LA RECENSIONE

Il pazzo dello Zar – Jaan Kross

a cura di Carlo Macchitella |

Dopo 9 anni di prigionia nella fortezza di Schlüssenburg il barone Timo von Bock, rappresentante della grande nobiltà estone, torna nei suoi possedimenti, insieme alla moglie e al figlio ed ovviamente circondato e sorvegliato dai servizi segreti dello Zar, per respirare di nuovo l’aria serena della libertà. Ma che cosa ha fatto di così grave e tremendo questo importante esponente della nobiltà estone per essere condannato a vivere 9 anni in un’orrenda prigione?

La  sola colpa di Timo von Bock è quella di essere un liberale, un uomo non in sintonia con le ideologie dominanti nei suoi anni e nei tempi in cui vive , un uomo che ha deciso di non sposare la principessa che gli era destinata,  ma una contadina, figlia del suo fattore.Un latifondista il cui obiettivo politico è quello di liberare servi e domestici e renderli membri con pari diritti della comunità in cui lui e loro vivono. Per Timo la libertà è un principio inalienabile ed indiscutibile e proprio per questo, dato il rapporto strettissimo e profondo che lo lega allo Zar, ha pensato bene di scrivergli una lettera aperta in cui evidenzia gli orrori e le bassezze del regime di cui lo Zar è il massimo esponente.

“Il Pazzo dello Zar” è un romanzo storico scritto da Jan Kross tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso che partendo da una storia vera è riuscito a romanzare i drammi di quegli anni e di quei tempi per raccontare il conflitto eterno tra la libertà e la tirannia, tra l’oppressione e la voglia di un mondo migliore.  E se, nell’Ottocento, la vittima della tirannia e dell’oppressione è un ricco barone come Bock che lo Zar e il potere zarista decidono di reprimere, se non di sopprimere, negli anni ’60 sarà un intellettuale come Jan Kross, il nostro scrittore, ad essere per ben sei anni imprigionato dall’Unione Sovietica perché voleva, anche in quegli anni così lontani da quegli zaristi e così vicini ai nostri, riaffermare il principio della libertà del popolo estone nei confronti dell’oppressione comunista.

Ecco quindi che questo romanzo storico vuole essere la storia sempre eguale del rapporto tra l’intellettuale e il potere, tra il desiderio di un mondo migliore e la Realpolitik, che è la grande scommessa dell’uomo e del suo ” fatti non fummo a vivere dome bruti, ma per seguire virtute e conoscenza”. Quel romanzo storico che ha avuto  in “Guerra e Pace”” la sua massima espressione e che trova nel “Il Pazzo dello Zar” un’altra grande metafora della storia e “dell’eterno ritorno” – come avrebbe detto Nietzsche – di quello che accade all’uomo .