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ilprincipenudo. Dalla Rai a Rcs-Mondadori: serve una regia unica per il made in Italy della cultura

Angelo Zaccone Teodosi

Angelo Zaccone Teodosi

Il dibattito parlamentare sulla riforma della Rai non brilla per tecnicalità, ma d’altronde in Italia siamo abituati – per dirla elegantemente – al “progettare-facendo” di Munari piuttosto che al “conoscere per deliberare” di Einaudi. Questa modalità… “andando vedendo” (che è anche una citazione dantesca ma soprattutto la versione italiana del proverbio calabrese “annannu vidennu”, ovvero s’esamina le situazioni caso per caso) è tipica del nostro Paese, e produce spesso processi normativi frammentari, contingenti, tortuosi, quanto inevitabilmente miopi. Piccole leggi piuttosto che leggi: leggine, insomma, leggi-tampone e provvedimenti “d’urgenza” (ovvero improvvisati).

#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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Il disegno strategico è quasi sempre assente, anche se spesso evocato nelle belle intenzioni del “governatore” di turno. Il concetto di “lungo periodo” sembrava appassionare i politici ed i tecnici della miglior stagione del “centro-sinistra”, ma da qualche decennio la “programmazione” è un’idea sostanzialmente assente dal dibattito politico italiano. Si lavora quasi sempre sul contingente e sull’emergenza.

Un’analisi critica del dibattito sulla Rai registra posizioni e decisioni politiche che sono basate – ancora una volta – più su “emozioni” che su “cognizioni”, sul “contingente” piuttosto che sullo “strategico”: per esempio, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi decide (d’autorità, Lui può) “canone in bolletta”, e la questione – che pure è stata oggetto, nel corso degli anni, di proposte e riproposte (ma mai affrontata con adeguato respiro strategico) – non riceve una soluzione tecnica immediata e chiara.

Gli uffici legislativi dei due dicasteri competenti (Economia e Sviluppo Economico… noi un coinvolgimento del Ministero della Cultura l’avremmo previsto) sentenziano che si tratta di una… “istruttoria molto complessa”: ma va là! Esistono studi accurati su queste tematiche? Forse sì, forse no: così come frammentarie sono le conoscenze sull’entità del canone in una chiave comparativa europea e rispetto alla struttura dei finanziamenti dei “psb” nei vari mercati nazionali, così come il know how sull’eventuale applicazione del canone anche ai “device” altri rispetto ai tradizionali apparecchi televisivi…

E si torna alle dolenti note del “deficit cognitivo” che tante volte abbiamo denunciato su queste colonne.

Dal 1999 al 2008, come IsICult, insieme a Francesca Medolago Albani (da alcuni anni dirigente dell’Ufficio Studi dell’Anica), ideammo e realizzammo per la Rai un progetto di ricerca e monitoraggio dei servizi televisivi pubblici in Europa. Questo Osservatorio Rai-IsICult sulla televisione europea (un estratto dei risultati è stato pubblicato in libro nel 2008 col titolo L’occhio del pubblico”, per i tipi di Eri Rai) è stato poi smantellato – senza alcun apparente motivo, se non la solita “spending review”, disperdendo così dieci anni di esperienza e vanificando uno strumento di conoscenza che non aveva eguali in Europa (al punto tale che nel 2003 fu promossa una co-edizione Rai-IsICult in lingua inglese, in partnership con l’allora più qualificata newsletter specializzata dell’industria dei media, la britannica Screen Digest”).

Ma è solo un esempio (in questo caso autobiografico) tra i tanti.

Stessa (triste) fine ha fatto un’eccellente altra iniziativa sostenuta per anni dalla Rai, ovvero l’Osservatorio sulla Fiction Italiana (Ofi), promosso dalla massima esperta in materia, la professoressa Milly Buonanno. Il budget è stato ridotto nel corso del tempo, e la chiusura della collana editoriale Zone di Eri Rai ha posto fine alla pubblicazione dei “Rapporti annuali” dell’Ofi (19 volumi dal 1991 al 2010), che hanno costituito per due decenni una fonte accessibile quanto insostituibile di documentazione e conoscenza sull’industria e la cultura della fiction italiana…

E poi ci si lamenta che la fiction italiana abbia poche capacità di “internazionalizzazione”.

La domanda è: ma come è possibile “governare” (un Paese come l’Italia o un gruppo industriale come Rai), se non si dispone di dataset adeguati e di analisi accurate?!

E gli stessi nostri parlamentari di Camera e Senato dispongono del minimo indispensabile di informazione e documentazione, rispetto a quel su cui van legiferando?!

La risposta è, ancora una volta, netta: NO.

La cassetta degli attrezzi è quasi vuota.

Basti dedicare qualche minuto ad uno dei rapporti di studio prodotti su tematiche afferenti alla riforma Rai: ci riferiamo al dossier “I sistemi radiotelevisivi pubblici di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Quadro generale, governance e meccanismi di finanziamento”, curato dall’Ufficio Legislazione Straniera della Camera dei Deputati nel luglio del 2015 (collana “Materiali di legislazione comparata”, dossier n. 12). Nelle poche paginette (degne forse di un Bignami), si propone un insieme di dati quali-quantitativamente deficitari, insufficienti a comprendere un minimo dell’economia politica dei servizi pubblici televisivi di quei quattro Paesi europei più importanti.

Eppure questa è stata la documentazione “comparativa internazionale” che hanno prodotto gli uffici parlamentari, nell’economia del dibattito sul ddl n. 3272 Riforma della RAI e del servizio pubblico radiotelevisivo, approvato dal Senato della Repubblica il 31 luglio 2015 (clicca qui per il testo definitivo).

Ci si stupisce quindi se poi emergono nel dibattito parlamentare proposte bislacche ed emendamenti surreali?

Curiosità che emergono anche tra i circa 400 emendamenti presentati entro le ore 10 di giovedì della scorsa settimana 1° ottobre, per il vaglio congiunto delle Commissione Trasporti e Cultura di Montecitorio: in questi giorni ed ore gli uffici della Camera sono alacri all’opra, dato che il Governo intende far approdare il provvedimento in Aula entro il 19 ottobre.

E che dire poi del cuore della tanto decantata (quantomeno dai renziani) riforma della Rai?! In sostanza, tutta l’attenzione resta concentrata sulla nomina dei vertici di viale Mazzini, e poco emerge dal dibattito parlamentare (e politico) rispetto all’esigenza di una ridefinizione della missione strategica del servizio pubblico televisivo italiano nel mutato scenario multimediale e multipiattaforma.

Perché Renzi ha castrato l’idea di una consultazione nazionale (anzi, a suo tempo, si disse “popolare”) sulla Rai, che il Sottosegretario Antonello Giacomelli aveva sostenuto?!

Perché una consultazione simile è stata promossa rispetto all’iter di quella che poi è divenuta la legge cosiddetta “La Buona Scuola”, e non rispetto al ruolo (strategico) che la Rai può avere (dovrebbe avere) nello sviluppo socio-economico del Paese?

La funzione del servizio pubblico nazionale conta forse meno della scuola, nell’interesse del “sistema-Paese”?!

La settimana prossima ci sarà una interessante occasione di confronto, e ci si augura che un po’ di tecnicismo possa alimentare il dibattito: un partito piccolo ma importante per la coalizione di governo qual è Ap-Ncd ha deciso di promuovere un convegno intitolato “CambieRai. La nuova mission della televisione pubblica. Le proposte di Area popolare”, che si terrà martedì 13 ottobre presso la Sala Capranichetta di Piazza Montecitorio (clicca qui per il programma).

Si parla quindi di “mission”, e non di “governance” soltanto: ben venga!

Al di là degli esponenti di punta di Ap (in primis il Ministro Angelino Alfano, che chiuderà i lavori insieme a Maurizio Lupi, Presidente dei deputati di Ap) e del Sottosegretario Giacomelli, sono stati coinvolti anche due tecnici indipendenti: l’avvocato Michele Lo Foco (esperto di diritto del cinema e dell’audiovisivo e già fondatore dell’indimenticata VideoMusic) e chi cura questa rubrica (che proporrà una qualche considerazione comparativa sulle televisioni “di Stato” in Europa).

È interessante osservare che, per la prima volta, il neo Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto entrerà in un’“arena politica”, ed in un agone promosso da un partito che sostiene sì il Governo, ma che, rispetto alla Rai, elabora proposte di riforma piuttosto eterodosse e radicali. E lo si comprende leggendo alcuni emendamenti proposti da Ap: per esempio, Gianni Sammarco e Vincenzo Garofalo (Vice Presidente Commissione Trasporti) vorrebbero eliminare la deroga al Testo Unico sugli Appalti che consente alla Rai di decidere liberamente cosa produrre, senza dover ricorrere alle procedure di pubblica gara e trasparente evidenza, mentre un emendamento del Pd a firma Lorenza Bonaccorsi e Vinicio Pelusso (relatori sul ddl) propone addirittura di estendere questa deroga!

Il testo normativo attuale stabilisce infatti una “deroga Rai” per l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o la coproduzione e la commercializzazione di programmi radiotelevisivi e le relative acquisizioni di tempo di trasmissione: a queste fattispecie, l’emendamento dei relatori Pd aggiunge la distribuzione e la promozione dei programmi stessi…

La domanda è: la riforma della Rai in gestazione in Parlamento va nella direzione di un rafforzamento globale del “public service broadcaster” italiano, che le possa consentire dimensioni in grado di competere sul mercato mondiale della comunicazione? Anche questa è “mission”!

La risposta è netta: no.

E non è casuale che le capacità di export dell’audiovisivo “made in Italy” siano del tutto esigue: non esistono dati affidabili, ma si ritiene (stime Anica) che il cinema italiano ricavi dalle vendite all’estero, in tutto il mondo, nemmeno 10 milioni di euro l’anno, un flusso veramente irrilevante, rispetto ai dati della Francia, che ricava dall’export audiovisivo, tra cinema ed altre tipologie, oltre 300 milioni di euro l’anno (165 milioni da film cinematografici e 137 milioni da programmi televisivi), e ai dati del Regno Unito che (pur certamente agevolato dal vantaggio competitivo della lingua inglese) può vantare addirittura 1,5 miliardi di euro l’anno di esportazioni audiovisive…

Allorquando, qualche giorno fa, la consigliera di amministrazione Mediaset Gina Nieri ribadiva l’interesse del “sistema Paese” ad avere un operatore unico delle torri (riproponendo la questione dell’acquisto dei ripetitori di RaiWay da parte di Ei Towers, che potrebbero essere gestiti assieme), riproponeva un’idea di sviluppo senza dubbio funzionale agli interessi del Gruppo Mediaset, ma al contempo una importante questione strategica che l’Italia sembra ignorare: l’esigenza di costruire “sistemi” integrati di alleanze (nazionali/internazionali) che possano consentire ai “player” del sistema mediale e culturale nazionale di superare il “nanismo” ovvero le dimensioni nane di molte nostre industrie o alcuni deficit strutturali (vedi alla voce “banda larga”). E ciò non può che avvenire anche attraverso processi di integrazione verticale ed orizzontale: questo insegna il libero mercato.

L’operazione intrapresa da Mondadori nei confronti di Rcs Libri è un esempio che va nella direzione giusta. Senza nulla togliere ai doveri di vigilanza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, intorno al tavolo, in casi come questi, dovrebbero sedere tre ministeri, e forse anche quattro: Ministero dell’Economia e Finanze, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dei Beni e Attività Culturali e Turismo, Ministero degli Affari Esteri.

E forse il premier Renzi potrebbe (lui, che può) finalmente promuovere una “cabina di regia”, che possa finalmente stimolare le sinergie indispensabili per la miglior promozione planetaria del “made in Italy” materiale e immateriale.

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