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Il giornalismo italiano scopre il podcast

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Da ‘Repubblica’ alla ‘Stampa’ fino al ‘Post’, il giornalismo italiano ha iniziato a dare voce agli articoli attraverso il podcast per catturare il lettore connesso e per fare business. Al posto della musica si ascolta il giornale, nelle cuffie si sentono le storie raccontate dai giornalisti. Quest'anno negli Usa la pubblicità in questo settore sarà di 300 milioni $. Le app più usate per fare un podcast.

La radio ha resistito anche alla rivoluzione digitale perché ontologicamente non richiede un’attenzione esclusiva del fruitore. Mentre la si ascolta si possono svolgere diverse attività. Chi invece legge un giornale o guarda un telegiornale non può fare altro, per questo nella società dell’attenzione questi due mezzi d’informazione fanno molta fatica: in metropolitana, in treno, sui mezzi pubblici e in aereo la maggior parte delle persone  preferisce stare con gli occhi sugli smartphone a navigare sui social e/o a chattare con le app di messaggistica e allo stesso tempo avere le cuffie nelle orecchie ad ascoltare la musica, soprattutto con Spotify.

Da diversi mesi anche alcune testate giornalistiche italiane hanno capito in che modo è possibile arrivare a questo potenziale lettore in movimento e sempre connesso: attraverso il Podcast, il figlio digitale della radio.

Come si ascoltano la Repubblica, La Stampa e Il Post

Da Repubblica alla Stampa fino al Post, il giornalismo italiano ha iniziato a dare voce agli articoli attraverso il podcast per catturare il lettore mentre compie altre azioni. Al posto della musica si ascolta il giornale, nelle cuffie si sentono le storie raccontate dai giornalisti. Il quotidiano direttore da Mario Calabresi ha inaugurato gli audio-articoli a novembre scorso: “… è un giornale studiato per essere letto al meglio sugli smartphone… con un servizio di podcast (ovvero un audio con la lettura dei pezzi principali, da fruire mentre si guida, si cammina o si fa sport)”, ha scritto il direttore nell’editoriale con cui ha presentato la nuova grafica del giornale. Per per ascoltarli tutti occorre essere un abbonato a Rep:

PodLAST è il nome scelto da La Stampa per il suo podcast lanciato il primo febbraio: “A prima vista può sembrare un paradosso: i nostri occhi passano un tempo crescente davanti a schermi e dispositivi che offrono immagini nitide e animazioni seducenti. Eppure o proprio in risposta a questo sovraccarico visivo, la voce torna protagonista”, si legge nell’articolo con cui il giornale presenta il servizio ai lettori.  È possibile ascoltarli ovunque, a casa o in macchina, mentre si cammina o si aspetta il proprio turno in qualche ufficio. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, è possibile scegliere tra due approfondimenti curati dai giornalisti della Stampa, ciascuno di venti minuti, che vanno dalla letteratura all’attualità, dalla politica alla religione, dalle notizie alle storie. I primi trenta giorni sono gratis, poi l’iscrizione si rinnova automaticamente a 9,99 euro al mese.

Come la Repubblica anche La Stampa ha scelto il podcast come nuovo modello di business facendo bene, perché è un trend globale. Lo stesso giornale di Torino fa presente che gli investimenti pubblicitari dedicati ai podcast negli Stati Uniti, quest’anno, varranno 300 milioni di dollari. La buona notizia, dopo qualche anno di sospetti, è che gli utenti ascoltano davvero i contenuti, in media fino al 90% di ogni episodio.

Perché, come detto, il podcast, figlio della radio, non è invadente, ma ti tiene compagnia in viaggio, spesso rompendo quell’assordante silenzio che caratterizza i lunghi tragitti in treno e in aereo o le brevi tratte in metro e sugli autobus. E poi è un’ottima modalità per capire e approfondire le notizie: oggigiorno c’è un overload informativo, il valore aggiunto di una redazione giornalistica è spiegare le notizie ai propri lettori e farlo attraverso la voce dei giornalisti è sicuramente un modo efficace.

Chi degli spiegoni giornalistici ne ha fatto un caso di successo è il Post (dall’articolo ‘L’Isis spiegato bene’ in poi ha fatto scuola in Italia questo modo di raccontare bene e fino in fondo una notizia e una storia). E neanche la redazione guidata da Luca Sofri si è fatta sfuggire il treno del Podcast, partito il 16 febbraio 2018 con il servizio Postcast, presentato così, con ironia: “Uscirà ogni settimana, di venerdì, almeno per un po’: è un esperimento, vedremo come va, vedremo cosa ne penserete. Ah, il famoso nome. Si chiama Postcast. Pronunciato bene”.

 

La app più usate per fare il Podcast