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Il successo dello SPID? Renderlo obbligatorio e servizi subito online

identità digitale

Il vero successo dello SPID? Renderlo obbligatorio e mettere online servizi interessanti per cittadini e imprese.

Sono queste secondo le imprese le priorità per il decollo del pin unico digitale, chiave di volta di Italia Login, la casa digitale degli italiani su cui la politica non sembra avere le idee troppo chiare.

“Il successo dello SPID? Dipenderà dalla velocità con cui la PA metterà a disposizione servizi che interessano i cittadini e dal fatto di rendere obbligatoria l’adozione dell’identità digitale come avvenne a suo tempo per La PEC da parte delle PMI”. La pensa così Leopoldo Genovesi, Amministratore Delegato di Telecom Italia Trust Technologies, che lo scorso 15 settembre ha fatto domanda per diventare Identity Provider.

 Lo SPID sarà gratuito per due anni per tutti cittadini che ne faranno domanda nel 2016, la scelta del livello di sicurezza (ce ne sono tre) sarà a carico degli enti pubblici (Inail e Agenzia delle Entrate) in base ai servizi erogati. In altre parole, sarà l’INAIL, ad esempio, a decidere il livello di sicurezza da assegnare per l’accesso ai diversi servizi forniti, per esempio la gestione delle colf.

Gli identity provider pubblici disponibili a mettere online i servizi sono Inail, Agenzia delle Entrate, Inps; alcune regioni (Emilia Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Ligura, Marche) e un pugno di Comuni (Firenze, Milano e Lecce).

Telecom Italia, Poste e Infocert hanno fatto domanda di accreditamento come identity provider privati il 15 settembre e sono in attesa di conoscere il responso di AGID, che ha 180 giorni per decidere.

Sulla gratuità o meno dello SPID è nato un dibattito, a volte demagogico, sull’opportunità o meno di fornire l’identità in modo gratuito all’utenza.

Un dibattito che però non sembra tenere conto dei costi da sostenere per gli identity provider privati per l’erogazione del servizio e per le transazioni.

Per questo, sul modello di business per gli identity provider privati si sta ancora lavorando anche perché le transazioni per gli identity provider pubblici sono gratuite mentre quelle dei provider privati sono a pagamento. Ma perché il sistema regga è necessario che i privati, in quanto concessionari per conto dello Stato, possano trovare una fonte di ricavi solida.

“Il vero successo di SPID si giocherà sulla rapida disponibilità di servizi e applicazioni interessanti per i cittadini – dice Genovesi – Se ci saranno applicazioni pubbliche che siano simili a Facebook, Twitter e Amazon ad esempio, il pagamento di 5 o 10 euro all’anno per lo SPID non sarà un problema per i cittadini”.

In altre parole, nel momento in cui sarà possibile l’accesso a servizi online come il pagamento online della mensa scolastica, delle bollette o dei servizi delle Attività Produttive per le aziende lo SPID non avrà problemi a decollare.

Il modello da seguire è un po’ quello dell’home banking, che fornisce un servizio comodo per l’utente, ben contento di sbrigare online operazioni senza la necessità di recarsi allo sportello.

Ed è proprio questo il nodo che la politica e la PA dovranno sciogliere al più presto, mettendo in rete servizi ‘comodi’ e ‘semplici’ in tempi stretti. Altrimenti il rischio è che lo SPID disegni la stessa parabola discendente della CIE (Carta d’Identità Elettronica) o della CNS (Carta Nazionale dei Servizi): 20 o 30 milioni di carte erogate senza però mettere a punto servizi connessi. Lo Stato le distribuiva gratis, però non le usava nessuno.

Se i servizi ci saranno, invece, il cittadino sarà certamente disponibile a spendere 5-10 euro all’anno per lo SPID.

La lezione dell’eCommerce e di Amazon potrebbe servire anche perché negli altri grandi paesi europei – Germania, Francia, Regno Unito e Spagna – non esiste una situazione governata da leggi, regolamenti e norme per quanto riguarda l’identità digitale dei cittadini nel loro rapporto con la pubblica amministrazione. Soltanto paesi più piccoli, come l’Estonia, prevedono l’erogazione di una eIdentity unica per i cittadini, ma si tratta di un parallelo, quello fra Estonia e Italia, che non regge visto che il paese baltico conta complessivamente 1,3 milioni di abitanti a fronte dei circa 60 milioni di casa nostra. Dal punto di vista strutturale, “negli altri grandi paesi europei l’identità digitale non è garantita dalla legge come in Italia che peraltro è anche l’unico paese dove la PEC è normata da leggi”, chiude Genovesi.

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