il commento

Il sistema culturale italiano è in crisi. La fotografia di Federculture

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I consumi culturali (2021) calano a picco, secondo l’Istat: -81 % per il cinema, -85 % il teatro, -72 % ii musei, - 82 % i concerti. Anche l’occupazione culturale crolla. Ed Anica ed Anec propongono una “festa del cinema” piccina picciò ...

Come abbiamo già segnalato su queste colonne, ieri mattina, nella cornice della sala dedicata a Giovanni Spadolini, nella sede centrale del Ministero della Cultura al Collegio Romano, è stata presentata l’edizione n° 18 del “Rapporto Annuale” di Federculture, intitolato “Impresa Cultura. Lavoro e innovazione: le strategie per crescere”. Federculture è una federazione nazionale di aziende, società ed enti che promuovono o producono cultura, turismo e sport. È assolutamente autonoma da Confindustria o Confcommercio, e stipula un contratto nazionale di lavoro del settore, che però non beneficia di diffusa applicazione. È presieduta da Andrea Cancellato (già Direttore Generale de La Triennale di Milano per quasi vent’anni) e diretta da Umberto Croppi (che è anche Presidente della Quadriennale di Roma).

L’edizione 2022 dell’utile volume (pubblicato per i tipi di Gangemi Editore) ancora una volta propone una serie di saggi ed interventi che vorrebbero analizzare lo stato di salute del sistema culturale italiano, ma che – ancora una volta – non consentono purtroppo una vera fotografia/radiografia, a causa di dataset che continuano ad essere deficitari, parziali, frammentari. Segnalavamo che, tra l’altro, Federculture utilizza dati di indagini campionarie Istat, rispetto al crollo della fruizione di cultura in Italia nel 2021, mentre si resta ancora in attesa dell’edizione 2021 dello storico “Annuario dello Spettacolo” della Società Italiana Autori Editori (Siae), unica fonte in Italia che fornisce dati censuari, ovvero sull’intero universo…

Nelle more dei dati certificati dalla Siae, un qualche commento sul Rapporto Federculture è opportuno: si tratta senza dubbio di un testo che non può mancare nelle biblioteche e sulle scrivanie di chi in Italia si interessa di cultura, soprattutto dal punto di vista “strutturale” ovvero organizzativo-economico-politico.

Da anni, anche su queste colonne, lamentiamo che non esista ancora, purtroppo un “testo definitivo” di riferimento, per comprendere il reale stato di salute del sistema culturale italiano: l’Istat non si è mai purtroppo appassionata alla materia ed i tentativi istituzionali sono stati rari e discontinui.

Resta infatti indimenticato il primo “Libro Bianco sulla Creatività italiana”, correva l’anno 2008. Il rapporto, frutto di più di un anno di lavoro di un cospicuo gruppo di esperti coordinati dal professor Walter Santagata, era stato commissionato dall’allora Ministro dei Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli, che aveva per ciò promosso un’apposita commissione (“Creatività e Produzione di Cultura in Italia”), sotto la presidenza dello stesso Santagata. Purtroppo quell’esplorazione avanguardistica non ha avuto seguito.

E purtroppo non consentono una visione di sistema né la storica “Relazione Annuale al Parlamento” sul Fus (il mitico “Fondo Unico per lo Spettacolo”, istituito nel lontano 1985, che, peraltro, dal 2017 “unico” non è più, perché è il settore del cinema – e quindi dell’audiovisivo – è stato affidato alla legge voluta da Dario Franceschini), né altri strumenti più recenti, come la “valutazione di impatto” giustappunto della legge n. 220 del 2016 (la cosiddetta “Franceschini” appunto).

Se la Siae fornisce dati validati per quanto riguarda la fruizione di spettacolo e sport (grazie al lavoro avviato dal 1936 con l’“Annuario dello Spettacolo”, ideato da un padre fondatore della statistica in Italia, qual è stato Pierpaolo Luzzato Fegiz), su tutti gli altri settori si assiste ad una proposizione di dati e numeri (e quindi, ahinoi, analisi) che sono parziali e frammentati (e non validati metodologicamente da soggetti terzi super-partes): dalle statistiche dell’Aie (Associazione Italiana Editori) a quelle della Fimi (Federazione Italiana Industrie Musicali).

Poi, da anni, interviene giustappunto Federculture con il suo contributo annuo, e, più recentemente, la Fondazione Symbola (presieduta da Ermete Realacci), attraverso il suo studio “Io Sono Cultura” (la cui edizione 2022, la n° 12, verrà presentata nelle prossime settimane).

Nelle more di una iniziativa – auspicabilmente istituzionale – che possa consentire di superare questi deficit cognitivi ovvero queste carenze di conoscenza, ogni contributo è certamente apprezzabile, e, in questo senso, al di là delle critiche metodologiche, il Rapporto Federculture 2022 (coordinato redazionalmente da Flavia Camaleonte e da Andrea Cancellato e Daniela Picconi ed Umberto Croppi dal punto di vista tecnico-scientifico) merita attenzione, in particolare per quanto riguarda il capitolo introduttivo, ovvero il dataset statistico, che – saggiamente – dall’edizione 2021 è stato spostato dalla “appendice” alla parte iniziale del tomo. Curato da Giulia Sbianchi e Chiara Di Biasi, propongono dati e tabelle interessanti. E non a caso la ricaduta stampa e media del Rapporto Federculture ha attinto a piene mani a questa “numerologia”.

Federculture: 2019-2021, la fotografia del Triennio Orribile

La rassegna stampa odierna non è granché ricca, ma su tutto prevale un lungo articolo a firma di Paolo Conti, a piena pagina sul quotidiano “Il Corriere della Sera”, che ben sintetizza lo studio di Federculture, titolando “Arte e spettacolo, lunga crisi. I libri e il turismo in ripresa”.

Scrive Conti: “la fotografia del Triennio Orribile della pandemia scattata dal rapporto Federculture nel 2019-2021 immortala un disastro culturale, economico e sociale coli autentici crolli di partecipazione: -81 % per il cinema, -85 % per il teatro, -72 % nei musei, – 82% per i concerti. Anche l’occupazione culturale è diminuita del 6,7 % con la perdita di 55 mila posti di lavoro. Un dato drammatico: è il triplo di quanto è accaduto nell’occupazione totale (-2,4 %)”.

Ed è il tema “occupazione” ad occupare parte prevalente dello studio di Federculture, e non a caso l’unico altro quotidiano che dedica oggi attenzione (almeno su versione cartacea) al rapporto è “il Manifesto”.

La perdita di occupazione è “il segnale della fragilità di un sistema ricco di professionalità ma inevitabilmente privo di tutele, vista la frammentarietà temporale dell’occupazione (cinema, teatro, tempo libero)”. E – continua Conti – “di solito molti rapporti di questo tipo hanno il difetto di essere rassicuranti, ottimisti, di maniera. Il merito del 18° Rapporto annuale 2022 di Federculture è di non indorare pillole”.

Ha ragione, anche se purtroppo si ri-propone ancora una volta il problema metodologico, peraltro evidenziato dallo stesso Direttore di Federculture, Umberto Croppi, nel suo intervento nel “Rapporto”, intitolato “Il lavoro come fattore essenziale per una politica culturale”, allorquando si concentra sui problemi tassonomici, sia per la definizione di “impresa culturale” ovvero “impresa culturale e creativa” – in Italia ancora vincolata ai lacci e lacciuoli dei codici Ateco – sia per la definizione di “lavoro culturale”: manca una “mappa del lavoro culturale” in Italia, ed anche le statistiche che vengono offerte vanno prese sempre con cautela.

Sull’argomento (lavoratori del sistema culturale italiano: atipici, precari, intermittenti, finanche invisibili…), si rimanda all’inchiesta che è stata avviata dal settimanale “Tpi – The Post Internazionale” diretto da Giulio Gambino, che, nell’edizione in edicola oggi, segnala come, dopo il dossier sui lavoratori del settore dei beni culturali, altre persone hanno contattato la redazione per condividere le loro storie: vedi l’articolo, ben intitolato, di Alessandro Mancini, “Benvenuti al museo dello sfruttamento”.

Apprezzabile che Federculture abbia accolto anche, in questa edizione del suo “Rapporto”, alcune analisi promosse da una delle più pugnaci associazioni di lavoratori del settore, qual è “Mi riconosci?! Sono un lavoratore dei beni culturali”.

Ha sostenuto ieri Andrea Cancellato, Presidente di Federculture: “nonostante i numerosi e rilevanti interventi messi in campo dal governo, in particolare dal Ministero della Cultura, che hanno prodotto la salvezza delle istituzioni e delle imprese culturali, non si è riusciti a riportare le nostre comunità a riprendere una vita culturale adeguata. Noi abbiamo proposto la defiscalizzazione del consumo culturale, in analogia con le spese mediche e farmaceutiche, l’abbassamento e l’equiparazione deriva per i prodotti della cultura, ma non abbiamo pregiudiziali, ci interessa il risultato. Siamo a disposizione di chi vorrà discutere con noi per trovare insieme le migliori soluzioni per ampliare la base della fruizione culturale in Italia”.

Il Ministro della Cultura Dario Franceschini ha riproposto ieri la sua visione à la Jovanotti (“penso positivo”…): “la ritrovata centralità della cultura non si perderà, non si tornerà alla stagione dei tagli e della marginalità. Ormai abbiamo la consapevolezza che investire in cultura significa creare posti di lavoro, crescita economica sostenibile e aiutare l’export… La riforma, l’aumento delle risorse e il grande investimento sul Pnrr sono la dimostrazione di questa rinnovata centralità della cultura… Sul futuro sono ottimista”.

“Cinema in Festa”? Ennesima iniziativa in stile “pannicelli caldi”?

Ieri abbiamo dedicato, su queste colonne, molta (e severa) attenzione alla decisione assunta dal Ministro Dario Franceschini, stimolato da non pochi parlamentari, rispetto alla imposizione di una “window” ovvero di una finestra temporale rigida di 90 giorni prima che un film destinato alla prioritaria distribuzione cinematografica possa essere proposto in televisione o sulle piattaforme. Abbiamo titolato l’articolo “una vittoria di Pirro”: speriamo proprio di sbagliarci, ma riteniamo che non sia questa la variabile primaria sulla quale intervenire (vedi “Key4biz” del 14 luglio 2022, “Finestre temporali, gli esercenti cinematografici vincono sui produttori televisivi. Vittoria di Pirro?”).

Il problema essenziale – lo scriviamo una volta ancora – è la ri-costruzione di un “immaginario collettivo” intorno al “cinema” inteso come fruizione nella “sala cinematografica”: serve una campagna promozionale-pubblicitaria potente, ricca, strutturata, di lungo respiro.

Una iniziativa nella quale la Rai dovrebbe assumere un ruolo centrale e fondamentale, nella sua veste di concessionaria del servizio pubblico radio-televisivo e di “prima industria culturale” del Paese.

Nelle more, si assiste a piccoli tentativi, che – essendo giustappunto piccini picciò – corrono il rischio di fare il classico buco nell’acqua.

È stata presentata in occasione delle “Giornate Professionali del Cinema” tenutesi a Riccione nei giorni scorsi un’ennesima iniziativa.

Molto enfatizzata, in totale assenza di cifre sul budget, e già questo la dice lunga…

I produttori dell’Anica (l’associazione presieduta da Francesco Rutelli) e gli esercenti dell’Anec (guidati da Mario Lorini) hanno dunque elaborato un progetto (sia consentito: un progettino…) di rilancio, in collaborazione (= sovvenzione) con il Ministero della Cultura e l’Accademia dei David di Donatello, ovvero una campagna promozionale, che aspira a fare da traino due volte l’anno alla stagione cinematografica, a inizio autunno e prima dell’estate, in modo da garantire continuità all’offerta per dodici mesi.

L’iniziativa si chiama “Cinema in festa”, e abbraccia cinque anni, dal 2022 al 2026. Il respiro pluriennale, questa volta, sembra esserci.

La prima edizione si terrà dal 18 al 22 settembre 2022. Vedremo.

Agire sulla variabile-prezzo: al cinema da domenica a giovedì a 3,50 euro?

Il format, ispirato alla “Fête du Cinéma” francese, prevede una “festa” di 5 giorni, in cui il biglietto costerà 3,50 euro dalla domenica al giovedì, ovvero dal giorno preferito delle famiglie fino a quello dell’uscita in sala delle nuove proposte settimanali.

Ogni anno ci saranno due appuntamenti, uno a settembre e uno a giugno: il pubblico potrà assistere a tutti i film in normale programmazione ma anche ad anteprime, “masterclass” ed altri eventi speciali, alla presenza di attori, registi, sceneggiatori e altri protagonisti del mondo dello spettacolo.

L’iniziativa, che si svolgerà ogni anno la terza settimana di settembre e la seconda di giugno, sarà supportata da una campagna di comunicazione che passerà attraverso la promozione in sala, il coinvolgimento di partner, accordi di co-marketing e con corsi destinati agli spettatori.

Bene, bravi!

Ma… emergono naturali dei “ma” interrogativi.

Chi curerà la campagna?! Non è stato sapere.

Che budget avrà? Non è dato sapere.

Quale sarà la pianificazione media? Non è dato sapere.

“La prima edizione di settembre 2022 rappresenta per tutto il settore una grande opportunità e la prima edizione estiva di Cinema in Festa, già fissata dall’11 al 15 giugno 2023, ha come chiaro obiettivo garantire agli spettatori italiani una stagione cinematografica lunga dodici mesi. Cinema in Festa è il primo grande e concreto progetto nato dalla collaborazione tra distributori ed esercenti, che punta a esaltare il rito collettivo e sociale della visione dei film sul grande schermo”, si legge nella compiaciuta nota congiunta di esercenti e distributori.

Commenta oggi il sempre lucido Andrea Dusio sulla testata specializzata “Odeon / Media Contents / Hitech” (diretta da Angelo Frigerio): “ora si tratterà di capire se in queste settimane promozionali i distributori oseranno giocarsi titoli di una certa consistenza o si limiteranno, com’è avvenuto in passato in occasione di altre iniziative di questo genere, a fare fuori i fondi di magazzino, puntando su coloro che al cinema ci vanno già abitualmente, senza dunque cogliere l’obiettivo di riportare il pubblico in sala”. E continua: “il problema è far sì che la sala si presenti all’appuntamento con un minimo di dignità. Il che vuol dire far tornare i cinema un luogo di servizio, in cui esiste personale, c’è disponibilità di food & beverage, si può pagare a una cassa e non solo a una macchinetta”. Condividiamo il suo commento: “da più parti si segnala infatti in queste settimane il clima sempre più straniante che trovano a vivere i pochi spettatori, senza accoglienza, senza assistenza”.

Al di là del deprimente “habitat” che caratterizza ormai buona parte delle sale cinematografiche italiane (monosale e multisale…), sconfortante spesso, più che deprimente soltanto, permane il problema del “prodotto”: finestre temporali a parte, “se manca il prodotto (cosa di cui non parla mai nessuno, neppure a margine degli screening) e il servizio è ridotto a quello di una cassa automatica, per cosa dovremmo uscire di casa? Per l’aria condizionata? La promozione funzionerà se ci saranno i film. In caso contrario, anche 3.50 euro a qualcuno parranno troppi”.

Il collega Dusio ha perfettamente ragione: nel “marketing mix” del cinema in sala, è importante senza dubbio la qualità della “location” (le caratteristiche tecniche della sala, la “sociologia” che stimola…), è importante il “pricing” (soprattutto per gli italiani che hanno redditi bassi e per i quali anche il prezzo biglietto del cinema può rappresentare una barriera all’entrata…), ma la variabile “prodotto” resta centrale…

Torneremo su queste tematiche, ma ci piacerebbe sapere chi e come imposterà tecnicamente l’iniziativa il “Cinema in Festa”, augurandoci che non si trasformi in un paradossale… “Funerale del Cinema” in sala.