Tre anni di tempo per capire se il Mediterraneo può davvero diventare una fonte di energia. È questa la sfida del progetto Vague – acronimo di Valorisation de l’énergie produite par la mer – presentato a Genova, che punta a dare impulso a una nuova filiera industriale nel settore delle rinnovabili e, al contempo, testare l’efficacia delle tecnologie legate al moto ondoso nelle condizioni specifiche del Mar Tirreno. Sebbene il comparto sia ancora in fase sperimentale, potrebbe rappresentare una svolta significativa per il nostro Paese, introducendo un cambio di paradigma nel campo degli approvvigionamenti energetici.
Un mare chiuso, una sfida aperta
Il Mediterraneo, infatti, è un mare chiuso, molto diverso dagli oceani dove finora si sono sviluppati i principali impianti di wave energy, basati sul movimento delle onde per generare elettricità. Qui, sia il vento che i flussi sottomarini sono meno intensi, con un impatto diretto sulle performance degli impianti esistenti. Con un budget complessivo di 1.850.000 euro, di cui 1.480.000 euro provenienti dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), la Regione Liguria, capofila del progetto, insieme a università, autorità portuali e partner scientifici e istituzionali italiani e francesi (nell’ambito del programma Interreg Italia-Francia Marittimo 2021-2027), intende adattare le tecnologie disponibili al nostro contesto marino. L’obiettivo è individuare soluzioni efficienti e sostenibili, in grado di trasformare il mare in una risorsa energetica concreta.
Regione Liguria e Università di Genova protagoniste
“Non è un’impresa scontata: esistono già esperienze avanzate in Grecia e Sardegna, che andremo ad analizzare da vicino“, ha sottolineato Paolo Ripamonti, assessore regionale all’Energia. A fornire il supporto scientifico c’è anche l’Università di Genova, con un approccio che unisce modellazione numerica e fisica. “Contribuiamo con simulazioni per ricostruire il moto ondoso nell’Alto Tirreno e individuare le aree più promettenti – spiega Francesco De Leo, ricercatore dell’ateneo –. In parallelo, conduciamo test fisici nel nostro canale ondametrico e prove in mare aperto“.
Uno dei siti al centro della sperimentazione sarà il porto di Savona, considerato un possibile banco di prova per applicazioni reali in ambiente mediterraneo. Il progetto avrà una durata complessiva di 36 mesi, con conclusione prevista per il 28 febbraio 2028.
L’Italia e il moto ondoso: i progetti già attivi lungo le nostre coste
Negli ultimi anni, anche l’Italia ha avviato diversi progetti sperimentali per sfruttare l’energia del mare, puntando su tecnologie innovative e compatibili con le caratteristiche del Mediterraneo. Tra gli esempi più promettenti c’è il sistema REWEC3, sviluppato dall’Università Mediterranea di Reggio Calabria: un convertitore integrato nelle dighe portuali, capace di trasformare il moto ondoso in elettricità grazie a camere risonanti e turbine ad aria. Un impianto pilota è operativo nel porto di Civitavecchia. Un’altra iniziativa di rilievo è ISWEC (Inertial Sea Wave Energy Converter), realizzato dal Politecnico di Torino e adottato da Eni: installato al largo di Pantelleria, questo dispositivo sfrutta un giroscopio all’interno di una struttura galleggiante, ideale per l’approvvigionamento energetico di isole non connesse alla rete. Interessante anche il progetto GEM (Generatore Elettromeccanico Marina), sviluppato da RSE in collaborazione con il Politecnico di Torino, che utilizza una turbina sospesa tra due boe per captare il moto bidirezionale delle onde. Infine, sono stati analizzati anche dispositivi internazionali come Pelamis, che tuttavia risultano spesso poco adatti al nostro mare, sia per le dimensioni che per la resa energetica. Nonostante le complessità tecniche e ambientali, questi progetti dimostrano che l’Italia sta investendo con convinzione nello sviluppo di soluzioni su misura per valorizzare il potenziale energetico del mare Mediterraneo.