l'analisi

Il de profundis di Corrado Augias per la Calabria? Inopportuno e poco generoso

di Francesco Bevilacqua, avvocato e saggista |

Di recente Corrado Augias ha ripetuto la sua lapidaria tesi su quella stessa Calabria che gli aveva consentito di approdare a Bruxelles: “è perduta, irrecuperabile!”. Ma quali sono le fonti di questa tesi un po’ iettatoria del nostro territorio?

Io c’ero, alle elezioni europee del 12 giugno 1994. E gli diedi pure il voto! Il candidato del PDS, in posizione blindatissima subito dietro il capolista Achille Occhetto, era Corrado Augias. C’ero proprio fisicamente – intendo dire – quando Corrado (mi rivolgerò a lui così, confidenzialmente, avendo contribuito a garantirgli cinque anni di stipendio, con annessi e connessi) venne quaggiù, personalmente, a chiedere i voti dei calabresi. In un dibattito pubblico sul Corso Giovanni Nicotera di Lamezia Terme, Corrado sciorinò il suo eloquio forbito, professorale, che lo contraddistingue ancora oggi. Con l’aggiunta di quel sorrisetto sornione e di quel vezzoso guizzo del capo quando sta per cogliere in fallo l’interlocutore. In quell’occasione, il Nostro fu pieno di sussiego e di compassione verso la Calabria e i calabresi. E di voti ne prese un botto, nell’intero collegio: ben 168.135! Alla successiva tornata elettorale, però, dopo un’assenza dalla Calabria, sia fisica che intellettuale, durata cinque anni, Corrado ebbe l’avventatezza di ripresentarsi. Venne trombato, naturalmente!

Prima di essere eletto, nel 1994, aveva già lasciato la RAI, dopo alcune polemiche sulla trasmissione “Telefono Giallo”, nella quale si occupava di delitti di sangue. Dopo la delusione alla seconda tornata elettorale, venne consolato con il rientro in RAI – RAI 3 ovviamente – con trasmissioni di taglio culturale in una fascia oraria tranquilla, culminate con “Le storie”, dove Corrado ha fatto il conduttore, il letterato, il critico d’arte, il giornalista, lo storico, il sociologo, l’antropologo, il politologo, il musicologo, il filosofo … e perfino il “teologo ateo”, quotidianamente impegnato a convertire gli ospiti della trasmissione al suo illuminismo un po’ datato. A margine della conduzione televisiva è fiorita poi la sua produzione letteraria, espansa, questa volta, ai vari campi dell’umano scibile.

Ma l’influenza di Corrado nel dibattito culturale e politico italiano viene soprattutto dalle opinioni espresse sui giornali e dal recente vezzo di alcuni talk show televisivi di averlo ospite (intanto “Le storie” è stata affidata al più umile e garbato Giorgio Zanchini) soprattutto su temi di costume e politica, come si trattasse di un padre nobile della patria. In queste ospitate televisive, il canuto Corrado compare generalmente da casa, dietro la sua scrivania, sullo sfondo in penombra di una camera piena di libri, con l’aria del vecchio saggio uscito da una collezione di busti marmorei dell’antica Roma, pronto ad offrire sentenziosi aforismi sulla vita e sul mondo. 

Ed è proprio in quest’ultima veste di opinionista televisivo che di recente, Corrado ha ripetuto la sua lapidaria tesi su quella stessa Calabria che gli aveva consentito di approdare a Bruxelles: “è perduta, irrecuperabile!” Avrebbe fatto bene ad aggiungere: “ora che non ci sono più io, da parlamentare europeo, a rianimarla”. Ma quali sono le fonti di questa tesi un po’ iettatoria del Nostro? Le fonti, a sua detta, sono le inchieste delle procure antimafia calabresi. Punto. Null’altro. Ma quelle inchieste riguardano solo una piccola parte dei calabresi. “La responsabilità penale è personale”, recita l’art. 27 della Costituzione, e quella responsabilità (quando sarà confermata in sentenza definitiva) non può trasformarsi in colpa collettiva di un intero popolo. E le stesse inchieste delle procure non possono essere assunte come degli studi socio-antropologici.

Ecco perché la tesi – giudicata “maldestra” dallo stesso Corrado a posteriori (intervistato al TG Calabria qualche giorno dopo) – ha fatto indignare molti, con le motivazioni più disparate: da chi pensa che la Calabria sia la versione moderna della Magna Grecia e che i calabresi siano dei novelli Platone ed Aristotele, a chi a pensa che certi giudizi trancianti rappresentino una manifestazione di lesa maestà verso la California d’Europa.

Ora, Corrado caro (passo al tono colloquiale che Ti è tanto caro), quando un malato è “perduto e irrecuperabile”, non resta che rivolgersi alle pompe funebri per allestire il funerale. Capita che anche i medici e i parenti si scoraggino a tal punto da invocare una qualche forma di eutanasia per il malcapitato. Ed è esattamente quel che sta accadendo con l’opinione pubblica nazionale (e perfino locale), che proprio in questi giorni si va convincendo che la Tua diagnosi infausta, caro Corrado, è clinicamente esatta. Insomma è come se Tu avessi detto: “prepariamo i funerali ed intoniamo il de profundis, tanto per la Calabria non c’è più nulla da fare!”

Da cultore di testi sacri quale sei, però, avrai avuto in mente il Salmo 129 della Bibbia (“De profundis clamavi ad te, Domine”), quando hai emesso il Tuo insindacabile verdetto. Ricercando sulla Treccani la voce “De profundis”, infatti, si nota la coincidenza lessicale del salmo biblico con il Tuo dire: “di chi sta per morire e di cosa che si considera irrimediabilmente perduta”. Dunque rassegniamoci: Calabresi e Calabria, requiescant in pace. Amen.