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‘Il nemico inconfessabile’, perché leggere il libro di Paolo Persichetti e Oreste Scalzone

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“Il nemico inconfessabile” è il titolo di un piccolo volume pubblicato nel 1999, la cui lettura ci costringe a guardare il lungo periodo di sovversione sociale, che ha contrassegnato il nostro Paese dagli anni ‘60 agli inizi degli anni ’80.

La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Articolo a cura di Carla Capobianchi

“Il nemico inconfessabile” è il titolo di un piccolo volume pubblicato nel 1999, la cui lettura non può lasciare indifferenti perché, attraverso una narrazione densa e serrata, ci costringe a guardare il lungo periodo di sovversione sociale, che ha contrassegnato il nostro Paese dagli anni ‘60 agli inizi degli anni ’80, con gli occhi di due protagonisti della lotta armata di quegli anni, Paolo Persichetti e Oreste Scalzone.

L’approccio ai fatti, assolutamente controcorrente, spalanca le porte di un capitolo ritenuto dai più definitivamente chiuso, stimolando lo spirito critico ed un’attenta riflessione da parte del lettore.

Considerato che la Francia, in applicazione della dottrina Mitterand, ha offerto asilo politico a molti protagonisti degli anni di piombo il volume, come ci viene spiegato nella nota editoriale, è principalmente rivolto al popolo francese, nell’intento di spiegare le ragioni, non compiutamente comprese, del carattere di lotta armata assunto dal movimento sovversivo italiano di quegli anni. Si rivolge tuttavia anche al popolo italiano, al fine di indurlo a riflettere sull’avvenuta negazione da parte dello Stato del carattere, puramente politico, di lotta di classe, o ancor più di guerra civile, che caratterizzò, secondo gli autori, la sovversione sociale propria di quel periodo.

Gli autori, in realtà, sono dei vinti, i protagonisti di una rivoluzione sconfitta, ma, nonostante ciò, espongono le proprie tesi con dovizia di argomentazioni e senza ripensamenti, nella convinzione che uno scontro così violento fosse inevitabile in una situazione di contrasto insanabile fra le politiche “accomodanti” imposte dal sistema e la dinamicità del contesto sociale.

Infatti, secondo gli autori, si sarebbe trattato di una vera e propria rivoluzione, in cui furono coinvolti strati sociali massicci della popolazione italiana, giovani, operai, disoccupati, donne, e quindi di un movimento di massa dalle enormi potenzialità, capace di destabilizzare, con il proprio impeto, l’ordine costituito.

Gli autori si soffermano quindi sulla reazione che tale movimento suscitò nella società politica per la quale, negli anni del “compromesso storico” e dei governi “di unità nazionale”, la guerra sociale in corso rappresentò un “nemico inconfessabile”, da cancellare e rimuovere. Fu così che fu instaurato uno “stato di emergenza permanente”, dissimulato “sotto l’apparente aspetto della normalità giuridica”, disconoscendo la connotazione politica della rivolta.

In conclusione, Scalzone e Persichetti auspicano l’avvento di una soluzione politica per i “ribelli” degli anni di piombo, in un’ottica rivolta anche al futuro dei movimenti sociali che verranno. 

Una serie di “Appendici” completano l’opera, approfondendo alcuni aspetti ed offrendo così ulteriori spunti di riflessione al lettore. Fra le altre quella che affronta la questione, di scottante attualità, dei fuoriusciti italiani che hanno trovato rifugio in territorio francese, recante il testo di una lettera aperta, indirizzata al Presidente della Repubblica Chirac ed al Primo Ministro Jospin e pubblicata su Le Monde nel 1998, dalla quale si evince con chiarezza il punto di vista degli espatriati italiani sulla situazione da essi vissuta e sulle possibili decisioni da assumere nei loro confronti.

Articolo a cura di Carla Capobianchi