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Il principale killer del cinema “theatrical” in Italia

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Annotazioni agostane sull’Italia (non) digitale. Tutto tornerà ad essere come prima, ma saremo più poveri nella materia e nell’immaginario.

Nel mentre l’agosto italico è arroventato dal dibattito sulla “rete unica” (questione che poteva e doveva essere affrontata da decenni e rispetto alla quale è evidente lo stato confusionale della stessa maggioranza di governo…), dall’assenza di segnali di “esistenza in vita” della Rai (almeno a livello di ruolo del servizio pubblico, “governance”, strategie, questioni non indifferenti come il passaggio allo standard Dvb-T2…), dalle rinnovate iniezioni di sovvenzioni statali del sistema dello spettacolo (anche se emerge l’assenza di una strategia organica e gli effetti si potranno valutare soltanto tra un anno…), gli italiani – quelli che possono – si godono qualche settimana di vacanze, ed alcune osservazioni “antropologiche” possono stimolare riflessioni di medio-lungo periodo sulla fase “post” Covid.

Post-Covid… tutto cambierà o nulla cambierà?

Nel campo di oscillazione ideologico dei teorici del “nulla sarà come prima” e di “tutto tornerà ad essere come prima”, ci schieriamo con la seconda fazione…

Quel processo di “coscientizzazione” individuale e collettiva auspicato da molti (in primis il pontefice della Chiesa cattolica) è stato forse innescato da una psicosi di massa (la paura della morte, il timore della malattia, tasti ancestrali dell’avventura umana), ma ha avuto deboli conseguenze concrete, almeno nel brevissimo periodo: gli squilibri estremi nella distribuzione della ricchezza (quel famigerato 1 % della popolazione mondiale che ha redditi complessivamente maggiori a miliardi di essere umani), le conseguenze ecologiche di modelli di sviluppo basati su una crescita insensata (certamente senza giustizia sociale), le politiche pubbliche della salute psico-fisica della persona (nonostante lo shock emotivo provocato dalla pandemia)… sono soltanto tre delle dimensioni dello sviluppo del capitalismo che non sono stati scalfiti dalla “grande emergenza” del Covid-19…

Nel breve periodo, certamente, assisteremo ad una estensione della quota della popolazione che scenderà sotto la cosiddetta “soglia di povertà”, ma verosimilmente nell’arco di tre anni “il sistema” riprenderà vigore, gli assetti economico-politici sostanziali resteranno gli stessi… il mondo continuerà ad essere quel che era prima del Covid: squilibrato ed ingiusto, dominato dalle logiche del capitale, in versione sempre più digitale ovvero pilotato dalla pervasiva “industria dei sensi” (concetto elaborato da Sergio Bellucci nel suo ultimo saggio omonimo, pubblicato per i tipi di Harpo).

In questa prospettiva, non può che suscitare un sorriso il tentativo di Donald Trump di censurare Tik Tok o la retorica di un Mario Monti che evoca uno sviluppo responsabile dell’economia mondiale…

Dalle teorie alte alle pratiche basse

Passando dalla “alta” teoria alle “basse” pratiche della quotidianità, un marziano che fosse atterrato sulle lande italiche nell’estate del 2020 non noterebbe grandi differenze rispetto al 2019: le spiagge sono affollate, così come i ristoranti, e l’unica caratteristica rilevabile tra un anno e l’altro è questi umani che usano (non tutti peraltro) mascherine protettive e sono un po’ fisicamente distanziati tra loro (non tutti peraltro)… Il marziano non scorgerebbe forse l’unica grande differenza, nell’economia turistica italiana, ovvero l’assenza pressoché totale di vacanzieri stranieri, ovvero la perdurante chiusura di molti alberghi a cinque stelle (quelli frequentati per lo più dai ricchi stranieri)…

La crisi del turismo c’è, ma non si vede molto

Statistiche non validate stimano una perdita di fatturato del settore turistico nell’ordine di un terzo rispetto all’anno scorso, ma possiamo testimoniare personalmente che in zone turistiche “appealing” come Sperlonga e Sabaudia sul litorale laziale-campano o come quel paradiso della natura qual è la Val d’Orcia (da Bagno Vignoni a Pienza, da Montepulciano a Montalcino) si registra il tutto esaurito… 

La crisi c’è, ma è gestibile, ed avrà conseguenze di breve periodo, nessuno sconvolgimento di paradigmi economico-sociali: il 2021 riporterà tutto, verosimilmente, ai livelli del 2019. 

Nel bene e nel male. 

Aumenterà un po’ la quantità di popolazione povera, ma questo impoverimento non determinerà rivolte sociali, anche perché la mano dello Stato continuerà ad intervenire assistenzialmente, e non v’è alternativa rispetto a rinnovate forme di interventi keynesiani.

Tutto tornerà ad essere come prima.

La Rai non ha colto l’occasione ed il Mibact nemmeno

Due questioni sono sintomatiche di come non si sia riusciti ad approfittare della “grande crisi” del Covid per avviare un ragionamento sui “modelli di sviluppo”: la Rai avrebbe avuto chance di divenire il laboratorio sociale e culturale di una riflessione critica sul ruolo del servizio pubblico nella società digitale, ed invece non è riuscita a caratterizzarsi minimamente per un profilo identitario netto rispetto alla “pandemia informativa” provocata dal Covid; il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (Mibact) avrebbe potuto approfittare del “crash” determinato dal Covid (a partire dalla chiusura totale dei cinematografi e dei teatri) per sviluppare una riflessione (auto)critica sul “policy making” italiano a favore della cultura e delle arti, ed invece si è limitato ad allargare meccanicamente i cordoni della borsa…

L’insieme delle misure adottate dal Governo in materia di beni ed attività culturali non sembra caratterizzarsi per innovazione ed organicità, ovvero emerge una estrema parcellizzazione delle azioni (che evoca quasi l’immagine degli interventi “a pioggia”) ed un evidente deficit di respiro strategico 

Nulla è sostanzialmente cambiato.

La crisi totale del cinema “theatrical”

Nello specifico del settore cinematografico, sono stati previsti significativi incrementi di sovvenzioni, ma senza prevedere processi realmente innovativi nella assegnazione delle risorse pubbliche. 

I risultati si vedono (e, ahinoi, si vedranno): vengono finanziate opere “cinematografiche” che finiscono per non vedere la luce (e il buio) delle sale cinematografiche e non vengono trasmessi nemmeno da emittenti televisive minori; si sovvenzionano festival cinematografici frequentati da una compagnia di giro autoreferenziale sganciata dal mercato (e dal marketing); si assegnano modesti e tardivi contributi per le sale cinematografiche che pure hanno quasi tutte chiuso le saracinesche…

Deficit di strategia, programmazione, valutazione

L’“agosto cinematografico” romano è sintomatico di questa (non) politica culturale italiana, ovvero dei suoi deficit di strategia, programmazione, valutazione: se l’estate del 2019 era stata caratterizzata dall’entusiasmo (eccessivo) per una ripresa dei consumi “theatrical” tra luglio ed agosto (grazie alla controversa campagna ministeriale “Moviement”, iniziativa che ha aiutato certamente la distribuzione dei film “made in Usa” e paradossalmente non la cinematografia italiana; sull’argomento, vedi “Key4biz” del 3 maggio 2019, “Moviement, il progetto speciale del Mibact ha un budget di 5,5 milioni di euro”), l’estate del 2020 è all’insegna del disastro più assoluto. 

A Roma, ad inizio agosto erano aperti soltanto due o tre cinematografi (lo storico Farnese nella omonima piazza, e due multiplex, il Madison all’Ostiense e l’Uci Cinema di Porta di Roma), con una programmazione di titoli quasi tutti della precedente stagione. 

E, in parallelo, invece una grande esaltazione mediatica retorica (e politica) per alcune “arene” gratuite, a partire dal caso surreale de I Ragazzi del Cinema America, incarnazione delle assurde contraddizioni della (non) politica cinematografica dello Stato italiano (vedi “Key4biz” del 10 giugno 2020, “L’emblematico caso del Cinema America”): si sovvenziona in modo generoso la proiezione gratuita di vecchi film in piazza, senza invece investire risorse consistenti per consentire agli esercenti cinematografici di proporre un’offerta di nuovi titoli stimolanti…

Il principale killer del cinema “theatrical” in Italia

Di fronte ad una crisi così radicale (le sale sono state chiuse per mesi e mesi), lo Stato avrebbe dovuto assumere decisioni coraggiose e tempestive, provocando effetti immediati, iniettando nel sistema risorse adeguate (un centinaio di milioni di euro almeno), promuovendo una campagna promozionale robusta e innovativa, per fare tornare la gente al cinema, subito, nell’estate-autunno del 2020, e non nell’inverno 2020-primavera 2021…

In assenza di un intervento così forte, a poco serviranno i pannicelli caldi messi in campo dal Governo, e si teme il peggio per la ripresa dei consumi cinematografici e teatrali nell’autunno prossimo… Non sarà difficile identificare il principale killer del cinema “theatrical” in Italia.

Eppure la “fruizione in sala” – tra cinema e teatro e musica e danza – è, al di là della dimensione della socialità, una delle forme culturali più essenziali e preziose, nell’economia di un immaginario sempre più dominato dalla pervasività del digitale.

Tutto tornerà ad essere come prima.

Ahinoi, con più poveri, nella materialità delle cose e nella immaterialità dell’immaginario.

Clicca qui, per leggere il dossier del Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Le misure adottate a seguito dell’emergenza Coronavirus (Covid-19) per il settore dei beni e delle attività culturali”, 19 agosto 2020