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Il diritto penale dell’informatica: il nuovo libro di Paolo Galdieri

di Eugenio Albamonte, Sostituto Procuratore della Repubblica, Tribunale di Roma |

Il volume, partendo da una ricostruzione del processo di affermazione di questo settore del Diritto Penale, analizza le singole fattispecie, i contesti che li generano e le questioni di natura tecnica poste dall’accertamento del reato ed alla relativa ricaduta nell’ambito del diritto processuale. Di seguito la postfazione al volume scritta da Eugenio Albamonte.

Questo libro di Paolo Galdieri ha, tra i molti, il pregio di offrire al giurista le chiavi di lettura per interpretare un segmento sempre più consistente e rilevante della vita quotidiana che, anziché nel mondo tridimensionale, che siamo tutti abituati a qualificare ed interpretare in chiave giuridica, si sviluppa ed agisce nel mondo virtuale delle reti informatiche.

Infatti è sempre maggiore l’utilizzo della rete effettuato per finalità ricreative e lavorative; sulla rete si muove la maggior parte delle comunicazioni, sulla rete si immagazzinano e si conservano dati, tra- mite la rete si svolgono azioni produttive di effetti giuridici e condotte produttive di danni a diritti ed interessi, anche di rilievo costituzionale, tutelati in sede civile, amministrativa e penale.

Si tratta di una realtà in continua evoluzione, scandita dai progressi dell’innovazione digitale, che certo non è sottratta alle regole del diritto. E che tuttavia, per essere ricondotta ad esse, richiede uno sforzo di comprensione delle nuove dinamiche attraverso le quali i soggetti operano ed interagiscono in rete e, al contempo, impone un impegno nell’interpretazione delle norme di diritto, alcune delle quali sono preesistenti all’avvento delle reti telematiche, e tuttavia, se sapientemente utilizzate, appaiono in grado di disciplinare anche questa realtà.

Infatti, come chiaramente traspare dalla lettura del testo, il mondo governato dalle nuove tecnologie è solo in parte disciplinato da re- gole giuridiche concepite in relazione ad esso, mentre ancora in modo rilevante appare sussumibile a regole giuridiche preesistenti, che richiedono però una attività di interpretazione. Tale attività risulta, in concreto, particolarmente delicata non solo perché presuppone una conoscenza delle reali modalità di funzionamento della rete e dei programmi informatici ma anche perché impone un nuovo bilancia- mento tra i precetti normativi e il principio di libertà. Ciò richiede, ad un giurista attento, di porre attenzione, più ancora che al profilo tecnologico, alle modalità concrete attraverso le quali gli individui esprimono i propri diritti di libertà all’interno della rete.

Perché́ è indubbio che la rete, moltiplicatore di potenzialità in tutti i campi, consente l’ampliamento anche della sfera dei diritti con- cessi a tutti i cittadini (o almeno a quelli residenti nei Paesi di demo- crazia moderna) ma tale ampliamento non può essere illimitato e privo di contenimento, non può, cioè tradursi in prevaricazione ed offesa ai diritti ed alle libertà altrui.

Diventa allora arduo per il giurista, ma soprattutto per l’operatore del diritto penale, sfuggire alla logica del rigido condizionamento della rete attraverso la riproposizione degli schemi interpretativi tradizionali, ed accedere ad una prospettiva diversa, nella quale il diritto penale non venga inteso come strumento regolatore ma semplicemente come presidio di tutela rispetto a quei comportamenti che siano effettiva- mente lesivi di diritti soggettivi tutelati da norme incriminatrici.

Una prospettiva nella quale, cioè, la tutela penale sia effettiva- mente l’extrema ratio e divenga operativa solo in presenza di un diritto e di una libertà effettivamente offesi e conculcati e non sia invece strumento conformativo dei diritti e delle libertà che la nuova dimensione tecnologica consente di esprimere con modalità certamente più ampie che in passato.

Uno dei banchi di prova per questo delicato esercizio interpretativo è costituito dalla comunicazione via Internet. Non vi è dubbio che la rete, attraverso le piattaforme social e non solo, abbia moltiplicato gli spazi di comunicazione e di informazione ai quali ogni cittadino ha oggi accesso.

Sul primo versante, l’interconnessione globale consente a ciascuno di manifestare il proprio pensiero e di renderlo conoscibile al di fuori della ristretta cerchia delle frequentazioni personali; sul secondo poi si è verificata una vera e propria rivoluzione, atteso che ad un sistema di informazione verticale, che va dai media tradizionali al sin- golo fruitore, si è sostituito un sistema orizzontale nel quale ciascuno può essere fonte di informazioni fruibili da una platea ben più ampia dei soggetti attinti dai mass media.

Questa situazione certamente determina un sostanziale amplia- mento dell’esercizio delle libertà di comunicazione e di informazione, tutelate dalla nostra Costituzione, ma si presta anche a consistenti abusi che trovano le loro manifestazioni più eclatanti nei messaggi d’odio e nelle fake news.

Proprio i messaggi d’odio e le fake news costituiscono una delle dinamiche più allarmanti della rete.

I due fenomeni spesso sono collegati tra loro e, non di rado, vengono utilizzati intenzionalmente, per orientare segmenti di opinione pubblica, giungendo a condizionare i convincimenti e le scelte individuali destinate a riverberarsi sul piano politico, sociale, personale e, in questa fase di pandemia globale, anche sul piano delle scelte sanitarie dei singoli, delle istituzioni ed a volte dei governi.

La portata del fenomeno viene ulteriormente aggravata dal fatto che l’avvento delle nuove tecnologie, per un singolare paradosso, anziché abituare gli utenti ad una verifica attenta delle informazioni ricevute, attraverso la consultazione delle innumerevoli fonti presenti in rete, sta determinando un progressivo impoverimento conoscitivo.

Questo è originato, in parte, dalla pigrizia ma in modo maggiore dalle bolle mediatiche, che attraverso il meccanismo della ricerca delle affinità e della condivisione di interessi, sui quali si basano le piattaforme social, rischiano di avvolgere il singolo utente con una comunicazione unidirezionale che finisce per condizionarne le conoscenze, la valutazione dei fenomeni e dei fatti e conseguentemente l’opinione se non anche l’azione sociale e politica.

Un fenomeno complesso quindi e gravido di conseguenze negative nella sua concreta capacità di condizionare persino i meccanismi di democratica formazione del consenso politico e sociale e di investire interi sistemi sociali e politici, di influenzare consultazioni elettorali, di determinare gravi crisi politiche o di influire su scelte di governo, soprattutto quando le leve dell’informazione fuorviante e della comunicazione improntata all’odio vengano gestite attraverso strategie sapientemente preordinate, che si avvalgono di bot e di profili social fittizi per incentivare l’adesione spontanea di altri utenti reali fino a determinare vere e proprie tempeste comunicative.

Ancore più percepibile è poi il disvalore di tali condotte quando investono direttamente un soggetto singolo, sia esso una personalità pubblica o una persona comune attinta da una vicenda di rilievo mediatico. In questo caso la diffusione di notizie false produce un danno ulteriormente amplificato dai messaggi di odio che, prendendo per vera la notizia, manifestano il giudizio offensivo e sprezzante che tale notizia è artatamente preordinata ad ingenerare.

Tanto è grave la portata lesiva di queste dinamiche quanto è difficile una reazione di tutela sul piano mediatico, dove solo i soggetti istituzionali ed economici attrezzati ad una contro comunicazione efficace possono in qualche modo contenere il danno, mentre i soggetti privati sono destinati a subire senza capacità di efficace reazione.

Ma non più facile è la reazione sul piano giuridico. Qui, infatti, si scontano alcuni limiti strutturali del sistema penale.

Uno di questi deriva dalla dimensione transnazionale delle indagini che devono essere effettuate per l’individuazione dei responsabili.

Infatti, molto spesso queste vere e proprie campagne di disinformazione e di odio vengono agite attraverso piattaforme social resi- denti all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. Ciò comporta che le in- formazioni necessarie per l’individuazione dei soggetti autori debba- no essere acquisite attraverso strumenti di cooperazione giudiziaria che vengono però ostacolati da due principali fattori.

Il primo risiede nel diverso regime della libertà di manifestazione del pensiero che, proprio negli Stati Uniti, non trova limitazioni nella sanzione penale. Il secondo si ritrova nelle differenti regole per la conservazione dei dati di traffico telematico (la c.d. data retention) che impongono agli internet service provider di conservare tali dati solo per un ridotto periodo di tempo onde non incorrere nelle sanzioni relative alla violazione della privacy e, conseguentemente non con- sentono se non nell’immediatezza, la loro richiesta ed acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria italiana.

Ma a fronte di questi limiti pratico operativi ve ne sono altri, di portata sostanziale, che incidono sulla configurabilità dei reati e sul difficile equilibrio, che deve sempre essere perseguito, tra esercizio delle libertà costituzionali e tutela penale delle posizioni giuridiche potenzialmente offese.

Infatti non sempre è agevole distinguere tra l’offesa della reputa- zione e dell’onore ed il diritto di critica o la libertà di opinione, come non sempre è possibile distinguere tra la notizia vera e quella falsa, soprattutto quando si versa in temi nei quali le conoscenze non sono ancora sedimentate e condivise; e di ciò la pandemia globale che stia- mo vivendo offre molteplici esempi in tema di comunicazione scien- tifica e sanitaria.

Le brevi considerazioni sin qui svolte, su uno dei numerosi temi trattati da Paolo Galdieri, offrono un saggio della complessità delle questioni che riguardano il diritto penale e processuale penale dell’informatica e, più in generale il diritto delle nuove tecnologie. La pluralità dei temi, la costante incessante evoluzione degli strumenti tecnologici, la normativa di riferimento non sempre aggiornata e adeguata, il coinvolgimento di diritti e di valori fondamentali, sono tutti elementi di complessità della materia ma anziché costituirne il limite, svolgono una funzione di seduzione magnetica nei confronti del giurista, sia esso un teorico o un operatore pratico. Gli impongono di mettere in campo gli strumenti interpretativi più raffinati e le conoscenze giuridiche più profonde, di commisurarsi con gli aspetti tecnologici della materia e con l’approfondita conoscenza delle dinamiche relazionali, sociali, politiche ed economiche nelle quali le nuove tecnologie sono ormai protagoniste. Nella consapevolezza del fatto che l’approdo più solido conseguito non è comunque mai definitivo, perché destinato ad essere rimesso in discussione con la facilità con la quale la tecnologia, quasi quotidianamente, rompe l’argine e si apre a prospettive impensate e sorprendenti. Anche l’auto sufficienza del diritto penale e dello stesso diritto nazionale sono dogmi destinati ad essere rimessi in discussione, accettando che la miglior disciplina, destinata a realizzare il giusto equilibrio tra la libertà della rete e l’efficace tutela dei diritti, può a volte essere rimessa al diritto amministrativo o al diritto civile, contrattuale e commerciale, o ancora alla convergenza di più fonti del diritto, nazionali e sovranazionali ed alla cooperazione virtuosa tra le autorità pubbliche e gli internet service provider.

In un tale contesto, opere come questa, realizzata da Paolo Galdieri, hanno un valore strategico per la capacità di sistematizzare le conoscenze giuridiche fino ad ora sedimentate nel settore del diritto penale delle nuove tecnologie e per fornire uno strumentario insostituibile per affrontare le sfide culturali del futuro.