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ilprincipenudo. Convenzione Stato-Rai: rinnovo congelato fino al referendum

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

La nuova concessione Stato-Rai resta in stand by fino all’esito del referendum. Intanto le risorse da canone non crescono, nella Legge di Bilancio in gestazione.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

La questione della nuova concessione Stato-Rai è troppo importante, delicata, strategica, da non meritare un aggiornamento in tempo reale, nonostante si osservi come essa non sembri essere sotto i riflettori della stampa e dei media. Ne abbiamo scritto una decina di giorni fa su queste colonne: vedi “Key4biz” dell’11 novembre 2016 (“Convenzione Stato-Rai in fieri: ecco cosa succede dietro le quinte”), ed oggi torniamo opportunamente sulla dinamica.

Piero De Chiara (consulente del Consigliere Agcom Antonio Nicita) e Luca Baldazzi (esponente dell’Osservatorio Tg) citavano giustappunto l’articolo di “Key4biz”, rimarcando come della questione “se n’è finora parlato soltanto tra analisti” (vedi l’articolo “Rai. Istruzioni per il rinnovo della concessione”, su “Articolo21” di sabato scorso 19 novembre 2016). Baldazzi e De Chiara invitavano a guardare, ancora una volta e finanche “in extremis”, al “benchmark” britannico, ma ci sembra che la Bbc resti veramente un modello di riferimento irraggiungibile, anche soltanto per la serietà e la trasparenza dei processi decisionali che riguardano quel “public service broadcaster”.

Proprio questo silenzio della comunità professionale, e degli “stakeholder”, e della società civile italiana allarma, forse più della distrazione e dell’inerzia dei parlamentari: a proposito, Presidente Roberto Fico, che cosa sta facendo la Commissione di Vigilanza per spronare Mise e Rai?!

Per come funziona la politica in Italia (male), nessuno finisce per stupirsi del sostanziale congelamento di tutte o quasi le dinamiche di Governo del Paese, nelle more degli esiti referendari del 4 dicembre prossimo, ormai divenuti una sorta di “spada di Damocle” sul futuro dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi.

Quel che stupisce è che questioni che sono state oggetto di una serie di dilazioni temporali causate da umori infra-governativi e tira-e-molla incomprensibili (almeno secondo il buon senso), possano anch’esse rientrare in questa quasi surreale… sospensione.

Di grazia, ma la troppe volte rimandata questione della nuova “convenzione” tra Stato e Rai non dovrebbe essere trattata con un minimo di attenzione civile e finanche sensibilità politica???

La notizia è certa (anche se la fonte – attendibilissima – non vuol essere citata): la bozza di convenzione e concessione (che il Ministero dello Sviluppo Economico sta elaborando ormai da mesi) è pronta, in versione definitiva, ma si è deciso di non trasmetterla al Consiglio dei Ministri, se non giustappunto dopo il referendum.

La ragione di questa ulteriore ingiustificabile frenata è correlata forse al contenuto scabroso e pericoloso stesso del documento?! No.

La questione non è di sostanza, ma di… opportunità: gli strateghi della comunicazione di Renzi hanno valutato che la trasmissione del documento dal Mise alla Presidenza scatenerà comunque polemiche, provocherà comunque novelle querelle sulla Rai, che potrebbero quindi determinare effetti negativi rispetto all’immagine del Presidente del Consiglio, e potrebbero quindi spostare di qualche punto percentuale l’esito del referendum. A parer nostro, nella migliore delle ipotesi, forse di qualche… decimo di punto percentuale!

Che si tratti di elegante diplomazia o ignobile opportunismo, è questione che affidiamo alla valutazione del lettore.

Quel che riteniamo comunque veramente irresponsabile, in termini politici ed istituzionali, è costringere il servizio pubblico radiotelevisivo a permanere in una situazione di “stand-by” rispetto a quella che sarà la nuova definizione della sua funzione.

Questa perdurante rinnovata incertezza è forse paradossalmente voluta dal Governo stesso?

Così operando (il Governo frenando…), si costringerà poi la Commissione di Vigilanza ad uno stress (accelerando…), dato che dovrà esprimersi entro 1 mese uno dalla trasmissione da parte del Consiglio dei Ministri: sarà possibile rispettare la prevista scadenza del 31 gennaio 2017, o si dovrà assistere ad una nuova puntata della “telenovela” (dopo lo slittamento del termine di scadenza del 31 ottobre 2016, e, da prima ancora, previsto per il 6 maggio 2016)?!

Per rispettare la tempistica prevista, il Governo deve trasmettere la convenzione comunque entro fine dicembre 2016. Certo, volendo (il Governo), basterà comunque un altro emendamento (innestato in itinere su una legge qualsiasi), per… rimandare ancora! Tanto certamente non si assisterà a sommovimenti di piazza…

Si ricordi che ancora non si hanno dati certi e definitivi relativi al flusso di ricavi derivante dalla novella modalità di riscossione del canone.

Dal Mise, si ha rinnovata conferma di previsioni confortanti: a Largo Brazzà, si ritiene infatti che il polemico studio del Sindacato Lavoratori della Conoscenza della Cgil (vedi “Key4biz” del 10 novembre, “Canone Rai in bolletta: che succede se lo Stato incassa meno del previsto”) sarebbe basato su dati errati ed argomentazioni fallaci. Va però rimarcato che dal dicastero non è stato diramato alcun comunicato di smentita o di richiesta di rettifica.

Si ricordi che l’8 novembre, Slc Cgil rendeva di pubblico dominio la propria posizione: “Cgil, i conti del Mef sul canone non tornano, le nostre stime sono inferiori a piano industriale e previsioni Governo”, titolava l’Ansa. “Sulla base del dato pubblicato dal Ministero Economia e Finanze il 3 novembre sul gettito da canone da gennaio a ottobre 2016”, Slc Cgil stimava che, “anche tenendo conto dello scenario migliore, gli introiti si rivelano inferiori a quelli previsti da Viale Mazzini al momento della elaborazione del piano industriale e molto al di sotto di quanto previsto dal Governo”. Ciò emergeva da un nuovo studio del Sindacato, che ipotizzava un valore di “1.450 milioni netti di ricavi da canone per il 2016, pari a circa 1.650 milioni lordi”. Precisava la Cgil: “al momento, non c’è nessun dato ufficiale sul numero di utenti del canone, secondo la nuova formula di prelievo, né tanto meno il dato dell’evasione; è chiaro però, dal dato che ci consegna il Mef, che si è ben distanti dal dato di evasione del 4-5% inizialmente ipotizzato. A questo punto, allo stravolgimento della natura del canone, in quanto inserito nelle diverse leggi di Stabilità (2014/2015/2016), che ne hanno determinato impegni diversi dal solo finanziamento del servizio pubblico radio-televisivo, si aggiunge il dato quantitativo”.

Il risultato economico “rischia di azzerare quanto previsto in ordine al finanziamento delle radio e tv locali, oltre a metter in discussione la capacità produttiva della Rai e la sua autonomia economica dal Governo. La quota percentuale di canone che rimane alla Rai dal 2014 si è ridotta progressivamente: dei 100 euro del 2016, solo 86,81 euro arriveranno alla Rai, mentre il resto andrà alla fiscalità generale (13,19 euro); nel 2013, alla Rai arrivava il 92,4% del valore del canone (col parametro dei 100 euro attuali del canone: 92,4 euro), mentre alla fiscalità generale andava il 7,96% del valore del canone (col parametro dei 100 euro attuali 7,96 euro)”.

Concludeva, a chiare lettere e con simpatica ironia, Slc Cgil: “il Presidente del Consiglio, senza attendere un dato realistico sulle entrate del 2016, ha annunciato l’inserimento nella legge di bilancio di una ulteriore riduzione del canone Rai da 100 a 90 euro. A questo punto, non ci è chiaro se l’idea del Governo sia quella di ridurre il carico fiscale dei cittadini oppure ridurre il servizio pubblico radio televisivo”. Ribadiamo però che lo studio della Slc Cgil, per quanto fallace sia, non è stato oggetto di smentite di sorta, né da parte del Mise né da parte della Rai.

Il quesito di fondo resta: di quante risorse economiche disporrà realmente la Rai nell’esercizio 2017, anche a fronte della ulteriore riduzione del canone annunciata da Renzi, e prevista nella proposta di Legge di Stabilità in gestazione?

Se far scendere il canone da 100 euro all’anno a 90 sarà cosa gradita a molte famiglie italiane, quel che temiamo è il rischio concreto di riduzione delle risorse che andranno a Rai.

Siamo di fronte ad un tipico caso di metaforico “cane che si morde la coda”: il Sottosegretario Antonello Giacomelli sembra infatti voglia attendere dati definitivi relativi ai prevedibili flussi di risorse per Rai, prima di mettere nero su bianco (ovvero di trasmettere la bozza con ceralacca notarile alla Presidenza del Consiglio dei Ministri) un insieme di “mission” che andranno a determinare nuovi costi per Viale Mazzini (basti pensare all’ipotizzato canale internazionale in lingua inglese…). E, nell’attesa, la situazione resta… congelata.

Un segnale di discreto allarme emergerebbe dalla lettura di documenti che generalmente sono oggetto di attenzioni soltanto da parte di scrupolosi funzionari parlamentari, a fronte – temiamo – dell’interesse di assai pochi deputati e senatori: ci riferiamo ai due corposi tomi (per complessive oltre 2.100 pagine) intitolati “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019” (più precisamente, si tratta dell’Atto Camera A.C. 4127 Tab. 1, e del correlato n. 4127-bis), presentati dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan il 26 ottobre 2016.

Si rimanda alla pagina 180 (del file in formato .pdf) della Tabella 1 ed alle pagine 8 ed 86 (sempre del .pdf) del secondo volume del disegno di legge.

Si legge (v. Legge di Bilancio, pag. 8), nella tabella “Entrate tributarie per gli anni 2016 e 2017”, nella macro-voce “Tasse ed imposte sugli affari”, che le previsioni assestate del “canone Rai” per l’anno 2016 sono a quota 1.681 milioni di euro, e che per l’anno 2017 si prevedono 1.683 milioni di euro (come da Disegno Legge Bilancio, Sezione II, 2017), con un incremento in valore assoluto di 2 milioni di euro, e, in valori percentuali, di + 0,1 %. Cifre identiche per “cp” e “cs” (stanziamenti in termini di “competenza” e di “cassa”).

La stessa cifra si legge a pag. 26, nella Tavola 3-bis (“Entrate tributarie: previsioni integrate per il 2017”, ovvero “Disegno di Legge di Bilancio Integrato (Sezione I + Sezione II)”.

A pagina 188 (“Stato di previsione dell’entrata”), si legge:

“Previsioni secondo la legge di bilancio 2016”:       1.739 milioni di euro

“Previsioni assestate 2016”:                                         1.681 milioni di euro

“Disegno di Legge di Bilancio Sezione II”:                1.681 milioni di euro anno 2017

                                                                                       1.681 milioni di euro anno 2018

                                                                                       1.681 milioni di euro anno 2019

In sintesi, le previsioni “assestate” 2016 evidenziano 1.681 milioni di euro, ovvero – 48 milioni di euro rispetto alle previsioni “secondo la legge di Bilancio 2016” (cioè 1.739 milioni), e la stessa somma è sostanzialmente allocata per la previsione triennale 2017-2019.

In altre parole, le risorse effettive che Rai acquisirà a fine 2016 sono inferiori di quasi il 3% (per la precisione 2,8 %) rispetto a quelle previste nella Legge di Bilancio 2016, e per l’anno 2017 ed i due successivi si definisce una previsione della stessa entità.

A pagina 86 (.pdf), del Volume II (“Stati di previsione”) nel “bilancio per azioni”, si legge una previsione di spesa (“cp” ovvero “competenza”), per il “servizio radiotelevisivo pubblico”, di 1.618 milioni di euro (missione/programma/azione/titolo), ma non vogliamo affondare (insieme al lettore che pazientemente ci ha fin qui seguiti) nelle sabbie mobili contabili del bilancio dello Stato, ed affidiamo ad altri la verifica delle cifre ballerine. Ci limitiamo ad osservare che i danari sono comunque inferiori a quelli previsti.

Si dirà che c’è il cosiddetto “extra-gettito” (i flussi di ricavi ulteriori derivanti dalla riduzione dell’evasione, grazie al pagamento del canone nella bolletta elettrica)… ma, anche in questo caso, prevale… incertezza, se non anche confusione.

Si ricordi che si attende l’esito dell’effetto incrociato (il “combinato disposto”, come s’usa ormai dire anche nel linguaggio corrente…) del canone “scontato” (nella nuova Legge di Bilancio è previsto appunto a quota 90 euro invece di 100) e della misura che indica per il 2017 una ripartizione al 50% tra Stato e Rai per il fondo per l’extragettito derivante dalla stessa tassa.

Per quest’anno, l’obiettivo assestato è di 1.681 milioni di euro: le maggiori entrate rispetto a tale cifra, per il 2016, saranno destinate ad un fondo di cui il 33% andrà all’erario (e che sarà indirizzato tra l’altro al fondo per l’eliminazione della tassa dalla prima casa! che c’azzecca?!); inoltre, da qui si attingerà fino a 100 milioni di euro per finanziare il “fondo per il pluralismo” indirizzato all’editoria e alle tv locali; per il 2017 e il 2018, quando è presumibile che l’extragettito sarà meno ricco (dopo la riduzione del canone) all’erario andrà il 50% invece del 33% (questa misura è contenuta nella manovra approvata lo scorso anno e riguarda, appunto, il prossimo biennio).

Senza offendere il Grande Ragioniere dello Stato, sembra quasi di assistere ad un… “gioco delle tre carte”. Certamente però non è la Rai a vincere, in questa estenuante sceneggiata numerica.

Ricordiamo che siamo al 21 novembre e che son trascorsi quasi 4 mesi da quando il Sottosegretario Giacomelli ha presentato alla Camera i risultati della tanto decantata consultazione “CambieRai” (vedi “Key4biz” del 27 luglio 2016, “Consultazione Rai: perché i quesiti sono stati malposti?”): perché si è atteso tutto questo tempo, e la bozza di convenzione non è ancora di pubblico dominio?!

Si tratta di un ritardo veramente ingiustificabile (in termini tecnici) ed intollerabile (in termini civili e politici).

È comunque ancora presto per comprendere quanto il “mix” delle indicazioni governative andrà ad incidere effettivamente sui conti di Viale Mazzini, anche perché, ad oggi (21 novembre 2016), non si ha notizia certa dell’incasso arrivato all’Agenzia delle Entrate dal canone pagato con la nuova modalità della tassa in bolletta. Va peraltro ricordato che le entrate della Rai derivano non soltanto da canone ma anche da pubblicità, e va segnalato che quest’anno – finora – la raccolta pubblicitaria parrebbe sia andata abbastanza bene.

Comunque, ad oggi, dati certi… nessuno!  E la convenzione resta chiusa a chiave nei cassetti ministeriali. Segreto di Stato (o di Pulcinella, che sia).

L’impressione complessiva che si ricava da questi andamenti a zig-zag e da queste dinamiche altalenanti è di una logica sostanzialmente “mediterranea”: un andamento lento e vischioso, dal quale emerge una volontà del Governo di lasciare la Rai a… bagnomaria, costringendola ad una continua navigazione a vista.

E se dovesse prevalere il “No” al referendum, temiamo che la questione Rai verrebbe purtroppo rimandata nuovamente, chissà di quanti mesi ancora, non rientrando certamente nelle emergenze sopravvivenziali che dovrà affrontare un Renzi eventualmente sconfitto sulla campale vicenda referendaria.

Altro che… CambieRai: qui siamo a… povera Rai: PoveRai!

  • Clicca qui, per leggere un estratto dal Dossier del Servizio Studi della Camera dei Deputati n. 395 (novembre 2016) “Legge di bilancio 2017. Profili di competenza della VII Commissione Cultura”, in relazione all’articolo 9, che riduce il canone Rai da 100 a 90 euro. Tra le righe, sembrerebbe che il Servizio Studi sostenga che l’assegnazione di quote parti del canone Rai a soggetti altri rispetto alla Rai potrebbe provocare finanche profili di incostituzionalità: “Sull’argomento si ricorda che la Corte costituzionale, nel ribadire la legittimità dell’imposizione del canone radiotelevisivo, aveva chiarito con la sentenza 284/2002, che lo stesso “costituisce in sostanza un’imposta di scopo, destinato come esso è, quasi per intero (a parte la modesta quota ancora assegnata all’Accademia nazionale di Santa Cecilia), alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo”.