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ilprincipenudo. Digitale in Rai: Carlo Freccero e Riccardo Luna ai ferri corti

Angelo Zaccone Teodosi

Questa mattina, nella storica e prestigiosa sede dell’Istituto per l’Enciclopedia Italiana alias Treccani, a Roma in Piazza Paganica, è stata presentata la prima ricerca realizzata dal Censis per la Treccani, dall’ambizioso titolo “La trasmissione della cultura nell’era digitale. Una inchiesta sul sapere”.

Iniziativa voluta dal Direttore Generale della Treccani, Massimo Bray, che è stato peraltro titolare del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo con Enrico Letta Presidente del Consiglio, dall’aprile 2013 al febbraio 2014; si è dimesso da parlamentare nel marzo del 2015, per lavorare a tempo pieno all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

Chi redige queste noterelle presiede un istituto di ricerca che in talune occasione s’è trovato in “concorrenza” con il Censis (ahinoi, il mercato della consulenza in Italia è piccolo assai…), ma ha sempre manifestato stima complessiva per l’istituto fondato nel 1964 da Giuseppe De Rita, anche per la capacità avanguardistica, visionaria ed immaginifica del fondatore: le sue presentazioni dell’ormai mitico “Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese” (giunto nel dicembre 2015 alla sua 49ª edizione), così come – in verità – di qualsiasi ricerca marchiata Censis, facevano e fanno chiudere gli occhi su ogni eventuale deficit di metodologia.

Il Censis tante volte è intervenuto in materia di cultura e media, e – ancora – chi redige queste note può vantarsi di essere stato uno dei co-promotori dell’estensione del “perimetro” di interesse di quell’istituto di ricerca verso l’area dei media e della cultura, avendo a suo tempo convinto l’Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali) a commissionare giustappunto al Censis alcuni dei primi studi mai realizzati in Italia sui consumi cinematografici ed audiovisivi: era la fine degli anni Ottanta del secolo (millennio) scorso, e chi qui scrive dirigeva l’ufficio studi dell’Anica…

Si parlava ancora di rapporti tra fruitori nelle sale cinematografi ed attraverso le “videocassette”. Per la prima volta, il capitolo sui consumi culturali del “Rapporto Annuale” Censis veniva finalmente esteso all’audiovisivo ed alla multimedialità…

Nessun pregiudizio, quindi, nei confronti del Censis, anzi.

Apprezzabile, per esempio, il lavoro di ricerca che il Censis realizza da tempo per l’Unione Cattolica della Stampa Italiana (Ucsi), presieduta da Andrea Melodia, giunto nel marzo 2015 alla sua quindicesima edizione: il “Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione” è uno studio che resta senza dubbio uno dei punti di riferimento per tutti gli operatori del settore.

Il dossier presentata questa mattina a Roma ci ha però deluso, per varie ragioni, non ultima l’assenza del “presentatore”, ovvero dell’affabulatore Giuseppe De Rita: la ricerca è stata infatti presentata dal figlio Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis, e dal suo collega Massimiliano Valerii, Direttore Generale, entrambi serissimi professionisti, ma certo senza le capacità narrative del fondatore.

La ricerca non ha deluso in verità noi soltanto.

Sono stati chiamati a commentarla illustri personalità come Tullio De Mauro (già Ministro dell’Istruzione della Repubblica tra il 2000 ed il 2001 nel Governo Amato I, e professore emerito dell’Università di Roma), Carlo Freccero (intellettuale eterodosso, nonché da qualche mese Consigliere di Amministrazione Rai in quota “grillina”), e Riccardo Luna (il famoso “Digital Champion”).

Sala affollata da un centinaio di attenti ascoltatori.

La ricerca, nelle intenzioni dei promotori, “mira a comprendere gli effetti della rivoluzione digitale sugli stili conoscitivi, sulle forme di apprendimento, sui meccanismi di produzione e trasmissione del sapere. Attraverso un’indagine campionaria originale ‒ una inchiesta sul sapere ‒ è stato possibile misurare l’evoluzione di questi fenomeni, al di là delle enfatizzazioni e dei gridi d’allarme lanciati da più parti, con l’intento di pervenire a un quadro conoscitivo di cosa sta cambiando”.

Il dossier di presentazione dello studio (pubblicato nelle “Note e commenti Censis”, edizione n. 792 dell’ottobre 2015) propone, nella prima parte, un set di dati già noti, di fonte prevalentemente Istat, e nella seconda parte il risultato di un’indagine demoscopica realizzata ad hoc.

Apprezzabile che sia stata indicata chiaramente la strutturazione del campione – circa 3.300 persone, rappresentative della popolazione italiana di 25 anni e oltre, laureata e che usa internet almeno una volta la settimana – il che non avviene sempre nelle ricerche Censis.

La lettura critica complessivamente proposta dal Censis non è apparsa innovativa: da anni (decenni ormai), sappiamo tutti di “disintermediazione” dei contenuti, di “ri-mediazione” tra vecchi e nuovi media, di infinita “ricchezza” e di altrettanto infinito “disorientamento”, di crisi dei vecchi “intermediari” della cultura e di problematica “gerarchizzazione” delle fonti…

Concetti mediologici noti e triti, presenti in qualsivoglia buona tesi di laurea specialistica in scienze della comunicazione. Dal Censis, ci attendevamo di più, una lettura nuova ed innovativa insomma, che non ci sembra ci sia stata.

Valerii ha parlato di “nomadismo” mediatico dell’individuo, di costruzione di “nicchie” personalizzate, di comportamenti sempre più individuali dell’“io utente” nell’era “biomediatica” (concetto questo coniato, da alcuni anni, nel laboratorio del Censis), di “sapiente arbitraggio” tra i vari media da parte dell’individuo…

I dati presentati sono stranoti: lo studio si è concentrato sullo strumento di conoscenza per antonomasia, qual è il libro, ed ha evidenziato come nel 2015 soltanto un 42% della popolazione italiana ha letto 1 libro 1.

Tra i dati originali (la seconda parte del dossier), in particolare, uno appare sconvolgente: tra gli italiani laureati coloro che hanno letto almeno 1 libro nell’ultimo anno sono soltanto il 24% del totale!

Si assiste ad una “deriva elitaria” nella lettura di libri.

De Mauro è intervenuto a gamba tesa, contestando l’affidabilità di queste stime sui “lettori” di libri in Italia, segnalando come siano frutto di una autodichiarazione da parte dell’intervistato, e come l’aver magari anche soltanto sfogliato… un manuale di cucina o una guida turistica consente al bonario intervistatore Istat di classificare l’intervistato come… “lettore”.

Secondo De Mauro, è errato “prendere per buoni” i dati Istat, e quindi le elaborazioni di secondo livello del Censis finiscono per divenire una graziosa bolla di sapone.

L’ex Ministro ritiene che i “lettori” in Italia siano (sulla base di dati osservativi, e di metodiche validate da qualificate organizzazioni internazionali) forse un terzo appena dell’intera popolazione, e che il vero problema sia l’alfabetizzazione funzionale: coloro che hanno difficoltà (difficoltà elementari ed essenziali) di fronte a qualsiasi testo (anche semplice) sono tra il 70 e l’80% dell’intera popolazione! De Mauro si è lamentato della “solita litania” su internet e sulle sue fascinazioni.

Il problema vero è grave, profondo, radicale, soprattutto a monte (l’alfabetizzazione funzionale) e non soltanto a valle (l’alfabetizzazione digitale, oltre che la scarsa propensione degli italiani alla lettura ed all’acquisto di libri).

Ricordando l’enorme deficit di strutture culturali nei tessuti metropolitani e sull’intero territorio nazionale (biblioteche, librerie, teatri, cinema…), De Mauro ha evocato il “panorama squallido” dell’offerta culturale, e la grande assenza non soltanto di sensibilità ma anche di ascolto da parte della “politica” rispetto a questioni così gravi.

Dopo questo “k.o.” al Censis, è intervenuto Carlo Freccero, che ha spiazzato tutti, con logica quasi… situazionista.

Ha anzitutto accusato il Censis di aver ignorato, nello studio, ogni riferimento significativo alla televisione. Ha poi contestato il concetto stesso di “cultura”, se la si riduce al tradizionale strumento-medium “libro” (di cui pure lui è cultore, dato che non legge e-book): ha proposto piuttosto un’affascinante teorizzazione della “fiction” televisiva come strumento evoluto di “letteratura” contemporanea.

La fiction “made in Usa” è ormai più raffinata e colta del cinema d’autore europeo, e si caratterizza per una complessità semantica estrema e per una ricchezza espressiva “incredibile”. Su questa cultura si dovrebbe riflettere.

Freccero ha ricordato come ormai i giovani imparino prima a vedere la fiction (anche su web) e poi a leggere e scrivere, e come si debba partire dallo scardinamento del paradigma storico, per ragionare di “cultura” e “media” così come di trasmissioni di saperi. Spiazzante: uno stimolo sufficiente per un convegno corposo assai, e di cui si sente veramente la necessità, e che ci si augura possa presto essere organizzato…

È quindi intervenuto Riccardo Luna, anche lui non esattamente tenero verso il Censis: “perché uno strumento prezioso come il Rapporto Annuale del Censis non è online nell’interezza del suo testo?! e perché non è addirittura acquistabile su web?! e perché questo convegno odierno non ha nemmeno un… hastag?!”, ha esordito, per presto tornare nei binari consueti della decantata “bellezza del digitale”.

Ha ripetuto più volte che “la guerra” inter-mediale “è finita”, come aveva preconizzato vent’anni fa Negroponte…

Dopo questo schiaffo ai passatisti organizzatori del convegno, ha esaltato la digitalizzazione della Biblioteca Vaticana come ennesimo caso di arricchimento della cultura universale a portata di clic per tutti. Ha lamentato l’arretratezza dell’assetto delle industrie mediali italiane: “la Repubblica ha 300 giornalisti per la redazione su cartaceo e 30 soltanto per la redazione online: dovrebbe essere l’inverso”. Ha invocato l’esigenza di una versione evoluta dell’esperienza del Maestro Manzi

A questo punto, è intervenuto nuovamente Freccero, che ha accusato Luna di “follia più totale”, di visione paradossalmente arretrata ed arcaica: non sono quelli gli strumenti per una alfabetizzazione digitale, ovvero narrativo-audiovisiva, di cui hanno necessità i giovani, e di cui dovrebbe farsi carico un servizio pubblico televisivo all’altezza della sfida in atto…

Si deve ragionare in termini di “story-telling”, di educazione critica alla narratività visuale. Esigenze che sono completamente ignorate dall’approccio della renziana legge “Buona Scuola”, che – secondo Freccero – rappresenta una “proposta educativa fallimentare”, e continua sulla via della “distruzione della scuola italiana”. Ha denunciato come sia purtroppo in “disuso” anche la preziosa funzione della televisione come “servizio pubblico”.

Luna ha sentito la necessità di replicare, ed ha spiegato (rivolgendosi anzitutto a Freccero) che lui aveva semplicemente evocato l’esperienza del maestro Alberto Manzi come “soluzione adeguata per l’epoca”, ben lontana da quelle che debbono essere le attuali strategie e tecniche comunicazionali per promuovere l’alfabetizzazione cultural-digitale. Quali siano, però, Luna non ha spiegato, anche se ha approfittato dell’occasione per autopromuovere di fronte all’uditorio ed in particolare alla Presidente Rai Monica Maggioni, seduta in prima fila, una proposta di trasmissione televisiva (che alcuni sostengono dovesse intitolarsi giustappunto “Manzi 2.0” ovvero “Non è mai troppo tardi 2.0”; su queste tematiche, si rimanda anche a “Key4biz” del 19 dicembre 2014, “Rai e digital divide: il progetto ‘Manzi 2.0’ sembra poca cosa e forse nella direzione sbagliata”) che ha sottoposto a viale Mazzini, finalizzata alla promozione dell’alfabetizzazione digitale.

La Presidente Rai è intervenuta per segnalare che ritiene (anche da storica “interna” di Viale Mazzini) che mai aveva percepito una sensibilità così intensa e convinta da parte dei decisori aziendali, enfatizzando come “il digitale” non sia più una funzione accessoria, ma ormai centrale per il “psb” italico: “il digitale è al centro del piano industriale Rai”, ha dichiarato orgogliosamente, ed è un dato di fatto lo scardinamento del paradigma storico, con un’attenzione verso la televisione “non lineare” che sarà non inferiore a quella verso la televisione “lineare”.

Il Dg della Treccani Massimo Bray ha domandato se vi fossero domande, e tra i pochi e brevi interventi merita essere citato quello di Carlo Infante, tra i massimi esperti italiani di “cross-medialità” e “performing media” (promotore tra l’altro del progetto e sito Urban Experience), il quale ha ricordato come l’Italia sia stata, anni fa, laboratorio di esperienze innovative quali Video On Line (primo “internet service provider” italiano, fondato a Cagliari dall’editore Nicola Grauso nel 1993) ed alcuni festival multimediali d’eccellenza (luoghi di feconda contaminazioni di saperi). Si dovrebbe guardare a quelle esperienze, per comprendere il potenziale spesso inespresso (e dimenticato) del nostro Paese…

Conclusivamente: un dibattito stimolante (speriamo che il Censis e/o la Treccani mettano presto a disposizione online la videoregistrazione, e, ancora una volta domandiamo: perché non è stato realizzato lo streaming via web?!) e snello (interventi brevi, di una decina di minuti ognuno; complessivamente due ore e mezza di analisi, attenzione alta e… nessuno sbadiglio), a partire da uno studio di un qualche interesse, ma che certamente non andrà a rappresentare una pietra miliare della mediologia critica in Italia.

Iniziativa comunque apprezzabile da parte della Treccani: Massimo Bray ha ricordato come “ormai nel mondo le enciclopedie quasi non esistano più”, e come la sede di Piazza Paganica rappresenti quasi un caso eccezionale al mondo, ma la Treccani ritiene di essere al passo dei tempi, se è vero che il suo sito internet può vantare ben 450mila “utenti unici” al giorno.

L’ex Ministro della Cultura ha segnalato come un’istituzione come l’Enciclopedia Italiana possa rappresentare ancora una bussola rispetto al crescente disorientamento determinato dall’infinito flusso di informazioni prodotto dal web. A distanza di 91 anni dalla Fondazione, la Treccani cerca di affrontare la sfida del digitale guardando al futuro, forte della grande ricchezza del proprio passato.

Auguriamoci che la Treccani si faccia presto promotrice (perché non co-autrice, alla luce del “think-tank” di livello di cui dispone?!) di ricerche più innovative, eterodosse, coraggiose.

Questo serve per affrontare seriamente tematiche come “la trasmissione della cultura nell’era digitale” e per realizzare “inchieste sul sapere” veramente accurate. Non basta rileggere la letteratura scientifica esistente e promuovere l’ennesimo sondaggio demoscopico su un “campione rappresentativo” della popolazione…

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