Key4biz

ilprincipenudo. Francesco Rutelli e la ‘diplomazia culturale’, il ‘soft power’ per il rilancio dell’Italia

Angelo Zaccone Teodosi

Ieri pomeriggio, a Roma in un’affollatissima (oltre 200 persone) sala dei convegni dell’Ara Pacis, è stato presentato il libro di Francesco RutelliLa Diplomazia Culturale italiana. Il Patrimonio, le industrie creative e l’interesse nazionale”: si è trattato di una iniziativa molto stimolante, alta colta elegante, lontana anni-luce dal dibattito aspro che caratterizza l’agone politico di queste ultime settimane. Due ore di analisi lucide, alla luce di esperienze politiche di lungo corso.

Il sottotitolo dell’opera (pubblicata da Giapeto Editore, 137 pagine, layout accurato e ricco apparato iconografico) chiarisce l’approccio ideologico: “Il contributo della cultura, in un mondo che torna ai sovranismi, per la stabilità internazionale, per il dialogo tra le civiltà e le persone. La scoperta dell’Italia come potenza culturale”.

L’opera è stata copresentata dall’ex Presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni (che pure fu assessore al Giubileo e al Turismo e Portavoce di Rutelli, quando è stato Sindaco di Roma), dall’attuale Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Enzo Moavero Milanesi, dal Presidente della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale – Sioi Franco Frattini, ed altri meno illustri ma qualificati oratori.

Ha spiegato Rutelli: “la Diplomazia Culturale è uno strumento fondamentale, in un mondo multipolare e decentrato, fortemente condizionato dalle comunicazioni immediate e da narrative manipolate, denso di pericoli ‘asimmetrici’, che vedrà crescere competizioni identitarie, in cui i conflitti culturali, oppure i dialoghi strutturati tra culture, saranno molto rilevanti. L’Italia, ha sempre usato la cultura in modo non arrogante, perché è un Paese che, citando Orazio (“Graecia capta ferum victorem cepit”), si è fatto conquistare positivamente dalle altre culture”.

Per “diplomazia culturale”, si intende l’utilizzazione della cultura (intesa in senso lato, tra il materiale e l’immateriale, dalla lingua ai beni ed attività culturali passando attraverso il “made in Italy”) come strumento di rappresentazione dell’identità nazionale a livello internazionale ed al contempo come strumento di mediazione con le culture altre (anche nelle dinamiche delle relazioni politiche internazionali).

Sostiene Rutelli: “la diplomazia culturale apre grandi opportunità per un Paese come il nostro, e in tempi difficili per l’economia la diplomazia culturale diventa uno strumento di benessere, di crescita economica e di contributo alla pace internazionale. Penso che la diplomazia culturale sia un tema di grande attualità e importanza per il futuro dell’Italia”.

Se fuori dall’elegante ed ovattata sala giungeva quasi l’eco delle posizioni “belligeranti” del neo Ministro degli Interni Matteo Salvini, all’Ara Pacis sembrava di assistere ad una rappresentazione intellettuale e politica di un mondo “altro”: plurale, interculturale, dialogico, accogliente.

In verità, va dato atto al neo Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi (intervenuto con un video) di aver manifestato condivisione e sintonia con le tesi di Rutelli, e ciò lascia ben sperare: forse il pacato Moavero saprà contenere le intemperanze dell’effervescente collega che ha la delega per l’Interno. Il titolare del Maeci ha sostenuto che “la Farnesina ha sempre valorizzato questo aspetto. La mia intenzione è quella di continuare questo impegno e di cercare di migliorarlo, in linea di continuità con chi mi ha preceduto”. In questo caso, sembra che non vi sia annuncio di grandi rotture, nell’annunciato “Governo del cambiamento”.

Paolo Gentiloni, con tono sereno ma nella sostanza animato da (sana) “vis polemica”, ha sostenuto che il governo dovrebbe usare “linguaggio e atti degni di un grande Paese come l’Italia… Il linguaggio aggressivo e minaccioso non giova alla reputazione italiana nel mondo né rende l’Italia un Paese più sicuro”. Gentiloni ha rivendicato i risultati “straordinari” del suo governo nel contrasto al traffico di essere umani, ed ha lanciato un monito al nuovo Esecutivo, affinché non faccia dell’Italia un “Paese in cerca di guai”.

L’intervento di Franco Frattini (due volte Ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, oltre che ex Commissario Europeo) ha fornito spunti molto interessanti, anche facendo riferimento alla propria esperienza politica, proponendo una visione aperta e dialogica della cultura, come strumento essenziale per una visione multipolare del sistema mondo, senza vocazioni al dominio da parte di chicchessia.

Il libro di Rutelli ci ha ricordato un’altra opera stimolante (con la quale appare peraltro in sintonia), pubblicata qualche mese fa da Giuliano Da Empoli, “Il Soft Power dell’Italia”, Marsilio, Venezia, 2017. Si ricorda che il “soft power” è un termine coniato all’inizio degli anni Novanta da Joseph Nye (professore della Harvard Kennedy School of Government), per indicare la capacità di influenza e di persuasione di uno Stato e delle sue élite politiche, economiche e culturali sulla scena internazionale, escludendo qualsiasi riferimento alla potenza militare, e l’abilità conseguente di ciascuno Stato a contare sempre di più nel contesto economico globale attraverso un meccanismo di interdipendenze utili a rafforzare il proprio potere nel mondo.

I concetti di “diplomazia culturale” e “soft power” interagiscono tra loro, perché il “soft power” è centrato di fatto sulla cultura di un Paese e si tratta di un “potere” di influenza morbida (agli antipodi rispetto all’inciviltà degli armamenti), e la cultura non può che essere intesa – nella sua accezione più nobile – come strumento di mediazione, di incontro, di dialogo: per alcuni aspetti, la cultura è in sé diplomazia (senza disconoscere la funzione anche conflittuale – in termini dialogici – che essa può talvolta rappresentare).

Le tesi rappresentate da Rutelli sono condivisibili pienamente.

Quel che forse manca, nell’opera, è una analisi critica degli attuali deficit della “diplomazia culturale” e specificamente della “politica culturale” italiana, soprattutto in un’ottica di sistema.

Ci limitiamo a qui ricordare che la Rai è l’unico Paese dei “Big 5” dell’Unione Europea a non avere un servizio pubblico radiotelevisivo che proponga un canale internazionale (anche se va rimarcato che il nuovo “contratto di servizio” tra Stato e Rai prevede un nuovo canale in lingua inglese, e ci si augura che venga presto cantierato); e che dire della non adeguata integrazione tra la fragile rete degli Istituti Italiani di Cultura all’Estero (sottodimensionati rispetto alle potenzialità e sottofinanziati: in argomento, vedi “Key4biz” del 25 giugno 2015, “Gli Istituti italiani di cultura all’estero: una ferita aperta del ‘sistema Italia’”) e la incerta Ice ovvero l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane?! E che dire della inevitabile debolezza, a fronte di sovvenzionamenti modestissimi, della Dante Alighieri, rispetto ai “competitor” di altre nazioni europee?! Si ricordi che la Francia investe 750 milioni di euro l’anno per la promozione internazionale della lingua francese, il Regno Unito ed il British Council 826 milioni, il Goethe tedesco 218 milioni di euro, il Portogallo con il suo Camoes 12 milioni di euro… Il bilancio 2016 della Dante Alighieri evidenzia un totale di ricavi di 4,5 milioni di euro (vedi “Key4biz” del 18 ottobre 2017, “5 milioni di italiani all’estero (l’8 % della popolazione, il 60% in più dal 2006”). E che dire, ancora, della perdurante incredibile assenza, in Italia, di una “agenzia per la promozione internazionale” dell’audiovisivo “made in Italy”?! Potremmo continuare a lungo. Le teorie sulla importanza strategica della “diplomazia culturale” cozzano con politiche governative che, nel corso degli anni, sono state affidate a logiche contingenti ed alla sensibilità (o alla insensibilità) del “ministro” di turno… Questo andazzo contingente e frammentario va superato, perché altrimenti anche la “diplomazia culturale” corre il rischio di restare un bel concetto retorico…

Il libro di Rutelli è un’opera interessante, di approccio divulgativo ma colta e densa, arricchita dal “vissuto” di un politico della Prima Repubblica, che può vantare un’esperienza storica di grande livello.

Arduo il tentativo di sintetizzare in poche righe la sua biografia, tipica di un “cavallo di razza” della politica italiana: classe 1954, è stato eletto sei volte in Parlamento italiano (dal 1983 al 2006 alla Camera, dal 2008 al 2013 al Senato); è stato deputato al Parlamento Europeo dal 1999 al 2004; è stato il primo Sindaco di Roma eletto direttamente da parte dei cittadini, nel dicembre 1993. Rutelli è stato rieletto nel 1997 con il maggior numero di voti conseguito nella storia di tutte le elezioni a Roma, dal dopoguerra ad oggi (985mila voti); Vice Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro per i Beni e le Attività Culturali dal 2006 al 2008… Ha svolto diversi incarichi istituzionali di livello: tra questi, Presidente del Comitato per i Diritti Umani a Montecitorio; Presidente del Copasir (il Comitato bicamerale di controllo dell’intelligence).

Attualmente, Rutelli non riveste incarichi istituzionali, ed ha scelto di occuparsi – sia su basi professionali, che di volontariato – dei temi in cui ha maggiormente sviluppato competenze ed esercitato la propria passione civile. È stato eletto nell’ottobre 2016 Presidente dell’Anica, l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali. È Presidente dell’Associazione Incontro di Civiltà, dedita al dialogo tra le grandi culture, e al restauro e la ricostruzione di capolavori artistici ed architettonici danneggiati o distrutti nei recenti conflitti nel Mediterraneo e Medio Oriente. Con Incontro di Civiltà ha realizzato una grande Mostra all’interno del Colosseo, inaugurata nell’ottobre 2016 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e visitata da oltre 300mila persone. Ha fondato e presiede il Cultural Heritage Rescue Prize, la cui giuria internazionale premia i coraggiosi che salvano l’arte in pericolo nel mondo. Presiede l’Associazione Priorità Cultura. Presiede anche il Centro per un Futuro Sostenibile, fondazione impegnata dal 1989 sui temi dell’ambiente globale e dei cambiamenti climatici…

Un “curriculum” di questo tipo risulta oggettivamente spiazzante, rispetto a molti neofiti che affollano le aule dell’attuale Parlamento italiano, ma lasciamo al lettore un pensiero critico su quanto conti o meno l’esperienza nell’agone politico…

Exit mobile version