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Il telefonino unico: Apple e Google trattano sul nuovo prototipo di smartphone intelligente

Non fanno più nemmeno finta di litigare i due imperatori delle nostre comunicazioni mobili. Apple e Google, o meglio Alphabet, la conglomerata a cui fa capo il motore di ricerca più diffuso del mondo.

In vista di un salto  di specie degli smartphone che conta nei prossimi 30 mesi di vedere almeno  un miliardo di terminali equipaggiati con sistemi di intelligenza artificiale generativa, i due colossi della telefonia mobile, che insieme controllano il 94% dell’intero mercato planetario, stanno trattando  per unire le forze.

Apple pronta a integrare iPhone con Gemini

In sostanza Apple  integrerebbe anche i suoi iPhone, circa il 14% della totalità dei telefonini attivi nel mondo, con Gemini, lo standard di AI che stanno perfezionando as Mountain View.

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A questo punto potremmo aprire le cataratte delle lamentazioni sulle irrimediabili e incontrollabili vocazioni monopoliste del capitalismo in tutte le sue fasi evolutive, dalle banche fiorentine, alle ferrovie americane, alle sette sorelle del petrolio, fino agli allegri balletti societari della Silicon Valley.

E coglieremmo un aspetto difficilmente contestabile: la proprietà tende a ridurre le incognite della concorrenza, paralizzando l’invisibile mano del mercato, come lamentava perfino Adam Smith, il padre  della libera competizione.

Non è un mercato di consumo

Ma qui il problema è di ben altra natura. Non stiamo parlando di un mercato di consumo, in cui l’obiettivo dei proprietari è quello di alzare più che possibile i prezzi, contando su economie di scala vantaggiosa, che massimizzino i profitti.

Solo per limitarci agli ultimi 5 secoli, in cui si sono dispiegate la magnifiche sorti e progressive del capitalismo, in tutte le sue versioni, si è, prima o poi, arrivati ad una stretta, per cui l’offerta era pilotata da un numero ristrettissimo di protagonisti che riuscivano a programmare le relazioni con i consumatori. L’ultimo prodotto che in qualche modo è stato guidato da questa bussola monopolista era il microchip, le cui condizioni di ideazione, prototipazione e produzione comportavano tali livelli di capacità economiche e professionali che la tendenza alla concentrazione diventava inevitabile.

Subentrati dati e potenza di calcolo

Ma parliamo dei chip della prima generazione, quando il loro valore era misurato nella densità di applicazioni di unità di calcolo nel più limitato spazio possibile del wafer di silicio. Poi, siamo al passaggio del nuovo secolo, sono subentrate due funzioni inedite, che mutano la natura dei prodotti tecnologici e la loro funzionalità: i dati e la potenza di calcolo. Con i primi si addestrano i sistemi automatici a riconoscere ogni tipologia di comportamento umano, modellizzandolo  in data base, e grazie a questi, poter rintracciare i punti deboli per conquistarne la collaborazione inconsapevole. Con la seconda, la potenza di calcolo, si arriva alle forme di intelligenza artificiale che integrano le nostre attività, riproducendone passaggi discrezionali sempre più pervasivi.

Cambia la natura contabile del capitalismo, che da finanziario diventa, pisco-semantico. Un vero salto di specie, equivalente all’estinzione dei dinosauri e alla diffusione di una nuova tipologia di essere che allora fu l’homo sapiens. Oggi siamo in una dinamica equivalente. Come scrive  Jioseph Stiglitz, già premio Nobel per l’Economia e consigliere economico del presidente Clinton, “se un’azienda, o un gruppo  di imprese, gode di una posizione forte, se non dominante in un’area dove è possibile raccogliere dati, quest’azienda dispone di informazioni sugli individui superiore a quelle di cui dispongono le altre aziende. E siccome l’intelligenza artificiale con i metadati, consente  alle aziende che la controllano di stabilire qual è il valore che ciascun individuo assegna ai diversi prodotti, e che quindi è disposto a pagare, si crea un potere discriminante senza precedenti“ ( J.Stiglitz, Popolo,Potere e Profitti,Einaudi editore).

L’esplosione dell’Intelligenza Artificiale

Quest’analisi di Stiglitz, limitata alle dinamiche del consumo, viene esasperata dal ruolo che ormai l’eCommerce, che viene intermediato per quasi il 75% dagli smartphone, sta assumendo nel mercato dei generi  più ordinari. Ma  in questi ultimi mesi, l’esplosione delle attitudini dei sistemi di intelligenza artificiale di analizzare e decifrare, telepaticamente, le nostre decisioni, hanno aperto un’altra emergenza, che riguarda proprio la configurazione dell’opinione pubblica, mediante la possibilità di individuare e raggiungere centinaia di migliaia di  individui con flussi di informazioni che ne alterano o determinano la percezione pubblica.

In un anno quale quello attuale in cui, almeno 5 miliardi di persone sono chiamate al voto in tutti i continenti, questa potenzialità non può essere considerata un’eccentrica e occasionale trasgressione, come fu nel 2016 Cambridge Analytica, ma siamo nel pieno di un gorgo in cui il telefonino diventa  un guinzaglio sempre più corto attraverso il quale ci arrivano input che insistono proprio sulla nostra autonoma capacità critica.

Faticosamente l’Unione Europea  è riuscita ad approvare proprio in questi giorni in maniera definitiva, una legge che mirava proprio a tutelare lo spazio pubblico da forme di distorsione e malversazione digitale che potevano alterare il libero gioco democratico. La legge, fino all’ultimo contesa e contestata proprio dagli OTT, potrà diventare esecutiva non prima del 2025. Un tempo che rischia di vanificarne completamente gli effetti di tutela.

Infatti già l’eventuale accordo fra Apple e Google stravolgerebbe lo scenario che i legislatori europei avevano immaginato, mutando  aspetti fondamentali di quella normativa come ad esempio la gestione dei dati, il loro deposito in server locali e la commistione con le procedure di addestramento  dell’intelligenza artificiale.

Quadro allarmante

Proprio questo ultimo aspetto rende il quadro che aveva tracciato Stiglitz qualche tempo fa ancora più allarmante. Infatti, unificare l’intero mercato planetario della telefonia mobile, almeno per l’aspetto dei servizi di intelligenza generativa, significherebbe che Google e Apple, in maniera esclusiva e incontrollata, disporrebbero di un flusso inestimabile di dati, che potrebbero segmentare a loro piacimento, per ricavare indicazioni sensibili sui comportamenti di infinite categorie di umanità. I due monopolisti del mobile potrebbero infatti sapere cosa pensa un quartiere di Bangkok, o l’intera città, o ancora tutta la Thailandia per arrivare, accorpando ed elaborando i dati, come l’Asia si predisponga su un dato prodotto o su  una decisione vitale.

Variabili emotive consegnate a poche persone?

Anche solo tralasciando gli aspetti distopici di una pianificazione delle opzioni politiche, avremmo consegnato le variabili emotive e di interesse della popolazione globale a pochissimi individui che deciderebbero come e a chi concederne una versione, ma mai l’integrale accesso.

Pensiamo infine alle ricadute nelle ricerche biotecnologiche, in cui sia Google che Apple sono impegnate. Anche in questo strategico e delicatissimo settore staremmo determinando le condizioni per  dei ristretti monopoli che potrebbero selezionare, in base ai dati biometrici che ormai gli smartphone possono raccogliere, le tendenze evolutive su cui intervenire. Confermando la previsione del genetista Craig Venter che spiegava qualche anno fa che i sistemi digitali non servono per giocare con i social ma per programmare la vita umana.

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