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ilprincipenudo. FNSI, asse con La Civiltà Cattolica contro l’hate speech sulle minoranze

Angelo Zaccone Teodosi

Sabato pomeriggio, a Roma, presso la bella sede della prestigiosa rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, a Porta Pinciana (Villa Borghese), si è tenuta la tavola rotonda “Il bene comune dell’informazione. Quando le parole sono ponti e non sono pietre”.

È stata un’occasione di confronto molto stimolante, nella quale laici e credenti hanno condiviso un approccio critico, molto critico, nei confronti dell’attuale deriva del sistema dell’informazione in Italia. Sono state affrontate tematiche come il ruolo e la responsabilità deontologica dell’informazione rispetto alla crescente ed allarmante diffusione del linguaggio di odio nel discorso pubblico, e sugli antidoti per contrastare la degenerazione in atto.

La Civiltà Cattolica” è da sempre un laboratorio intellettuale e spirituale che guarda ben oltre i confini della Chiesa Cattolica, pur essendo emanazione della Compagnia di Gesù: si autodefinisce “la rivista più antica in lingua italiana, dal 1850”, e mostra una particolare attenzione nei confronti della sfera mediologica, e, più in generale, culturologica. Uno dei contributori più appassionati, su queste tematiche, è Padre Francesco Occhetta, S. J. (Servus Jesus).

Ogni mese, la Sala Curci del “La Civiltà Cattolica” accoglie oltre un centinaio di persone, per un incontro culturale che dà voce a figure di rilievo ed a tematiche emergenti nel dibattito odierno. I dibattiti e le tavole rotonde hanno luogo normalmente un sabato al mese dalle ore 18.00 alle 19.30, ed è possibile seguirle anche in streaming, via web. Alle 17.15 del giorno dell’incontro, viene sempre celebrata una messa prefestiva per coloro che volessero partecipare.

Va segnalato che, negli ultimi anni, smantellata purtroppo la tradizionale “forma-partito”, e discioltisi quelli che erano i “think tank” dei partiti (basti pensare al laboratorio della rivista socialista “MondOperaio”), sono venute meno molte occasioni di dibattito serio su molte problematiche della nostra società. Certo, sopravvivono – seppur con grande difficoltà – alcune onorevoli testate, da “MicroMega” ad “Italianieuropei”, ed alcune fondazioni para-partitiche, con modestissima attività convegnistica e laboratoriale, ma è un dato di fatto che la loro capacità di incidere nel dibattito politico appare assai affievolita, dato che il sistema politico-mediale, al di là della retorica del web liberatorio, è sempre più “mainstream”, e presta ben poca attenzione all’analisi approfondita.

Un’analisi accurata dell’“agenda setting” del sistema informativo italiano – tra media tradizionali e web/social – ci sembra peraltro ad oggi ancora purtroppo indisponibile.

Abbiamo già osservato come spesso sia la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) a stimolare nel nostro Paese dibattiti accurati e ricerche approfondite, su tematiche rispetto alle quali lo Stato sembra essere semplicemente… distratto (come, per esempio, sulla questione dei migranti, che evidenzia ancora un deficit cognitivo enorme – ed il “policy making” lo evidenzia – e la Cei sembra svolgere una funzione supplente: vedi “Key4biz” del 28 settembre 2018, “Rapporto Migrantes, gap sempre più ampio tra realtà e rappresentazione dei media”).

Il bene comune dell’informazione. Quando le parole sono ponti e non sono pietre”, il titolo della conferenza di sabato 29 settembre, è ovviamente ispirato alla visione ecumenica e condivisiva promossa da Papa Francesco, e, in generale, dall’attuale corso della Chiesa Cattolica, che lavora per una cultura dell’accoglienza e dell’inclusione, con particolare attenzione alle categorie sociali in qualche modo “disagiate”: migranti, poveri, diversamente abili, minori… Quelle che ci piace definire “le infinite minoranze”, del nostro Paese e del globo terracqueo.

La contrapposizione tra “informazione” come “ponte” piuttosto che come “muro” appare metafora sintetica quanto efficace. Sul concetto di “informazione” come “bene comune”, si dovrebbe invece sviluppare un ulteriore ragionamento critico: in effetti, come scrive correttamente Enrico Grazzini, “i giornalisti producono il bene comune dell’informazione, ma i giornali sono di proprietà dell’editore” (vedi il suo “Manifesto per la democrazia economica”, Castelvecchi, 2014).

Di fronte ad un uditorio attento (con uditori del livello di Gianfranco Astori, Consigliere del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per l’Informazione), si sono avvicendati Vania De Luca, Presidente dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (Ucsi), Giuseppe Giulietti, Presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi), Roberto Natale, dirigente Rai ma qui in veste di Rappresentante di Articolo 21, Carlo Verna, Presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Sono intervenuti nel dibattito – tra gli altri – Andrea Melodia, “Past President” dell’Ucsi.

Padre Francesco Occhetta ha subito messo in evidenza alcuni dati inquietanti (citando l’edizione 2018 del rapporto “Infosfera”, curato da Unisob/Centro Studi Democrazie Digitali): l’82 % degli italiani non sa distinguere una notizia vera da una “fake news” (fonte: rapporto Infosfera), il 75 % degli italiani non riesce a decodificare un articolo di giornale. “C’è una percezione della realtà che ha bisogno di slogan e soluzioni immediate e tocca le tante paure… Poi c’è una realtà complessa, che ha bisogno di studio e di alleanze tra saperi, e la volontà di costruire ciò che non si distrugge. (…) È una minoranza quella che oggi, in Occidente, vuole che l’informazione sia un bene comune per tutti”. Occhetta ha fatto propria una tesi di Hannah Arendt ne “Le origini del totalitarismo” (saggio del 1948): “il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma è l’individuo per il quale la distinzione tra realtà e finzione, tra vero e falso, non esiste più”. Il gesuita ha sostenuto, in un intervento elegante nella forma ma duro nella sostanza (coerente con la vulgata del gesuita “mano di ferro e guanto di velluto”?!), che “le parole possono essere piccole fiammelle che incendiano foreste. (…) Sembra che l’informazione abbia oggi come fine… il male comune! Lancia parole come pietre, distrugge la reputazione delle persone, istiga alla violenza, ridicolizza le voci delle istituzioni, tocca le emozioni e le credenze più irrazionali degli utenti, inietta sospetti sui fatti, inventa le bufale, è senza memoria, permette alla stessa fonte di dire una cosa ed il giorno dopo il contrario. La propaganda sta vincendo e sta umiliando l’informazione: oscura i dati scientifici, ovvero le uniche cose certe che possono tenerci assieme, laici e credenti… L’informazione è divenuta politica, ma alle minoranze, sono state chiusi i microfoni, il pensiero viene limitato tra il ‘mi piace’ e il ‘non mi piace’, l’opinione pubblica viene formata da Facebook, tutto è disintermediato, ma… a chi crediamo?!”. Lunga appare la via, per passare dal “male” al “bene” comune, in materia di informazione.

Roberto Natale, a nome di Articolo21 (nella sua veste di Coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’associazione), ha sostenuto l’esigenza di “affermare la competenza di fronte alla complessità”, nella coscienza che un simile sforzo oscilla purtroppo tra “il titanico ed il patetico”, ricordando come l’Italia detenga il deprimente primato di nazione europea con l’“indice di percezione della realtà” più distorto. Basti un esempio: secondo alcuni sondaggi (da Ipsos all’Istituto Cattaneo), i musulmani rappresenterebbero un 20 % della popolazione, mentre in realtà sono soltanto il 4 %… L’Italia è divenuta “il Paese del percepito”. I “limiti” alla libertà di opinione non debbono essere intesi come “bavagli”, ma come forma di rispetto della realtà fattuale e dell’informazione libera: “i confini dell’articolo 21 della Costituzione non riguardano i giornalisti, ma la democrazia”. Ha auspicato iniziative di sensibilizzazione, civile e politica prima che professionale, ed ha invitato tutti alla riproposizione del “Manifesto di Assisi per una corretta informazione”, che verrà presentato nei prossimi giorni (sabato 6 ottobre, sempre ad Assisi, nella Sala Stampa del Sacro Convento di San Francesco, il giorno che precede la famosa “Marcia” Perugia-Assisi), elaborazione evolutiva rispetto al primo documento di fine settembre 2017 (sottoscritto da più di 200 tra scrittori, teologi, religiosi, associazioni, giornalisti e cittadini). Si tratta di un vero e proprio “decalogo”: il 1° “comandamento” è chiaro e tondo: “Non scrivere degli altri quello che non vorresti fosse scritto di te” (clicca qui, per aderire al “Manifesto”). Roberto Natale ha ricordato come il nuovo contratto di servizio” tra Stato e Rai prevede che venga attivato un sistema di monitoraggio che dovrà essere incarnato da un inedito “indice di coesione sociale”… Natale ha ragione, ma, a quanto è dato sapere, nessuno, a viale Mazzini, ha avviato una riflessione strategica ed operativa su questa fondamentale prospettiva di analisi seria dell’opinione pubblica e dell’audience della Rai… Vediamo se il neo Presidente della tv pubblica italiana Marcello Foa vorrà fare in modo che il “contratto di servizio” non resti il solito libro delle belle intenzioni (dall’indice di coesione sociale al canale internazionale, passando per l’ufficio studi…): alta teoria, evanescente pratica.

Il Presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti Carlo Verna ha enfatizzato come, fino a qualche tempo fa, “la notizia era un bene prezioso, ora siamo di fronte ad un profluvio di informazioni… che stimola la contrapposizione”. Verna ha ricordato alcune tesi del mediologo Mario Morcellini, secondo le quali esiste una correlazione diretta tra calo della diffusione della stampa e calo della partecipazione democratica. Ha segnalato che l’Ordine sta lavorando ad una sorta di propria “auto-riforma”, nella coscienza che la legge istitutiva è ormai stradatata (1963), ma che teorizzare l’abolizione dell’Ordine non va esattamente nella direzione di uno sviluppo della libertà di informazione, e della tutela della qualità delle “news”. Eppure il Sottosegretario con delega all’Editoria, il grillino Vito Crimi, ha ribadito che “non è nel Contratto di Governo, ma io voglio l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti”, ed ha sostenuto recentemente che “decideremo se abolire l’Ordine dopo l’autoriforma”. 

Se Padre Francesco Occhetta ha evocato il concetto di “alleanza tra saperi”, Beppe Giulietti, Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi), ha rilanciato, ed alla grande: a fronte del disastro in corso, ha proposto una vera alleanza operativa, tra credenti e non credenti, tra operatori dell’informazione e cittadini. Si deve superare la mera “descrizione del male in atto”, e si debbono costruire “percorsi di alleanza” tra soggettività che condividono l’esigenza di contrastare l’“attacco policentrico alla fruizione critica”, di combattere le “centrali della falsificazione”. Il processo in atto (la tanto teorizzata “disintermediazione”) determina la delegittimazione e la destrutturazione di tutti i “corpi intermedi” della società, che rappresentano invece la spina dorsale della democrazia. È in atto una sorta di disgregazione continua, per cui diviene paradossalmente normale – per un politico, in primis – affermare oggi “alfa” e domani il “contrario di alfa”: come se nulla fosse, e senza che questa contraddizione venga evidenziata da una libera informazione critica. Si stanno poi concretizzando “liste di proscrizione”, ed il Ministero della Verità comincia a manifestarsi attraverso il “sacro blog” (inevitabile pensare al blog di Beppe Grillo). Giulietti ha ricordato l’immagine di “disgregazione molecolare” evocata da Jorge Mario Bergoglio, e l’ha collegata al concetto gramsciano di “disarticolazione della democrazia”. Viene minata alla radice la capacità stessa di discernimento: si indebolisce, in modo strisciante e pervasivo, la “funzione critica” tout-court (al di là della specifica funzione dei giornalisti, che non debbono certo abdicare rispetto alla loro funzione di interpreti critici della realtà). Il Presidente della Fnsi ha sostenuto che si deve passare dalle parole ai fatti, dalle belle intenzioni alle iniziative concrete, ed ha manifestato un invito appassionato ad una convergenza tra “mondi”, al fine di promuovere iniziative di sensibilizzazione che possano contrastare la degenerazione in corso.

Conclusivamente, si è trattato di una “conversazione” dotta e densa, coinvolgente e stimolante: riuscirà questa “minoranza” di intellettuali ed operatori illuminati a provocare una sensibilizzazione delle coscienze, sempre più offuscate dalla propaganda?!

Proprio ieri, il decano della sociologia italiana, il professor Francesco Alberoni, sulle colonne de “il Giornale”, evocava il filosofo e scrittore francese Julen Benda ed il suo “Il tradimento dei chierici. Il ruolo dell’intellettuale nella società contemporanea” (dato alle stampe nel 1927, tra rivoluzione sovietica e nazismo; la prima edizione italiana risale al 1946, riedito da Einaudi nel 2012, con prefazione di Davide Cadeddu): “i chierici sono gli intellettuali, gli studiosi, gli storici, i giuristi che, in quel periodo, avevano rinunciato alla loro funzione di riflessione pacata, razionale, volta all’universale, per abbandonarsi alla passione politica seguendo ideologie irrazionalistiche o erano stati silenziosi. Ebbene io talvolta mi domando se anche in Italia, seppure in misura più modesta, gli intellettuali, gli studiosi, in questi ultimi quindici anni abbiano fatto tutti il loro dovere”.

Le tesi di Alberoni coincidono in buona parte con la denuncia emersa nella conversazione de “La Civiltà Cattolica”: “sono sorti movimenti antidemocratici, antiparlamentari ed antieuropei che, anziché costruire una classe dirigente capace di guidare il Paese, hanno soddisfatto demagogicamente le più irrazionali richieste popolari. Sono pochissimi, in questo periodo, gli studi approfonditi sul sistema politico, sui nuovi movimenti e le nuove ideologie. Alla televisione, per anni si sono svolti dibattiti solo fra persone di sinistra che accusavano Berlusconi e un fascismo inesistente, mentre non si accorgevano di sprofondare loro nel baratro. Non solo, si sono moltiplicate le sparate demagogiche di tutti contro tutti sui social, mentre è praticamente sparita perfino dai grandi giornali l’analisi razionale di grande respiro. Sì, i chierici hanno tradito, oppure sono stati cacciati dai grandi mezzi e resi muti”. Alberoni conclude comunque il suo intervento con un’iniezione di ottimismo: “i giovani italiani capiranno che, se per essere ammesso a Medicina e diventare un bravo medico si devono affrontare severi studi universitari, non potranno accettare che si possa fare il ministro senza una adeguata preparazione. No, fra poco l’ondata ugualitarista verrà sconfitta ed anche i chierici torneranno a fare il loro dovere”.

Lo auspichiamo, ma, per ora, non si intravvede molta luce in fondo al tunnel. Nel dibattito a “La Civiltà Cattolica”, è stato evocato anche Piero Calamandrei: “la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”. La domanda è: ma in fondo, quanti, tra i politici di professione, i giornalisti ed operatori dei media, e soprattutto – in fondo – tra i cittadini, si stanno rendendo conto che sta… cominciando a mancare?!

 

Clicca qui, per la videoregistrazione della conferenza promossa da La Civiltà Cattolica, “Il bene comune dell’informazione, quando le parole sono ponti e non sono pietre”, Roma, 29 settembre 2018

Clicca qui, per leggere il testo della bozza della nuova edizione del decalogo del “Manifesto di Assisi per una corretta informazione”, che verrà presentato il 6 ottobre 2018 ad Assisi.

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