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ilprincipenudo. Area Popolare vuole rivoluzionare la Rai, Campo Dall’Orto digitalizzarla e Giacomelli esalta la riforma

Angelo Zaccone Teodosi

Angelo Zaccone Teodosi

Si è rivelato interessante e piuttosto eterodosso il seminario promosso ieri a Roma da Alleanza Popolare alias Ncd-Udc sul servizio pubblico, intitolato “CambieRai. La nuova mission della televisione pubblica” (di cui “Key4biz” ha fornito alcune anticipazioni ai propri lettori): si è trattato peraltro della prima sortita del Direttore Generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto in un consesso specificamente politico-partitico, e le aspettative non son state disattese, perché si è potuto comprendere meglio “l’approccio” del neo Dg verso il Palazzo.

In una sala affollata di operatori del settore (produttori cinetelevisivi, dirigenti Rai, e qualche personaggio della tv come Lando Buzzanca, Enrica Bonaccorti, Claudio Lippi), il piccolo ma vivace partito guidato da Angelino Alfano, che sostiene il Governo a guida Pd, ha presentato alcune tesi discretamente rivoluzionarie sulla riforma della Rai, dimostrando un apprezzabile non-allineamento rispetto al dominante “Renzi-pensiero”. Alcune di queste tesi sono state peraltro tradotte in emendamenti presentati soprattutto dai parlamentari di Ap Gianni Sammarco (che ha organizzato la kermesse) e Vincenzo Garofalo, nell’iter del disegno di legge C. 3272 alias “Riforma della Rai e del servizio pubblico radiotelevisivo”.

Ha presentato i lavori Maurizio Lupi (Presidente dei deputati di Area Popolare), ed ha introdotto Rocco Buttiglione (Vice Presidente dei deputati di Ap), che ha provocato l’uditorio sostenendo che “per capire la nuova mission della Rai, si dovrebbe comprendere bene quale fosse quella della vecchia Rai, a cominciare dalla direzione di Ettore Bernabei.

Secondo Buttiglione, quella Rai aveva una missione precisa: “rendere gli italiani consapevoli della propria identità, delle proprie radici, del proprio orgoglio”, e l’aggettivo “nazional-popolare” che è stato spesso utilizzato in chiave dispregiativa (utilizzato come “una clava contro il povero Pippo Baudo”) andrebbe invece ben rivalutato e rilanciato.

Si è  passati dalla… “visione” unitaria della televisione pubblica alla… “di-visione”, con una Rai tripartita prima per aree ideologiche, e poi aree di potere, con una degenerazione che ha portato ad un “incrocio di potentati”. La Rai deve essere altra, rispetto alla tv privata: “se deve essere uguale alla… tv privata, tanto vale… privatizzarla”. Deve riscoprire il proprio ruolo, e per questo Ap ha voluto invitare esperti ed operatori ad una riflessione critica.

La relazione introduttiva è stata presentata da Michele Lo Foco (avvocato specializzato in diritto dello spettacolo, già fondatore dell’antesignana VideoMusic e consigliere di amministrazione di alcune società del gruppo Rai), che ha manifestato le critiche e le proposte di Area Popolare nei confronti di Viale Mazzini: troppi centri decisionali interessati a gestire il potere, tante “piccole repubbliche”, che fanno sì che la Rai “affronti il futuro con armi spuntate”.

Lo Foco si è concentrato sul “prodotto”, sostenendo che la riconoscibilità di un servizio pubblico passa anzitutto attraverso la qualità ed identificabilità dell’offerta editoriale. La Rai, pur essendo ormai riconosciuta dalla giurisprudenza come società pubblica a tutti gli effetti, beneficia di una deroga al Testo Unico sui Contratti, la legge che regola in modo rigido e dettagliato gli appalti delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici appunto: l’art. 19 del Testo Unico consente alla Rai di procedere con totale discrezionalità negli appalti relativi ai prodotti audiovisivi.

RaiFiction gestisce quindi in assoluta libertà oltre 200 milioni di euro l’anno, ed altresì dicasi per gli oltre 140 milioni di euro l’anno di Rai Cinema.

In sostanza, Ap propone la rottura dell’“integrazione verticale” nella produzione di cinema (Rai/Rai Cinema) e l’introduzione di regole pubbliche e trasparenti negli affidamenti produttivi per la fiction, e più in generale per tutti i generi (animazione, documentari, entertainment…).

La tesi è ardita e radicale, piacerà sicuramente alle associazioni di settore (Anica, Apt, Agis, 100autori, Anac, Doc/It, Cartoons Italia), ma certamente produce una vibrazione lungo la schiena e sulle poltroncine di “decision maker” di viale Mazzini, da Tinny Andreatta per la fiction a Paolo Del Brocco per il cinema a Giancarlo Leone per l’entertainment. Lo Foco ha poi lamentato le dimensioni eccessive della forza-lavoro Rai, così come il livello eccessivo degli stipendi del management. Il ruolo di Rai Pubblicità è sottodimensionato, ma d’altronde è l’attuale assetto normativo a castrare le potenzialità di raccolta pubblicitaria: “come possedere l’erogatore di benzina per una automobile: posso fare il pieno o mettere alcuni litri per volta, posso allontanarmi lasciando il cartello ‘torno subito’ in modo che le auto scelgano un altro distributore”.

La dipendenza dai modelli culturali stranieri è un altro punto dolente: “invece di essere una serra creativa e dare la possibilità agli operatori del settore di saggiare la loro inventiva, la Rai acquisisce modelli di programmi esteri, descritti di solito come miracolosi, e peraltro spesso di una elementarità sconcertante. Basti pensare che una rete come Rai Yoyo trasmette l’84 % di titoli stranieri”.

Conclusivamente, Lo Foco ha illustrato le 10 richieste di Area Popolare per la Rai:

  1. Diminuzione del canone ed eliminazione della evasione;
  2. Riduzione conseguente della pubblicità in particolare nei programmi per bambini/ragazzi e trasmissioni culturali;
  3. Sviluppo di un palinsesto ricco di alternative;
  4. Bando di gara per fiction e cinema;
  5. Compenso massimo per attori, sceneggiatori, presentatori, stabilito per singola trasmissione, ma anche annuo per attività multiple;
  6. Obbligo di pre-acquisto o acquisto di prodotto nazionale a prezzi parametrati agli incassi cinematografici;
  7. Massima attenzione per prodotti di interesse internazionale;
  8. Limite di spesa per direttori di rete 500mila euro;
  9. Diminuzione delle reti tematiche a massimo quattro (una per la storia, una per cartoni animati, una per cinema e fiction nazionale fino al 2005, una per arte varia);
  10. Obbligo di digitalizzazione dei prodotti.

La relazione di Lo Foco può essere scaricata qui.

La parola è passata poi a chi redige queste noterelle, che ha cercato di proporre alcune analisi comparative internazionali, concentrandosi su tre questioni essenziali e correlate: “finanziamento” / “governance” / “mission”. Quel che emerge dall’analisi scenaristica comparativa è la intima correlazione tra “struttura” (le dimensioni economiche del “psb” servizio pubblico) e la “sovrastruttura” (l’offerta editoriale): più la prima è grossa, solida, stabile, più la seconda viene ad essere ampia, diversificata, plurale.

La televisione italiana è oggettivamente la meno sostenuta dalla “mano pubblica”, tra i 5 maggiori Paesi europei.

Un indicatore significativo è dato dal “ricavo pro-capite” da risorse pubbliche: i ricavi per cittadino da risorse pubbliche (canone e/o sovvenzioni) corrispondono a 29 euro l’anno in Italia, a fronte dei 95 euro della Germania, i 76 euro del Regno Unito, i 55 euro della Francia, i 36 euro della Spagna.

Questi dati debbono stimolare una riflessione approfondita da parte del “policy maker”: cosa pretende lo Stato (italiano) dal “psb”, se è così avaro nelle risorse?! Il prospettato recupero delle mancate risorse da evasione del canone (quasi il 30% del totale) attraverso l’imposizione nella bolletta elettrica è certamente un intervento valido (al di là delle problematiche tecniche con i 160 gestori italiani), ma manterrà comunque la Rai a livelli dimensionali di budget inadeguati alla sua funzione nel sistema culturale nazionale.

La struttura del finanziamento: l’Italia è il Paese europeo, tra i “big 5”, con maggiore quota di ricavi pubblicitari sul totale delle entrate. Secondo i dati del bilancio consolidato Rai 2014, i ricavi da canone sono stati 1.591 milioni di euro, a fronte dei 675 milioni da pubblicità e 269 da altre fonti.

La pubblicità incide quindi per il 26,3% del totale dei ricavi Rai, a fronte del 62,3% del canone. La media dei ricavi pubblicitari “psb” di tutta Europa è stata nel 2013 nell’ordine del 10 % nel 2013 (con un significativo calo rispetto al 15 % del 2008).

In sostanza: la Rai registra rispetto alla media europea circa un +20 punti percentuali da ricavi pubblicitari ed un –15 punti da ricavi pubblici.

Questo gap va assolutamente ridotto, perché altrimenti si continua ad alimentare la sindrome cosiddetta “di Arlecchino”, servo di due padroni: lo Stato ed il mercato. Infatti, se il tentativo del legislatore italiano è stato quello di ridurre lo strapotere della “politica” nella Rai, rapportandola al “mercato”, il fallimento del tentativo è ormai assolutamente evidente, essendosi venuta a determinare una perversa duplice dipendenza.

Peraltro, nei maggiori mercati europei, la pubblicità è sostanzialmente assente, in particolare nei “psb” di Regno Unito (Bbc), Germania (Ard/Zdf), Francia (France Télévisions), Spagna (Rtve e tv pubbliche regionali del circuito Forta). Si osservi come la pubblicità sia stata eliminata da governi di ben diverse cromie: Sarkozy nel 2009 in Francia, e Zapatero nel 2010 in Spagna.

Possono poi essere identificate alcune priorità: necessità di garantire al “psb” risorse stabili e certe, e soprattutto adeguate alla “mission” che il “decision maker” politico, ovvero il Governo ed il Legislatore, intende assegnare (nella coscienza che le migliori pratiche europee consentono di quantificare i livelli di fabbisogno finanziario Rai); opportunità di una separazione tra le funzioni di indirizzo strategico e le funzioni di gestione, attraverso un sistema di controllo trasparente (modello britannico); opportunità di un coinvolgimento molto ampio della società civile, nelle sue molteplici anime, nell’organo chiamato a disegnare l’indirizzo strategico (modello tedesco); opportunità di sviluppare un dibattito approfondito sul ruolo del “psb”, con consultazioni pubbliche e coinvolgimento della società civile e della comunità professionali (modello britannico e francese); opportunità di un ruolo ben attivo dell’autorità nazionale di vigilanza, che, al di là delle funzioni di “controllo” dei “contratti di servizio” in essere, può arrivare a nominare membri del cda del “psb” (modello francese).

La relazione può essere scaricata qui.

Dopo l’intervento di Zaccone, è stato chiamato ad esprimere il proprio pensiero un eterodosso consigliere di amministrazione, Arturo Diaconale (direttore del quotidiano “L’Opinione” e presidente del Tribunale Dreyfus), che ha segnalato l’anomalia di un cda le cui funzioni vengono sostanzialmente ridotte dalla novella legge in gestazione, ma lasciando ai consiglieri le responsabilità (anche penali) previste dal codice civile per gli amministratori di una società per azioni (quale la Rai, pur anomala, continua ad essere)… Diaconale, riferendosi alle relazioni di Lo Foco e Zaccone, ha sostenuto che dal quadro proposto uno scenario sconfortante: “se le cose stanno così, la Rai dovrebbe essere completamente ristrutturata, rigenerata dalle fondamenta: un’impresa veramente titanica”.

Il consigliere Paolo Messa (fondatore dell’eccellente testata giornalistica “Formiche”), con un intervento di estrema pacatezza, ha voluto precisare come il rapporto tra Cda e Dg sia attualmente dialettico ma sereno, forse diverso rispetto alle precedenti esperienze consiliari, al punto tale che finora tutte le decisioni sono state assunte all’unanimità. Messa ha voluto così rappresentare la assoluta sintonia tra il consiglio di amministrazione e quelli che sono gli auspici governativi rispetto alla riforma in atto.

Si è passati quindi alla parte per alcuni aspetti più attesa della kermesse, ovvero il confronto tra il Direttore Generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto ed il Sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli: la sintonia tra i due è emersa evidente, con simpatici ammiccamenti dialettici.

Il Sottosegretario Giacomelli ha rinnovato la sua immagine paciosa, riproponendo il convincimento sul carattere innovativo della riforma Rai, soprattutto in relazione alla separazione tra funzioni di indirizzo e funzioni di controllo.

Ha sostenuto che il dibattito pubblico sul servizio pubblico dovrà concretizzarsi in occasione della gestione del prossimo “contratto di servizio”, ovvero di quello che sarà inscritto nel quadro della nuova legge.

Ricordiamo però al Sottosegretario che in verità esisterebbe un “contratto di servizio”, benedetto dalla Commissione di Vigilanza Rai nel maggio 2014, e da allora rimasto “alla firma” delle due parti (Rai e Stato): è vero che dovrebbe (avrebbe dovuto!) regolare il triennio 2013-2015, e siamo ormai agli sgoccioli del periodo temporale… si spera però che la gestazione del prossimo “contratto di servizio” non debba registrare la estenuante deriva abortiva che il Governo ha deciso di assegnare a quello che pure avrebbe dovuto vedere la luce oltre un anno fa.

Giacomelli ha anche ricordato il carattere innovativo dei “tavoli di lavoro” promossi dal suo dicastero d’intesa con il Ministero dei Beni e Attività Culturali e il Turismo: per la prima volta i “mondi” (finora separati) dell’industria del cinema e dell’industria della televisione si parlano, e si sta cercando una composizione degli interessi (non sempre convergenti) rispetto all’esigenza di un’azione sinergica, soprattutto in materia di internazionalizzazione del “made in Italy” audiovisivo.

È venuto poi il turno di Antonio Campo Dall’Orto. Va segnalato anzitutto come il Direttore Generale Rai si sia dimostrato emblematicamente… vago, ovvero abbia, con pacata diplomazia, completamente ignorato le tesi proposte da Area Popolare: questa sua (non) reattività la dice lunga sul suo modo di fare (“fare azienda” e “fare politica”).

Egli sembra essere altro, e finanche alieno rispetto al “vecchio” sistema relazionale, tra Palazzo e Viale Mazzini. Ci auguriamo che questa “alienità” non sia simile a quella di Ignazio Marino, dato il deprimente risultato rispetto alle speranze che molti riponevano nel “marziano” divenuto Sindaco di Roma.

Battute a parte, abbiamo avuto chance di ri-apprezzare il Campo Dall’Orto eccellente mediologo, con un intervento alto e colto, in sintonia con quello che ha presentato la settimana scorsa nel seminario di Capri (di cui abbiamo già scritto su queste colonne). Il Dg Rai ha voluto contestare una tesi di chi scrive queste note, sostenendo che, se è vero che la televisione continua ad essere (e verosimilmente per decenni continuerà ad essere) il medium dominante o comunque prevalente, quel che va colto, della radicale innovazione tecnologica in atto, non è nelle dimensioni della fruizione bensì nella sua natura strutturale, ovvero come il web ed il “mobile” stiano radicalmente modificando la struttura del sistema socio-economico (per esempio, rispetto alle forme del lavoro, oltre alla socialità).

In questo senso, Campo Dall’Orto ha rappresentato la sua idea di Rai sia come strumento di “alfabetizzazione digitale” (e quindi anche culturale) per l’intero Paese, per superare il richiamato “digital divide”, sia come attore principale dell’industria culturale e creativa nazionale: la Rai “deve accompagnare il Paese verso il futuro digitale”.

Un “attore” che sia promotore attivo, ma anche molto “aperto”, ovvero partner di tutti coloro che vogliono andare nella stessa direzione: lo sviluppo dell’industria culturale nazionale tutta. Ha proposto l’esempio della partnership Rai all’operazione “Suburra”: il thriller cinematografico prodotto da Cattleya (il più grande produttore cinematografico e audiovisivo italiano, ovvero Riccardo Tozzi, che è anche presidente dell’Anica), diretto da Stefano Sollima, tratto dal libro di Marco Bonini e Giancarlo De Cataldo, prima opera italiana rispetto alla quale Netflix ha manifestato interesse; se Netflix ha acquistato i diritti “non lineari”, Rai ha acquistato i diritti “free”, e, dopo il film in sala, la Rai sarà co-produttrice della serie televisiva che verrà prodotta nel 2016. Da segnalare che il consigliere Messa ha però sostenuto: “Suburra è un prodotto di grande qualità, un merito dell’azienda essendo stato acquistato da Netflix, ma la narrazione dei Paese può limitarsi a Suburra? Secondo me, no”.

L’impressione che abbiamo maturato rispetto al più giovane Dg della storia della Rai è di un professionista con grande esperienza tecnica soprattutto “internazionalista” (d’altronde è stato alla guida della filiale italiana ed europea di una multinazionale come Mtv-Viacom), ma attendiamo le sue prime concrete iniziative strategiche e gestionali, dopo queste eccellenti e condivisibili elucubrazioni mediologiche.

In effetti, la Rai è sì – ovvero deve essere – anche “azienda”, ma resta un’azienda atipica, nella sua funzione di “servizio pubblico”, e deve relazionarsi anche con il sistema della politica tutto, non soltanto con il Conducator Renzi.

La politica non deve essere invasiva, ma non può nemmeno essere ignorata.

Temiamo anche che Dall’Orto dovrà presto scontrarsi con la “tecnostruttura” aziendale, e con il suo conservatorismo strutturale ed i suoi legami vischiosi con il Palazzo. Crediamo il Dg stia attendendo di entrare nella pienezza dei poteri (quelli previsti dalla legge in gestazione), per scardinare alcuni bulloni arrugginiti di Viale Mazzini. La battaglia si prevede cruenta, e molte teste cadranno.

Se è vero che il Dg continua ad essere “in fase istruttoria”, e sta cercando di orientarsi nella intricata giungla del “ministero” di viale Mazzini, va comunque segnalato che intanto una testa nuova (e di qualità) è stata acquisita dall’esterno: Cinzia Squadrone, giovane dirigente con ricca esperienza di marketing (Medusa, Rti, per sette anni a La7, ed infine da due a Discovery Italia).

Squadrone non sostituisce nessuno, perché la casella di Direttore del Marketing Rai era incredibilmente vacante da alcuni anni, ed è stata finora coperta “ad interim” dall’ex Vice Dg Antonio Marano. Da segnalare che il Dg ha sfuggito le domande dei giornalisti, sia ad inizio sia a fine convegno: il “Corriere della Sera” ha intitolato un breve video “Il Dg Rai evita i giornalisti correndo dopo convegno”.

Ha concluso il convegno il senatore Paolo Bonaiuti (parlamentare di Forza Italia passato un anno fa da Forza Italia all’Ncd e quindi nelle fila del partito di Alfano, per nove anni Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con Berlusconi premier), che ha manifestato apprezzamento ed al contempo dubbi rispetto alla riforma in atto, sostenendo che si deve ragionare presto su una “riduzione del personale” e su interventi altri per ridurre “il corpaccione elefantiaco della Rai”.

Bonaiuti ha ricordato ironicamente che quando fu Berlusconi a proporre il canone in bolletta, il Governo fu sommerso di critiche, mentre ora Renzi beneficia, anche in questo, di stampa favorevole…

Maurizio Lupi ha chiuso i lavori, enfatizzando come Area Popolare voglia utilizzare “strumenti nuovi” per rilanciare la missione del “psb”, che comunque resta quella di sempre: informare, educare, intrattenere. Ha riconosciuto come il livello tecnico del dibattito parlamentare e politico della Rai sia deficitario, e si debba lavorare meglio su una così delicata tematica: da questa coscienza partitica, è nata l’idea del seminario. Richiamando la relazione di Lo Foco, Lupi ha rilanciato l’idea di Ap di estendere “la pluralità di accesso” alla Rai, come elemento fondante di un più sano rapporto tra azienda di servizio pubblico e “mondo esterno”, imprenditoriale e culturale.

La registrazione audiovideo del convegno è stata curata da Radio Radicale ed è disponibile online (clicca qui per accedere al link).

Mentre si svolgeva il seminario di Area Popolare, proseguiva nelle Commissioni congiunte Cultura e Trasporti della Camera l’iter del disegno di legge di riforma della governance Rai, già approvato dal Senato ed atteso in Aula a Montecitorio la prossima settimana. Oggi è prevista una doppia seduta delle Commissioni, compresa una notturna, che dovrebbe consentire di concludere l’esame. Giacomelli ha ribadito che il Governo vorrebbe che la legge venisse approvata entro fine dicembre. Ieri i relatori hanno presentato un nuovo emendamento sul piano di trasparenza e comunicazione aziendale: l’azienda sarà tenuta a pubblicare sul proprio sito internet, oltre ai dati sugli investimenti destinati ai prodotti audiovisivi nazionali, anche i curricula e i compensi lordi dei componenti degli organi di amministrazione e controllo e dei dirigenti di ogni livello. Piccoli apprezzabili ritocchi, che possono arricchire il testo approvato dal Senato, ma che – ancora una volta – non affrontano il vero nodo della missione strategica della Rai.

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