L'iniziativa

ilprincipenudo. Il digitale: se lo conosci, lo critichi

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Nasce la prima ‘Scuola critica del digitale’, iniziativa del Centro per la Riforma dello Stato insieme alla Fiom: eterodossa e coraggiosa iniziativa per stimolare la consapevolezza critica della trasformazione.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

L’iniziativa potrebbe essere di quelle destinate a lasciare un segno importante nella storia della politica culturale e mediale del nostro Paese: ieri pomeriggio a Roma, presso la sede della Fondazione Lelio e Lisli Basso, in via della Dogana Vecchia, un manipolo di appassionati studiosi ed operatori del settore si sono riuniti in pubblica assemblea, ed hanno gettato le basi del progetto di una “Scuola di Consapevolezza Critica della Trasformazione Digitale”, un’iniziativa promossa dal Centro per la Riforma dello Stato – Crs e dalla Fiom – Federazione Impiegati Operai Metallurgici di Roma e del Lazio.

Efficace il titolo dell’iniziativa: “Il digitale: se lo conosci, lo critichi”.

I promotori dell’eterodossa e coraggiosa iniziativa ritengono che in Italia il dibattito sulle trasformazioni che la rivoluzione digitale sta determinando negli assetti socio-economici e politici mostri un enorme e preoccupante deficit di capacità critica.

Come non dar loro ragione?!

Da molti anni, si assiste alla riproduzione di convegni e seminari assolutamente ripetitivi e spesso noiosi (“Key4biz” ne rappresenta diligente memoria storica), di approccio soprattutto economico-economicista, ovvero industrial-imprenditoriale, nei quali il guru di turno viene a proporre analisi scenaristiche delle “magnifiche sorti e progressive” della “società digitale”.

Rarissime sono state in Italia le occasioni di analisi critica del “digitale”, se osservato dal punto di vista del “sociale”, inteso come cittadinanza, comunità, società.

Viene ormai dato quasi per scontato che l’habitat “digitale” debba essere sviluppato “naturaliter” sulla base di un paradigma esclusivamente tecnico-economico, che si caratterizza peraltro per una continua retorica positiva (lo stesso Matteo Renzi, nel suo ottimismo ad oltranza, ne è continuo interprete al massimo livello istituzionale): il deficit di interpretazione critica dei fenomeni complessivi è assolutamente evidente, in Italia, sia a livello accademico così come extra-universitario (fatte salve rarissime eccezioni, in primis il laboratorio del Collettivo Ippolita), sia a livello politico-istituzionale (e qui l’indifferenza tra “destra” e “sinistra” è evidente).

L’ideatore primario di questa “Scuola” in gestazione è Giulio De Petra, esperto di innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni, già dirigente pubblico ed attualmente Fellow del Centro di Ricerche Nexa del Politecnico di Torino.

Intorno all’idea primigenia, si sono riunite varie professionalità ed esperienze plurali, tutte però accomunate da una visione critica della società (e quindi del digitale): senza dubbio, la matrice storica che accomuna i partecipanti al progetto va cercata nella “sinistra” (categoria polisemica, e secondo alcuni, ormai finanche evanescente), anche se va precisato che a questa prima riunione fondativa non ha partecipato alcun esponente di forme-partito di sorta (e forse anche questa constatazione deve stimolare una opportuna riflessione su un qual certo ritardo dei partiti nella lettura dei fenomeni sociali in atto).

De Petra ha spiegato come l’idea di questa “scuola critica” nasca dalla verifica che la “rivoluzione digitale” ha paradossalmente prodotto “il contrario” di quel che molti (anche a sinistra) si aspettavano: si è venuta a determinare una diffusa intensificazione dello sfruttamento nella dimensione del lavoro e l’utilizzazione della partecipazione via web si sta rivelando ulteriore strumento di controllo sociale-politico.

A fronte del “rovesciamento delle aspettative”, si assiste al continuo e crescente uso di una “retorica del digitale”, attraverso la quale il “capitalismo sofferente riesce a rispolverare il proprio glamour”. Secondo De Petra, esiste “una domanda sociale di consapevolezza critica”, che in Italia non trova risposta né a livello accademico né istituzionale. Tra i concetti evocati: le piattaforme internet come raffinati dispositivi estrattivi del capitalismo, le tecnologie messe al servizio del consenso politico, la tendenziale “uberizzazione” del lavoro. Sono stati utilizzati termini ormai… “desueti” (almeno rispetto alla retorica dominante dell’ottimismo tecnologistico) come “conflitto”, “resistenza”, “defezione” (un berlusconiano avrebbe concluso che si trattava di un “covo di comunisti”…).

La Scuola nasce anche alla luce di una esperienza di formazione promossa dalla Fiom di Roma e del Lazio, che ha coinvolto alcune decine di sindacalisti. Si ricordi che nella categoria dei “metalmeccanici” rientrano anche i lavoratori di strutture come Ibm o Hp.

Fabio Chiusi, giornalista e blogger (tra i suoi interventi più organici si segnala “L’era dei robot e la fine del lavoro”), ha proposto che la Scuola elabori anzitutto una urgente e profonda “analisi critica del linguaggio”, che destrutturi la propaganda tecno-utopista: “ci hanno rubato le parole”. La retorica del web – da “big data” a “sharing economy” – nasconde crescenti forme di vigilanza sociale, al servizio del post-capitalismo, la cui strategia di sviluppo e dominio è elaborata nella Silicon Valley. Il web si è trasformato da “utopia di libertà” a “distopia di sorveglianza”.

Claudio Di Mambro, dirigente sindacale (responsabile nazionale Fiom del gruppo Capgemini), ha sostenuto che “l’avvento di internet non ha ammorbidito il capitalismo, ma sta trasformando le nostre società in regimi post-democratici, risultato dell’evoluzione del tecno-capitalismo”. Di Mambro ha citato tra gli intellettuali italiani dissidenti (ovvero disorganici rispetto ad una visione “wonderful” del web), Carlo Formenti, Lelio Demichelis ed i già citati attivisti del Collettivo Ippolita. Insomma, i loro libri debbono essere testi obbligatori, nella Scuola che verrà, ed una cattedra per loro è assicurata.

Il mediologo e giornalista Rai (nonché curatore della rubrica fissa “BreakingDigital” su queste colonne) Michele Mezza, pur condividendo il progetto di “scuola critica” Crs-Fiom, ha sostenuto con veemenza che non condivide una visione monodimensionale negativa del digitale: “non è vero che la rete non sia buona di per sé!”. Internet non è “cattivo” in sé, ma il sistema capitalista ri-produce nel web gli interessi di classe. È quindi necessario mettere in atto una “negoziazione politica dei processi di riprogrammazione sociale in atto”. Si domanda Mezza: “chi determina l’anima delle macchine?!” e, ancora, “chi è il soggetto negoziale?!”, che può contrastare lo strapotere di Google, Facebook, Amazon, e del governo degli “over-the-top”, che ha assunto una dimensione planetaria globale che bypassa la sovranità degli Stati Nazionali. Mezza ha ricordato che “Amazon detiene il 97% della memoria cloud del nostro Paese”: qualcuno vuole interrogarsi sulle conseguenze di dinamiche come questa?!

Lelio Demichelis, docente di sociologia economica a Varese (ed autore del recente “La religione tecno-capitalistica” per i tipi di Mimesis, si legga il suo ultimo intervento su “Alfabeta2”, dal titolo “Anime elettriche e piattaforme confessionali”), ha teorizzato di “sistemi autopoietici dalla infinita replicabilità”, quali sono sia “il mercato” sia “la rete”: in verità, “il web non è un mezzo, è il fine”.

La rete non è “un sistema tecnico”, ma è il “nuovo sovrano del mondo”: si è sovra-imposta alle pre-esistenti forme sociali, imponendoci di adattarci all’apparato, vivendo in forme, e con norme, tecniche. Internet consente una estrema individualizzazione dell’individuo soggetto-lavoratore, e ricompone questa parcellizzazione all’interno di processi totalizzanti (si sente l’eco di Foucault): si passa dal “fordismo concentrato” al “fordismo individualizzato”, nella magnifica “grande narrazione”.

Siamo tutti “liberi” (…) e “micro-capitalisti”, ma in verità “la rete è la nuova catena di montaggio”, e di fatto siamo tutti novelli “schiavi”. La nuova “fabbrica” è sui nostri tablet!

Fiorella De Cindio, professore associato all’Università di Milano (titolare della cattedra “Civic Informatics Laboratory”), è partita da un’ironica premessa autoreferenziale: “io ho creduto per venticinque anni in internet come possibile strumento di evoluzione sociale, ora mi trovo a dover riflettere sulle criticità dell’assetto attuale e sulle illusioni svanite”. Ha sostenuto De Cindio (in sintonia con Mezza): “condivido buona parte di queste letture critiche, ma vorrei ricordare che internet è anche uno strumento eccezionale di accesso alla conoscenza e pensate – lo pongo come esempio emblematico – che enormi benefici può trarre un giovane studente africano che ha finalmente chance di accedere al web”. Esiste certamente un incredibile deficit di capacità critica nella gestione del digitale come strumento di interazione sociale, anche da parte delle istituzioni: basti pensare che il Comune di Milano, per stimolare il dialogo con il Sindaco Pisapia, utilizzava una pagina Facebook… “Temo che tra poco Google possa proporci una fantastica piattaforma di televoto!”, e così il “cerchio” (del controllo totale) si andrebbe a chiudere.

Francesca Re David, Responsabile Nazionale Organizzazione della Fiom, ha sostenuto che “non è vero che ci sono meno lavoratori”, ma paradossalmente più lavoratori: “siamo alla fin fine tutti operai (anche inconsciamente) del digitale”. E tutti simpaticamente sfruttati!

Ettore Di Cesare, consigliere comunale di una lista civica a L’Aquila e tra i fondatori della piattaforma Openpolis, ha raccontato della difficoltà di convincere la Giunta comunale a non adottare un sistema di telecamere che controllassero la città in nome di un presunto “ordine pubblico”. Questo concreto esempio è sintomatico della diffusa ignoranza – anche da parte dei politici di professione e degli amministratori pubblici – rispetto ad una lettura critica del web. Ignoranza diffusa – aggiungiamo noi – anche a livello dei vertici apicali di soggetti come il Partito Democratico, anch’esso quasi sempre cantore acritico delle magnificenze economiche e sociali di internet.

Piero De Chiara, intervenuto nella sua veste di consigliere di Antonio Nicita (componente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), ha manifestato il proprio plauso rispetto all’iniziativa, segnalando la propria personale difficoltà, nella veste di “regolatore” Agcom, a contrastare lo strapotere degli OTT e delle loro potenti lobby. De Chiara ha auspicato che “dalla esperienza della Scuola possa scaturire una lobby critica”, rappresentativa della società civile: una nuova lobby, che vada a rappresentare gli interessi di attivisti, ricercatori, operatori del settore, associazioni, cittadini che propugnino una visione non passiva dell’evoluzione digitale.

Sergio Bellucci, presidente di Netleft e socio-mediologo (già Responsabile Cultura di Rifondazione Comunista), ha premesso di non essersi mai annoverato tra gli “apocalittici” o gli “integrati”, ed ha accusato la sinistra italiana (sindacati inclusi) di non aver compreso, venti o trent’anni fa, quelle che sarebbero state le conseguenze radicali della ristrutturazione sociale determinata da internet. Il web sta radicalmente modificando il concetto stesso di lavoro, e di vita: se prima esisteva una separazione tra “tempo di lavoro” e “tempo libero”, la dinamica in essere ci sta trasformando in “lavoratori” (in senso lato) “24 ore su 24”, asserviti agli interessi di un capitalismo che sta penetrando nelle nostre più profonde intimità, in una prospettiva di controllo totale della quotidianità, tra bisogni materiali e immateriali. Assistiamo a una “isoformità del tempo”, non più diviso tra “lavoro” e “svago”, e siamo tutti schiavi – spesso inconsapevoli – della logica “always and everywhere connected”. Vanno studiate forme di riscatto e ribellione rispetto alle terribili “conseguenze del taylorismo digitale, che sta ‘riformattando’ il senso stesso dell’esistenza umana” (Bellucci ha elaborato nel suo ultimo saggio il concetto di “terraformattazione capitalistica”).

Giovanbattista Gallus, avvocato e studioso dei processi di “sorveglianza partecipata”, ha ricordato come la gran parte degli individui sembri accettare passivamente, anzi talvolta con entusiasmo, l’idea di una osservazione continua, da parte di telecamere e web, senza rendersi conto delle conseguenze nefaste di queste dinamiche di controllo psico-sociale-economico continuo. Gallus ha segnalato, per una interpretazione (critica, appunto) di questi fenomeni, un saggio purtroppo non ancora tradotto in italiano: “Data and Goliath. The Hidden Battles to Collect Your Data and Control Your World”, di Bruce Schneier, pubblicato da W. W. Norton (l’autore è Chief Technology Officer di Resilient, società del gruppo Ibm, nonché Fellow all’Harvard’s Berkman Center).

Sono intervenuti – tra gli altri – anche Giuseppe Casafina ed Antonio Marini, anche loro tra i copromotori dell’iniziativa Crs-Fiom.

Infine, Michele Missirof ha segnalato come questa ideologia ed economia del digitale stia determinando un continuo pervasivo devastante impoverimento di noi tutti. Ha evocato il concetto di “tirannia delle piattaforme”, soggetti che hanno interesse a sfruttare al meglio individui continuamente depauperizzati, e paradossalmente… contenti (“Felici e sfruttati”, come recita il bel titolo di un saggio di Formenti). Questa tesi del “depauperamento” continuo e strisciante l’abbiamo sostenuta anche noi – tante volte, da molti anni (pure sulle colonne di “Key4biz” – con particolare attenzione e preoccupazione rispetto a quel che sta accadendo nella forza-lavoro delle industrie culturali e creative, nell’economia della ristrutturazione radicale che il web sta provocando (uno degli effetti perversi cui dovrebbero prestare attenzione coloro che contestano acriticamente le logiche del “copyright” e credono nella magnificenza – “a priori” appunto! – di un web “libertario”).

Nessuno dei partecipanti al laboratorio ha proposto “soluzioni”, ma tutti hanno condiviso l’esigenza di stimolare “domande”, cui la Scuola possa dare risposte.

Si è trattato di quattro ore dense, colte e stimolanti, come da molto tempo non ci accadeva di assistere. Se dovessimo proprio muovere una osservazione… critica (appunto), dovremmo notare che l’età media dei partecipanti alla discussione era piuttosto alta (intorno ai sessanta anni): in verità, tra i quaranta astanti, ben pochi gli “under 30”. La Scuola dovrà promuovere un maggiore coinvolgimento delle giovani menti critiche, che anche in Italia, si scorgono sul web. È anche vero che quella di ieri sembra essere una riunione del “board” accademico in gestazione, e quindi non ci si poteva attendere una grande partecipazione di potenziali… studenti.

La Scuola di Consapevolezza Critica della Trasformazione Digitale” (suggeriamo una denominazione più semplice, come “Scuola Critica del Digitale”) si attrezzerà presto di un sito web aperto ai contributi di tutti coloro che vorranno partecipare al progetto, come docenti e discenti. La Scuola intende porsi un target ampio, in ambito sociale, sindacale, associativo, politico, istituzionale.

Vuole divenire un centro nazionale di promozione per una cultura critica, per “socializzare la consapevolezza” rispetto alla società digitale.

Un gran bel progetto, e si deve riflettere anche sul perché della sua nascita in ambito extra-universitario: in effetti, anche l’università italiana evidenzia un ritardo enorme nella lettura (critica) di queste fenomenologie.

Riteniamo si tratti veramente di una lodevole iniziativa, e ci si augura che sul progetto possano convergere tutti coloro che in Italia credono nella necessità di un approccio critico al digitale.

Questa iniziativa meriterebbe veramente il sostegno della stessa Agcom (così come dal Garante per la Protezione dei Dati Personali ed altre pubbliche istituzioni ancora).

Clicca qui, per leggere il manifesto-programmatico “Il digitale: se lo conosci, lo critichi. Verso una scuola di consapevolezza critica della trasformazione digitale”, Crs-Fiom, Roma, 23 giugno 2016.