Il parallelo

ilprincipenudo. Cinema e digitale terrestre, stesso problema di concorrenza sleale

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Dall’Agis in ConfCommercio, con Impresa Cultura Italia per celebrare la centralità di cinema e teatri, all’Agcom, che cerca di rilanciare il digitale terrestre. Si pone un problema, differenziato ma comune, di ‘concorrenza sleale’: cinematografi vs Netflix, Mediaset vs Rai, 'broadcaster' vs 'over-the-top'.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Due iniziative, questa mattina a Roma in spiacevole “contemporanea”, come ormai spesso accade, a conferma che esistono tanti “mondi paralleli” nel sistema culturale e mediale nazionale, e che non si parlano granché tra loro: da un lato, l’Agis (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo) che presenta una ricerca Iulm sulla centralità della sala cinematografica e teatrale e sui suoi “moltiplicatori” nel territorio; dall’altro, l’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) che propone una riflessione critica finalizzata a rilanciare una piattaforma come il digitale terrestre.

Elementi stimolanti, da un lato o dall’altro?! Ben pochi, purtroppo.

La ricerca promossa dall’Agis (una ricognizione piccina picciò), intitolata “Spazi culturali ed eventi di spettacolo: un importante impatto sull’economia del territorio”, ha cercato di dimostrare che esiste un significativo livello di “moltiplicatori” economici sul territorio, anche intorno alla fruizione di cinema e teatro e musica, soprattutto nelle sale così come nelle “location” dei concerti: se si spende 10 per un biglietto cinematografico, secondo la ricerca, realizzata da Iulm e Makno, si attiva una spesa complessiva di 50 euro… Ma questo ennesimo battere sul tasto della “economia della cultura” appare ormai un “dejà vù”, dopo anni ed anni di ri-affermazione del valore economico del sistema culturale (da Federculture a Symbola, passando per gli studi sulla creatività promossi da Siae ed altri ancora): basti ricordare che Dario Franceschini, quando si insediò come titolare del Ministero dei Beni e delle Attività (e, allora, ancora del Turismo), nel febbraio 2014, tra le prime sortite, rivendicò di essere fiero di aver assunto il più importante “ministero economico” del Paese… Il dato è noto, la coscienza acquisita: quel che continua a mancare è una “policy pubblica” adeguata (intersettoriale, organica, strategica) che sappia promuovere conseguentemente la cultura, e non soltanto come vettore di sviluppo economico, ma anche di coesione sociale.

L’occasione di riflessione promossa dall’Agcom (nell’ambito delle iniziative per celebrare il ventennale dell’Autorità) si è rivelata complessivamente deludente (al di là del “parterre de rois”: saluto della Presidente del Senato ed in prima fila Gianni Letta…), se non per un qualche guizzo del “vecchio saggio” Fedele Confalonieri, perché l’iniziativa ha riproposto tesi note e stranote: ovvero che i “broadcaster” soffrono della perdurante asimmetria e che il “level playing field” resta in Italia un pio auspicio, a fronte dei grandi privilegi di cui beneficiano gli a-regolati “over-the-top”.

Siamo tutti lieti che Agcom ne abbia piena coscienza, ma forse il cittadino (e l’operatore) vorrebbe che “qualcuno” intervenisse, per ri-equilibrare la dinamica in atto ormai da anni. Sarà sfuggita alla nostra attenzione, ma non ci sembra di aver letto documenti pugnaci con i quali l’Agcom sollecita il Parlamento ed il Governo ad assumere provvedimenti correttivi…

Basta elucubrazioni e chiacchiere, la sperequazione è ormai evidente, urgono interventi normativi.

Procediamo con ordine.

La notizia non è nuova, ma si tratta di una delle prime novelle sortite pubbliche dell’Agis, che si è sganciata da Confindustria ed ha deciso di promuovere una nuova associazione imprenditoriale con ConfCommercio, denominata Impresa Cultura Italia (annunciata il 1° agosto scorso), così sancendo – ci sembra – la morte di Confindustria Cultura, che, nel corso degli anni, ha visto perdere buona parte dei propri associati.

Sale cinematografiche, teatri, festival sono in grado di stimolare l’economia del territorio. Infatti, gli eventi culturali, al pari di un’infrastruttura o di un investimento immobiliare, attivano processi virtuosi di incremento della domanda di beni e servizi nel contesto interessato dalla struttura o dalla manifestazione. Secondo la ricerca Iulm e Makno, per ogni euro speso nella gestione di una struttura cinematografica o teatrale, si viene a generare 1,7 euro di produzione di beni intermedi sul territorio e 2,4 euro di “valore aggiunto”.

Non entriamo nel merito delle metodologie (ed evitiamo al lettore perplessità sulle matrici “input” / “output”…), perché lo stesso Mario Abis ha riconosciuto – con un qual certo imbarazzo – che si è trattato di una ricerca realizzata con un budget molto limitato e con tempistiche strette.

L’unica notizia veramente degna di nota della presentazione è rappresentata da un video-messaggio del Ministro Alberto Bonisoli, che ha annunciato un decreto sulle cosiddette “window”: si tratta del “decreto che regola le finestre in base a cui i film dovranno essere prima distribuiti nelle sale e dopo di questo su tutte le piattaforme che si vuole. Penso sia importante assicurare che chi gestisce una sala sia tranquillo nel poter programmare film, senza che questi siano disponibili in contemporanea su altre piattaforme”.

Il Presidente dell’Agis e della novella Impresa Cultura Italia, Carlo Fontana, ha manifestato il plauso per l’iniziativa del Ministro, anche se tutti attendiamo di leggere il contenuto dell’annunciato decreto, e sarà interessante registrare le reazioni di “player” come Netflix: “Evitare la concorrenza sleale e rilanciare il cinema come elemento di promozione della cultura è una richiesta che facciamo da tempo, e finalmente si è trovata una soluzione che salutiamo con grande piacere”.

Il Ministro Alberto Bonisoli ha anche annunciato che ci saranno anche belle novità per il rilancio della fruizione “theatrical” in sala nel periodo estivo, che caratterizza l’Italia come uno dei mercati cinematografici più arretrati d’Europa. Aveva preannunciato interventi in tal senso anche la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni, ieri in Rai (vedi “Mibac e Rai presentano la campagna dei siti Unesco e annunciano fondi per i cinema” su “Key4biz” del 13 novembre): siamo curiosi di conoscere quali saranno concretamente i “blockbuster” e soprattutto il calendario delle programmazioni che dovrebbero sanare questa ormai storica patologia tutta italiana (da anni, anzi decenni, sentiamo il Ministro “pro tempore” che annuncia una rivoluzione estiva nei cinematografi italiani, e la promessa non s’è finora mai concretizzata)…

In Senato, nella elegante Sala Zuccari, la affollata kermesse Agcom è stata intitolata “ll futuro del digitale terrestre nella competizione multipiattaforma: opportunità e business per gli attori del mercato”, ed ha visto seduti al tavolo dei relatori i maggiori “player” del settore televisivo italiano, con il Commissario Antonio Martusciello a fare da moderatore e stimolatore. Si è trattato di: Fedele Confalonieri, Presidente Mediaset, del Vice Presidente Affari Legali Discovery Sud Europa Marcello Dolores, dell’Amministratore Delegato de La7 Marco Ghigliani, dell’Amministratore Delegato della Rai Fabrizio Salini, dell’Amministratore delegato di Chili, Giorgio Tacchia e dell’Amministratore Delegato di Sky Italia Andrea Zappia

La Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, introducendo l’incontro, ha sostenuto che “il passaggio dal sistema analogico a quello digitale ha generato certamente un innalzamento della qualità, maggiori contenuti prodotti e, di conseguenza, un significativo aumento del pluralismo”. Non è questa la sede per mettere in dubbio questa tesi ottimista: i canali televisivi sono certamente aumentati, ma che l’Italia abbia assistito ad una particolare estensione del pluralismo (inteso nella sua sostanza, non nella sua forma) ci sembra tesi opinabile…

È riemersa una tesi ormai acquisita, nel dibattito mediologico e politico: “stesse regole” per tutti: in questo caso, “broadcaster” ed “over-the-top”.

Purtroppo, non c’è stata chance di contraddittorio, ed i “convitati di pietra” – si chiamino Google o Facebook o Amazon – non hanno avuto chance di manifestare la loro opinione…

Perché Agcom non li ha invitati, anche per rendere l’iniziativa ideologicamente meno appiattita?!

Oppure Agcom li ha invitati e questi nuovi “potenti del mondo” hanno declinato l’invito?! Tanto ormai a loro interessa assai poco, in epoca di “governance digitale planetaria”, parlare con gli… Stati nazionali.

Altro quesito sorge spontaneo: come mai, poi, nessun esponente del Parlamento e del Governo è stato coinvolto da Agcom nell’iniziativa?!

Abbiamo ragione di ritenere che ci sarebbe più di un parlamentare, della maggioranza o dell’opposizione, e finanche del Governo, che forse qualcosina in materia avrebbe da dire. Anche soltanto per cercare di giustificare i ritardi e l’inerzia del legislatore italiano

Unica noterella degna di nota la (piccola) polemica innescata dal Presidente di Mediaset. Fedele Confalonieri, il quale, rivolgendosi all’Amministratore Delegato della Rai, ha sostenuto che “non si può svendere la propria merce, buttandola alla disperata sul mercato, facendo sconti del 90-95 per cento, quando poi si ha anche la riserva del canone, che è in bolletta e non c’è più l’evasione di una volta… Lo dico sotto il profilo commerciale: non si può fare la promozione con il 70 per cento di sconto se vendi saponette o i prodotti di bellezza o altro, perché ne risentirebbe la catena di produzione, mentre noi abbiamo la merce (la pubblicità) contingentata…”, il che “vuol dire proprio buttare via la merce”.

Le accuse di Mediaset alla Rai in tema di dumping “non sono vere. La Rai non fa dumping”: a respingere al mittente il “j’accuse” è stato ovviamente l’Ad della Rai Fabrizio Salini, che ha reagito all’accusa di concorrenza sleale – ovvero di “dumping” – sostenendo che “la Rai non fa dumping, anzi. Abbiamo il tetto pubblicitario, alcuni nostri canali non ospitano la pubblicità (si pensi a Rai4 e Rai Storia e Rai YoYo ndr), non facciamo pubblicità agli operatori di ‘betting’, anzi facciamo una campagna di sensibilizzazione contro la ludopatia. Non c’è nessuna pratica di dumping. Anzi, tutt’altro…”.

In verità, qualcosa di vero crediamo ci sia – come sanno tutti gli operatori del settore – se – come ha giustamente rimarcato il parlamentare del Partito Democratico sempre ipersensibile rispetto alle politiche televisive, Michele Anzaldi, una precisa disciplina è stata introdotta, nell’economia delle conseguenze della legge di riforma della Rai a suo tempo tanto voluta da Matteo Renzi: “se la denuncia pubblica di Confalonieri sulla Rai che farebbe dumping pubblicitario sia vera o no, lo valuteranno gli organi competenti. Di certo, il nuovo Contratto di Servizio, approvato dal Governo Gentiloni lo scorso anno, per la prima volta contiene una precisa norma antidumping”… L’articolo 9 comma 2 del Contratto di Servizio Stato-Rai, ricorda Anzaldi, recita testualmente: “« Al fine di garantire il corretto assetto concorrenziale, la società concessionaria provvede a stipulare i contratti di diffusione pubblicitaria sulla base di principi di leale concorrenza, trasparenza e non discriminazione. Le competenti autorità di settore verificano su base annuale il rispetto dei principi suddetti e del corretto assetto del mercato. La norma antidumping c’è. Antitrust e Agcom hanno adesso gli strumenti per fare i dovuti accertamenti e intervenire a tutela del mercato, se ce n’è bisogno..”.

Conclusivamente:

– le sale cinematografiche sono liete che il Ministro intervenga rafforzando le “window” per evitare la concorrenza sleale di soggetti prepotenti come Netflix…

– Mediaset auspica che la Rai riduca la concorrenza sleale nelle pratiche di vendita della sua pubblicità…

– il “fronte unito” del “broadcaster” accusano gli “over-the-top” di mettere in atto pratiche di concorrenza sleale nel loro operato commerciale, abusando di un’asimmetria…

Il Paese sembra dominato dalla… concorrenza sleale.

L’impressione che se ne trae è quella di un sistema culturale-mediale che stenta ad essere ben regolato, ovvero della perdurante assenza di una “regia pubblica” che sappia ben stimolare lo sviluppo di un’industria sana, plurale, vivace, ben temperata.

  • Clicca qui, per leggere la ricerca Agis “Spazi culturali ed eventi di spettacolo: un importante impatto sull’economia del territorio”, presentata il 14 novembre 2018 alla Camera di Commercio di Roma.
  • Clicca qui, per la videoregistrazione, su Radio Radicale, dell’iniziativa “Il futuro del digitale terrestre nella competizione multipiattaforma: opportunità e business per gli attori del mercato”, tenutosi in Senato il 14 novembre 2018 a Roma.