata sull’evoluzione dei modelli di rilevazione, incluso il modello Auditel, e sulle prospettive percorribili in un mercato che cambia. Nessuna delle due proposte che ho avanzato è stata accolta dalla Commissione Servizi e Prodotti nella deliberazione assunta”.

 

Ci piace la chiarezza della coraggiosa posizione e finanche la bella trasparenza nell’evidenziare che il “corpo mistico” dell’Agcom ha al proprio interno anime differenti e opinioni che possono naturalmente essere divergenti: evviva il pluralismo!

La nota ufficiale Agcom recita asetticamente: “La proposta del Presidente di designare già nella seduta di ieri e ai sensi dell’art. 2 della delibera 85/06/Csp, uno o due rappresentanti dell’Autorità all’interno del Comitato tecnico di Auditel al fine di una maggiore garanzia di indipendenza nell’attività di monitoraggio e controllo nel periodo transitorio è stata respinta a maggioranza dalla Commissione”.

Nettamente contrari Antonio Posteraro ed Antonio Martusciello, i due Commissari che compongono la Csp insieme al Presidente. Posteraro ha chiarito che la propria contrarietà è stata dettata dal convincimento che “debba esservi netta separazione tra i ruoli, diversi e contrapposti, di controllore e controllato”.

Perché l’Agcom è così radicalmente spaccata al proprio interno?

Perché la delibera proposta dal Presidente Cardani è stata brutalmente bocciata?

Chi ha timore, e perché, di far entrare una “mano pubblica” nel “sancta sanctorum” dell’Auditel?!

Scrive Gisotti, con tono preoccupato: Auditel rappresenterebbe “farneticanti proiezioni di marketing, irrispettose della dignità delle persone davanti allo schermo televisivo, perché dalle scelte televisive accreditate dall’Auditel alle scelte di consenso socio-politico il passo è breve”.

Perché nessuno ha pensato di chiedere al Presidente Matteo Renzi cosa pensa della delicata tematica Auditel?!

La sua collega di partito, nonché Responsabile Cultura e Turismo del Pd, Lorenza Bonaccorsi il 3 novembre ha dichiarato che la decisione Agcom rendeva indispensabile un’audizione urgente del Presidente e dei quattro Commissari in Vigilanza, ed annunciava una interrogazione parlamentare, che però – ad oggi – non risulta presentata: il 4 novembre, però, il Direttore Generale di Auditel Walter Pancini è stato audito…

Invitiamo i più appassionati a leggere l’intervento (come sempre tecnico ed algido) di Pancini ed il dibattito in Commissione (non particolarmente evoluto: purtroppo, il know how dei parlamentari appare veramente debole) che ne è scaturito. Un passaggio del Dg di Auditel ci ha però inquietato, per il sempre latente rischio di “Grande Fratello” di orwelliana memoria:

Non voglio volgerla in positivo, perché comunque Auditel non ha minimizzato per un solo secondo l’errore umano commesso da un operatore di Nielsen che ha messo a conoscenza incrociata di molte altre famiglie gli indirizzi di e-mail, praticamente i nomi o gli alias di posta elettronica. Commettendo quest’errore materiale, ha causato la potenziale occasione che queste famiglie si parlassero tra loro: a oggi, questo non è accaduto. Ogni minuto di ogni giorno parte un software di controllo molto accurato, quindi questa potenzialità è molto remota”.

Come può il Dg di Auditel sostenere ciò?! Ovvero come può Pancini dichiarare con cotanta sicurezza che una parte delle famiglie del campione Auditel non abbia invece deciso di liberamente interagire con le altre (il che sarebbe peraltro un inedito fenomeno sociologico/mediologico assolutamente interessante)?!

Che diamine di “software di controllo” può consentire l’accesso a libere comunicazioni telematiche tra cittadini (i componenti del “panel” Auditel restano cittadini della Repubblica, fino a prova contraria), se non delle intercettazioni che sarebbero senza dubbio illegali?! Forse Pancini si è espresso male, l’affermazione resta inquietante…

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