La kermesse

ilprincipenudo. Festa del Cinema di Roma: esordio in tono minore, tra deficit di idee e spending review

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Che senso ha la kermesse romana insieme al Mercato Internazionale dell’Audiovisivo, in assenza di una strategia di sistema Paese? In calce l’ultima versione del Dl di Riforma Rai

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Alcune prime impressioni sulla Festa del Cinema in versione “spending review”: è iniziata questa mattina la decima edizione (che va dal 16 al 24 ottobre) della kermesse festivaliera romana, a suo tempo ideata e voluta dall’allora sindaco Walter Veltroni e dal compianto Gianni Borgna (il più longevo assessore alla cultura d’Italia, purtroppo prematuramente scomparso nel febbraio del 2014).

Anche se qualche collega giornalista, utilizzando l’efficace espressione “il deserto dei tartari”, è stato forse troppo crudele, indiscutibilmente la manifestazione sembra registrare un calo di affluenza, pubblico generico ovvero operatori specializzati.

Un’edizione molto povera e senza grande identità (non c’è concorso, non c’è giuria, ed il “red carpet” è il fantasma di quello delle precedenti edizioni).

È vero che il film che ha inaugurato il festival (alle ore 9 proiezione per la stampa) è una curiosa opera cinese con effetti speciali (un uomo che partorisce un mostriciattolo a forma di ravanello, sigh!: “Zhuo Yao Ji / Monster Hunt 2D” di Raman Hui), ma la sala non era esattamente affollata… Sala quasi piena, invece, per il film “Truth”, di James Vanderbilt, ma con plateale assenza dei due protagonisti Robert Redford e Caye Blanchet, e finanche buca della pur annunciata Mary Mapes, la giornalista che ha realizzato l’indagine su Bush che ha contribuito a determinare la fine della carriera giornalistica del più grande anchorman americano Dan Rather.

Un film che ricorda opere come “All the President’s Men” e “The Insider”, e certo non appare espressivamente innovativo, ma fornisce – una volta ancora – una immagine plurale del sistema mediale americano (nonostante “lobby” e “major”), che noi, nella piccola e “provinciale” Italia, ci possiamo soltanto… sognare.

In un passaggio del film (che certamente debbono vedere tutti i giornalisti ed aspiranti tali), addirittura si ragiona – con tecnicismo politico – sull’aumento dei tetti della concentrazione concessi dall’antitrust americano (dal 35 al 45 % del rispettivo mercato, e si ricordi, tra le altre, la controversa fusione Cbs-Viacom, giustappunto), e si evidenzia un osceno nesso di dipendenza tra legislatore e grandi gruppi mediali in Italia, anche al cinema, una così ardita tesi non se la può permettere quasi nessuno, se non forse Sabina Guzzanti!

Mary Mapes ha lavorato per anni alla trasmissione della Cbs60 Minutes”, al fianco di Dan Rather.

Il film narra le vicende che hanno portato al controverso caso, noto come “Rathergate”, sui presunti favoritismi ricevuti da George W. Bush per andare a fare il militare nella Guardia Nazionale anziché andare a combattere in Vietnam.

Una storia non confermata che, emersa nel 2004, a due mesi dalle elezioni presidenziali americane, ha poi provocato le dimissioni di Rather e il licenziamento di Mapes, portando tutta la Cbs News ad un passo dal collasso.

Nonostante la Mapes sia stata alla fin fine licenziata dalla Cbs e dal 2004 abbia smesso di fare giornalismo televisivo (Bush è stato invece confermato per un secondo mandato, scaduto nel 2009), si tratta di un film che stimola involontariamente deprimenti riflessioni sulla situazione del giornalismo italiano, nel quale le inchieste in stile Milena Gabanelli sono, purtroppo, l’eccezione alla regola (al punto tale che qualcuno teme il suo killeraggio politico, anche da parte dello stesso Pd, paradossalmente; l’ultima puntata dedicata agli appalti Rai pare abbia determinato effetti esplosivi a viale Mazzini…).

Negli States, invece, il giornalismo d’inchiesta è la regola!

Si osserva anche una qual certa disorganizzazione della kermesse romana: per esempio, gli addetti al desk della stampa dicono ai giornalisti che possono acquisire il catalogo della manifestazione esibendo il badge in libreria (curiosa procedura…), la libreria non ne sa nulla, e rimanda all’ufficio stampa, il quale però non ha copie del catalogo (“ne avevamo qualche copia, forse tornano nel pomeriggio, ripassi più tardi…”).

Risparmiamo ai lettori il commento sulle facce di alcuni giornalisti stranieri rispetto ad alcune normali esigenze “mi fornite il contatto dell’ufficio stampa estero del film ‘Truth’?”, allorquando una graziosa addetta risponde “possiamo fornire soltanto le coordinate dell’ufficio stampa italiano”…

E che dire del simpatico contributo alle spese cui sono costretti i registi (90 euro) e finanche i giornalisti (50 euro), per acquisire il prezioso badge, a fronte di materiali documentativi… inesistenti?

E, se almeno fino all’anno scorso veniva fornita una borsotta di una qualche eleganza (…) in plastica simil-pelle, quest’anno viene dato uno shopper di tela … E, si noti bene, questi danari vengono pagati dai… contribuenti cinefili, senza la grazia di una ricevuta fiscale (chissà cosa ne pensa la…Guardia di Finanza).

Queste sono in verità piccole miserie, che non dovrebbero turbare il cinefilo appassionato né gli animali da festival (come dire?! basta che si vedano film, no?!)…

Quel che non si comprende è il senso reale, la linea strategica di questa iniziativa.

Quel che non si comprende è il profilo identitario di questa kermesse.

Cui prodest”?

Ennesima vetrina per un cinema straniero minore – fatta salva qualche rara eccezione di promozione gratuita di film delle “major” – che verosimilmente avrà una fugace apparizione festivaliera, e non troverà alcuno sbocco nelle sale cinematografiche?

Piccola vetrina per un cinema italiano che non verrà mai accolto dalle sale né trasmesso dai canali generalisti dei maggiori broadcaster televisivi?

Indiscutibilmente il neo direttore Antonio Monda è un intellettuale raffinato ed un artista ben inserito nei sistemi dell’intellighentia della sinistra culturale italiana cosmopolita, ma queste doti sono sufficienti a renderlo idoneo alla direzione di una manifestazione il cui senso è difficile da trovare?

Ha sostenuto Monda che questo vuole essere una “festa” e non un “festival”, ma una “festa” per chi?!

Anche il rapporto “con la città”, tanto decantato, è limitato dalla disponibilità di sale e dalla modesta promozione: quanti romani sanno del festival?!

Ma chi cura e promuove la comunicazione della Festa del Cinema?!

Ad esser maligni, si potrebbe insinuare che è una “festa”… sì, ma per chi organizza la festa, come spesso accade nell’economia dei mille festival italiani.

Vedremo nei prossimi giorni…

E che dire dell’anch’esso tanto decantato Mia neo Mercato Internazionale dell’Audiovisivo?!

Si chiedono informazioni alla direttrice dell’ufficio stampa della festa, Cristina Caimmi, e lei risponde simpaticamente che si tratta di una “sezione autonoma”, si va sul sito web della sezione autonoma (che è comunque una sotto-sezione del sito web della Festa…), e non si riesce a trovare nemmeno il nome del capo ufficio stampa, che si scopre poi essere Marcello Giannotti (dell’agenzia di comunicazione Mn Italia). Da non crederci.

Dettagli “tecnici” a parte, si rinnovano le domande tipiche intorno alle quali ci tocca sempre girare.

Ma lo sviluppo di una simile “festa” e un simile “mercato” è stato effettuato dopo aver realizzato analisi strategiche e ricerche di mercato sull’esigenza (o meno) di questa iniziativa?

Sono state realizzate analisi sul target?

Cosa pensa realmente di queste iniziative la comunità professionale italiana (e, semmai, internazionale)?

Se fossi a posto del Ministro Franceschini mi porrei qualche domanda, anche a fronte del milioncino di euro o giù di lì di contributo ministeriale alla Festa.

E allora ci chiediamo: non avrebbe più senso concentrare le risorse pubbliche, anche a livello di promozione internazionale, su un festival cinematografico uno, grande e robusto, ovvero inevitabilmente e naturalmente Venezia, piuttosto che disperdere le energie?

Abbiamo già segnalato su queste colonne l’incredibile dinamica per la quale lo Stato italiano destina circa 200 milioni di euro di risorse pubbliche alla cinematografia nel 2014, ma il budget allocato per la promozione internazionale ammonta alla risibile somma di 0,5 milioni di euro.

Non sarebbe meglio allocare qualche decina di milioni alla promozione internazionale del “made in Italy” audiovisivo e culturale, piuttosto che destinare altre risorse al tax credit o a festival di dubbia concreta utilità?!

Nel mentre, il “piccolo mondo” dei cinematografari e degli audiovisivi plaude perché ieri il Ministro Franceschini ha annunciato un incremento a 140 milioni di euro l’anno delle risorse destinate al tax credit…

Ma anche qui: non sarebbe più utile se il ministero promuovesse una ricerca di impatto ed una valutazione approfondita per comprendere se questi benefici fiscali stanno effettivamente rafforzando il tessuto tutto della produzione nazionale?!

Il numero dei film italiani aumenta (200 titoli prodotti l’anno scorso), ma la gran parte di essi non esce nemmeno in sala, e resta… “invisibile” (i maligni sostengono perché “invedibile”): d’altronde è inevitabile, quasi, se è vero che una parte significativa di questa produzione, ovvero ben 69 film su 200, è fatta di opere che hanno budget inferiore a 200mila euro…

Nessuna traccia, nel calendario della Festa del cinema di Roma, della nuova proposta di legge di riforma del sistema audiovisivo che è in gestazione da gennaio nei tavoli tecnici promossi da Mibact e Mise, che pure si pensava potesse essere annunciata da Dario Franceschini e Antonello Giacomelli, approfittando della grancassa festivaliera di Roma…

Nel mentre, l’Anac ed i 100autori lamentano di non essere state coinvolte nei tavoli per la riforma, cui hanno partecipato soltanto Anica ed Apt ed i grandi “broadcaster”, ovvero Rai, Mediaset, Sky e La 7, e – effettivamente… – vai a capire il senso di una simile decisione da parte di un governo “di sinistra”. E si registra una inattesa presa di posizione critica dell’associazione 100autori rispetto alla proposta di legge sul cinema del Pd, a firma della senatrice Di Giorgi (il ddl 1835, prima firmataria Rosa Maria Di Giorgi e Sergio Zavoli)… Nel mentre, ancora, Auditel viene paralizzato (l’Agcom continua la sua “istruttoria”), la riforma della Rai continua il suo iter (grazie al “decisionismo” renziano), e il Conducator annuncia che il canone Rai verrà pagato bimestralmente nella bolletta elettrica, ma sarà ridotto (beh, allora dobbiamo essere tutti contenti, no?!)…

Ancora una volta, si conferma uno scenario frammentario e confuso, e la perdurante assenza di una guida decisa e lungimirante delle politiche culturali e mediali italiane.

Last minute. “Key4biz” fornisce ai propri lettori in esclusiva (una buona lettura per il week-end?!) il nuovo testo del disegno di legge n. 3272 sulla riforma della Rai risultante dagli emendamenti approvati in sede referente dalle Commissioni Riunite VII e IX (versione 14 ottobre 2015).

Piccoli ritocchi: per esempio, al comma 7 dell’articolo 2, rispetto alla delicata questione della revoca: “La revoca dei componenti del consiglio di amministrazione è deliberata dall’assemblea ed acquista efficacia a seguito di valutazione favorevole della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi” (prima recitava “acquista efficacia se conforme alla deliberazione della Commissione parlamentare”). Si tratta di piccole modificazioni, che riguardano soprattutto una maggiore trasparenza (in taluni casi con modalità uniche in Europa, per esempio rispetto agli stipendi di tutti i dirigenti, di ogni livello) della gestione ed una qual certa precisazione dei poteri dell’Amministratore Delegato, ma la sostanza della proposta renziana non cambia.