Tensioni su dazi gren e minerali critici confermano i dubbi sull’efficacia della politica climatica internazionale. La COP30 si è, infatti, conclusa senza progressi significativi, nè accordi ulteriori su una roadmap per l'addio definitivo ai combustibili fossili. L’unico risultato tangibile del vertice di Belém resta l’impegno a rafforzare i finanziamenti per l’adattamento climatico nei Paesi più vulnerabili.
La trentesima Conferenza delle parti delle Nazioni Unite è giunta al termine senza un accordo unanime sui combustibili fossili. L’edizione di Bélem del summit internazionale, che ormai da trent’anni si erge a simbolo dell’impegno della lotta al cambiamento climatico, si è risolta in un nulla di fatto in materia di transizione energetica, restituendo una fotografia che potremmo definire in linea con la nuova realtà geopolitica delineatasi negli ultimi mesi. Si ingigantiscono, così, gli interrogativi sull’efficacia della politica climatica internazionale, e l’assenza di interlocutori centrali come USA e Cina, conferma i dubbi.
Il divario sui combustibili fossili è ancora troppo ampio
La mancata definizione di una roadmap per l’abbandono definitivo dei combustibili fossili è la prova eclatante di un bluff di portata globale. Al suo posto si parla invece di un “Global implementation accelerator” volontario, in pratica un forum senza vincoli. Una “non soluzione” che appare molto lontana da quel miracolo diplomatico di cui si era parlato alla vigilia di COP30, promosso dal Presidente Lula come l’apice del multilateralismo climatico.
Alla fine, quasi 200 Paesi hanno concordato un documento di otto pagine che, sebbene rinnovi e intensifichi gli sforzi volti al raggiungimento degli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni, rivela fratture profonde.
Il Ministro Gilberto Pichetto ha commentato l’esito del negoziato:
“Dopo lunghi giorni di trattative abbiamo raggiunto un punto di equilibrio, di compromesso tra i 195 Paesi”. “E’ una mediazione tra tante posizioni – ha spiegato il Ministro – ma è importante che si sia raggiunto questo obiettivo, che mantiene il percorso definito alla COP28 di Dubai per quanto riguarda il target climatico, mantiene quello di COP29 a Baku per l’impegno all’adattamento nei vari territori”. Fratin ha quindi osservato che “in un momento geopolitico quale quello attuale, l’intesa trovata era l’unica soluzione fattibile” e che questa “deve essere vista positivamente, con soddisfazione“.
Investimenti a fondo perduto
L’unica vittoria della “Global Mutirão”, il testo conclusivo del vertice, è il maggior sostegno finanziario ai Paesi poveri che necessitano di aiuto per difendersi dal cambiamento climatico ed eventi meteorologici sempre più estremi. Mentre a Baku l’Occidente aveva promesso 300 miliardi, COP30 ha promesso di triplicare la cifra.
Un parametro di successo piuttosto debole, visto e considerato che si tratta di risorse “salvagente” e che sono stati omessi i punti chiave sulla progressiva eliminazione dei combustibili fossili, tassello fondamentale della Conferenza e del percorso iniziato con l’Accordo di Parigi.
Per alcuni esperti, il risultato ottenuto serve al massimo a evitare un arretramento rispetto agli accordi precedenti.
La proposta di roadmap poi bocciata
Una proposta di tabella di marcia per la transizione da petrolio, gas e carbone a fonti energetiche più pulite e sostenibili, prima dei negoziati finali di sabato, era stata sostenuta da circa 80 Paesi, tra cui Colombia, Regno Unito, Germania e Kenya. Tuttavia il documento conclusivo non ne fa menzione.
Della contrattazione multilaterale, quindi, resta soltanto la dichiarazione del presidente della COP30 André Corrêa do Lago, cheha promesso di creare una tabella di marcia incentrata su una transizione giusta dai combustibili fossili, da sviluppare nel corso del prossimo anno.
L’adattamento sale in cima all’agenda
Imparare a convivere con gli effetti del surriscaldamento globale piuttosto che limitare l’innalzamento della temperatura provando a ridurre le emissioni. É questo il messaggio passato da COP30, che ha riservato all’adattamento un ruolo centrale in agenda. Da qui l’appello per triplicare i finanziamenti entro il 2035, una scadenza in ogni caso cinque anni più lunga rispetto a quanto richiesto dai Paesi in via di sviluppo.
La disputa sui dazi green
Il commercio, punto caldo della politica globale in questo momento storico, ha creato tensioni anche a Belém. La Cina e altri Paesi hanno, infatti, espresso insoddisfazione per la tassa sul carbonio dell’Unione Europea. La misura è pensata per prevenire la “fuga di carbonio” quando le industrie altamente emissive si rilocalizzano all’estero, ma i critici sostengono che penalizzi le esportazioni degli altri Paesi verso il blocco.
Frustrazioni che hanno influenzato anche l’accordo finale, in cui si criticano le misure commerciali unilaterali. Nel documento si afferma che le soluzioni adottate per combattere il cambiamento climatico “non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o ingiustificabile, né una restrizione dissimulata al commercio internazionale”.
Attenzione ai minerali critici
Per la prima volta in una COP, i delegati hanno incluso in una bozza di testo negoziale una sezione sui minerali critici come litio e cobalto, evidenziando i rischi legati alla loro estrazione e lavorazione. Sebbene non sia stata presa alcuna decisione, la proposta ha messo in luce le crescenti preoccupazioni legate alle dipendenze che la transizione energetica potrebbe generare.
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