l'analisi

Il vulcano digitale e la super-competizione tra piattaforme: ma verso quale “società aperta”  e per quale democrazia?

di Luciano Pilotti, ESP-Department of Environmental Science and Policy, University of Milan |

Per concentrarci possibilmente sul depotenziamento del “capitalismo della sorveglianza” (à la Zuboff) intrusiva e migliorando la sicurezza nel rispetto della privacy e del diritto all’oblio  sulle quali è appena uscito il DSA-DMA Digital Services/Markets Act dell’UE che non potrà che fare bene.

Il pentolone digitale globale in ebollizione spesso si scuote e zampilla con fiumi di lava (quasi) innovativa che ne scaturiscono in continuo (nel bene e nel male) opponendo ora Twitter a Threads in quei social planetari primari che negli ultimi 10 anni hanno innovato molto poco semplicemente acquisendo per incorporazione i nuovi entranti emergenti concentrati su specifici servizi come WhatsApp per Facebook.

E’ successo nelle piattaforme di comunicazione come Twitter acquistato recentemente da Elon Musk (patron di Tesla Motor e SpaceX e uomo più ricco del mondo) con una montagna di denaro: se per farne un business più ricco o strumento “contundente” di potere mediatico e di lotta politica lo vedremo presto traguardandone i baricentri culturali e valoriali (tra opzioni tecno-economiche, scelte ambientali e traiettorie di geopolitica).

Acquisizione che conferma la consapevolezza di Musk della potenza di fuoco di questi strumenti tecnologico-relazionali (non neutrali) nel condizionamento dell’opinione pubblica mondiale per interessi di parte, ma forse non (del tutto) consapevole che l’innovazione tecnologica da sola non può fare avanzare il mondo se non anche accompagnato dalla distribuzione sociale dei suoi frutti per una prosperità che o è condivisa o non è. Ma per fare questo necessitiamo di consumatori-cittadini e lavoratori o manager (ma anche imprenditori) consapevoli in grado di promuovere la loro visione e i loro bisogni primari rispetto a quelli delle Big Tech Corporation e di elite chiuse che le controllano spesso nel loro proprio ed esclusivo interesse “privatistico e di breve termine” in violazione delle migliori best practice di CSR e di investimenti ESG.

Infatti e primariamente, Musk ha fatto “virare” Twitter  – che funzionava bene – cambiandone radicalmente il modello di business e non necessariamente in senso progressivo, ossia delimitandone gli usi e con la volontà di trasferirlo in un business pay-per-use (in abbonamento), più efficiente (forse), potenziando l’uso di AI e con meno forza lavoro lungo le linee di un tecno-ottimismo forzoso nella pancia eterodiretta di una utopia tecnologica che si vorrebbe tuttavia non neutrale.

Da dove sono peraltro derivati migliaia di licenziamenti e producendo una organizzazione di persone tanto insoddisfatte da spingerle a molte resignation (dimissioni volontarie e/o involontarie), anche perché – in secondo luogo – Musk ha scelto di fare un “salto di campo” nella politica e a sostegno dei republicans di Trump e De Santis, forse alla ricerca di conferme che la tecnologia “necessita” della politica per dispiegare i suoi potenziali (o viceversa?). Per esempio, operativamente, delimitando il numero di messaggi e la qualità di questi in termini politico-sociali e culturali, riducendo dunque lo spazio di dialogo e interazione.

Ponendosi decisamente in contrasto con gli obiettivi originari di Twitter che erano di un sostanziale civismo mediatico di stampo democratico. Questo ha – in terzo luogo – allontanato molti inserzionisti e soprattutto molti utilizzatori intermedi e finali ridimensionando il business complessivo con caduta libera delle quotazioni. In quarto luogo, cambiando peraltro – e incomprensibilmente  – il noto uccellino azzurro conosciuto da tutti perché simpatico e divertente con una inquietante X neogotica del tutto pungente e respingente come dice giustamente Krugman.

Aprendo un enorme varco a potenziali entranti che erano in attesa di qualche errore del tycoon sudafricano-americano dell’automotive. Zuckerberg questa volta non si è fatto scappare l’occasione e ha lanciato Threads (discussioni) di facile uso e consumo agganciandolo a Instagram magari anche per “coprire” i molti errori degli ultimi 10 anni che lo hanno costretto alla “transumanza” da Facebook a Instagram e allo stesso cambio del Big Brand in Meta.

Cambiamenti resi necessari innanzitutto dal grande scandalo di Cambridge Analytica e forse anche con l’anticipato investimento nel Metaverso del quale non sappiamo ancora bene cosa farne “oltre” le diffuse promozioni di vetrina. Comunque sembrerebbe un “regalo” strategico di Musk a Zuckerberg che non limiterà certo i tweet visibili né il numero di caratteri unendo i post in conversazioni più dirette e flessibili, da un lato. Mentre, dall’altro, cercherà di mettere un freno “culturale-valoriale” alla piazza disordinata, caotica e politically incorrect di Musk. Infine, ma non ultimo, proverà a riprendersi un pezzo del campo dei democrats che è sembrato abbandonarlo in questi anni di errori globali da eccessiva self-confidence, per esempio rifiutandosi di pagare le tasse in Europa e scontrandosi con gli editori sul tema delicatissimo del “diritto d’autore” (protetto dal Digital Services Act /Digital Markets Act UE – il primo teso a creare uno spazio digitale sicuro per la protezione dei diritti fondamentali di utenti creando condizioni di parità  per le imprese; il secondo teso a disciplinare le piattaforme on-line con un ruolo sistemico e  generatrici di strozzature  tra imprese e consumatori per essenziali servizi digitali).

Nel suo ondivagare globalizzato (a volte confuso) forse Zuckerberg in questo caso prova a recuperare “il tempo perduto” soprattutto come occasione preziosa per riprendere credibilità e fiducia dei tanti che l’hanno lasciato in questi anni investendo seriamente sull’allargamento dello spazio pubblico aperto alle comunità. Evoluzione certo (quasi)fisiologica di una già stanca Instagram, potenziandone la generazione di traffico globale.

Dunque, assistiamo ad una guerra tra colossi nel cuore del capitalismo digitale e della sorveglianza che confidiamo possa fare bene all’utente abbassando i costi della comunicazione e migliorando i servizi offerti nella pluralità di opzioni di scelta senza scadere nella (finta) commedia rusticana di incontri italici di kick-boxing tra i due contendenti che non si faranno mai ma utile (forse) a recuperare una quota di “delusi”.

Per concentrarci possibilmente sul depotenziamento del “capitalismo della sorveglianza” (à la Zuboff) intrusiva e migliorando la sicurezza nel rispetto della privacy e del diritto all’oblio  sulle quali è appena uscito il DSA-DMA Digital Services/Markets Act dell’UE che non potrà che fare bene. Soprattutto ritenendo del tutto fallace la teoria secondo la quale il miglioramento delle condizioni di vita delle elite si trasferirebbe ad un certo punto sulla popolazione generale con i noti effetti di “trickle down” che tuttavia non sembrano trovare prove convincenti in alcuna epoca e in nessuno Stato (più o meno recente anche guardando agli effetti deludenti di reganomics / thatcheromics) come dimostrano D. Acemoglu e S. Johnson del MIT  di Boston con un bel libro recente “Power and Progress…”(2023).

Dunque politiche di regolazione (anche via DSA/DMA) tese a ridurre il potere di monopolio di queste compagnie globali (con poteri extra–territoriali) che saranno tanto più utili (e necessarie) quanto più apriranno la strada a nuovi entranti dei quali abbiamo grande bisogno per iniettare concorrenza in un settore globale troppo concentrato e dove possano zampillare molti e molti cinguettii (tweet) e ancora più numerose discussioni e dialoghi (threads) nel rispetto dei diritti degli utenti/imprese con trasparenza e responsabilità.

Ampliando così la capacità interattiva di educare e includere di queste piattaforme  (che spesso dimenticano di fare essendo ostaggi delle montagne di dollari accumulati con poteri monopolistici in assenza di regolazione adeguata in Occidente come in Oriente).

Una condizione che non fa bene né al loro business nè alla loro visione espansiva visto il basso tasso di innovazione degli ultimi 20 anni (compensato solo da Merger and Acquisition–M&A su start-up e innovatori-inventori) e né alle nostre convenienze di utenti inermi e incollati ai device giorno e notte (in attesa di “notifiche di conferma di consigli per gli acquisti”) per riscoprire fonti di una utile global social innovation al servizio di una società aperta, condivisa e plurale e non semplici “macchine da oliare” o “mucche da mungere” adatte a pubblici immobili e distratti.

L’utopia tecnologica imbevuta di iper-razionalismo tecno-ottimistico (e tecnocratico) di facciata delle piattaforme con il quale soffiano sulle traiettorie di un progresso necessitato – monocorde e canalizzato in una sola direzione – va allora contrastato con politiche pubbliche “forti” (che l’UE stà sviluppando). Ossia capaci di:

(A) alimentare la nascita e l’entrata di nuovi soggetti in questi mercati ormai strategici di comunicazione e interazione dove si forma la pubblica opinione;

(B) promuovere la diffusione-appropriazione di social/open innovation in forme dinamiche  che moltiplichi gli operatori emergenti con strategie pubblico-privato e con il coinvolgimento delle università, centri di ricerca e PMI innovative nella creazione di tecno-eco-sistemi condivisi;

(C) difendere le posizioni/profili  di identità/privacy degli utenti (soprattutto più deboli).

Che si potranno realizzare :

I –  riducendo l’esercizio dei poteri di monopolio e di posizione dominante di pochissimi a favore dei tanti;

II – riducendo diseguaglianze di accesso e uso per regole condivise di una democrazia partecipata e inclusiva di una società che non potrà che essere aperta e orientata ad civismo diffuso.

Insomma, salvaguardando la sopravvivenza della specie umana (di viventi e non viventi) e del suo ambiente (compreso quello artificiale) che va conosciuta e declinata anche negli impatti tra Metaverso e AI entro modelli di sostenibilità e di etica della responsabilità, perché la prosperità non è mai stata il puro risultato di vantaggi automatici derivanti e garantiti dal progresso tecnologico ma frutto dell’equilibrio dinamico del conflitto-collaborazione tra Stato-Mercato, o in altre parole, tra remunerazione attesa del capitale di investimento (per pochi ma da allargare secondo modelli partecipativi diffusi del lavoro), condizioni di lavoro  estrinseche ed intrinseche (dei tanti) e diritti di cittadinanza  e welfare universalistici (per tutti).