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Il Coronavirus è l’arma in più contro il populismo

Demonstrators chant Tuesday, June 2, 2020, at Rittenhouse Square in Philadelphia, during a protest over the death of George Floyd, who died May 25 after he was restrained by Minneapolis police. (AP Photo/Matt Rourke)

Riccardo Ruggeri è un ex operaio Fiat che ha fatto una brillante carriera da alto dirigente, salvando la fallimentare New Holland e trasformandola nella seconda azienda al mondo di macchine agricole. Ora, da pensionato inquieto, fa lo scrittore e ricorda la sua prima epidemia, l’Asiatica del 1957:

“Ero operaio in Fiat, avevo 23 anni, non avevamo la mascherina, il distanziamento sul tram n° 1 (Cimitero- Fiat Mirafiori) delle 6,30 era zero, sulla linea di montaggio era di una decina di centimetri. I morti furono 30 mila con, ci dissero, il 50% della popolazione contagiata. Ma il Governo non creò alcun terrore, non c’era nessuna task force e il Premier Adone Zoli non aveva alcuna vanità di essere Winston Churchill…”

Nel 1957 la popolazione italiana era di 49 milioni. Oggi è di 60,4 mln, il 23% in più. I decessi per Covid sono ad ora poco meno di 35 mila. Tanti, e ce ne saranno ancora, ma il 23% in più dei 30 mila morti per l’Asiatica del ‘57 fa 36.900. La pandemia non è finita, ma viste anche le migliorie terapeutiche negli oltre 60 anni intercorsi, l’esito finora pare in linea con la passata esperienza.

Certo, senza la straordinaria mobilitazione sociale e politica— mascherine, quarantene e social distancing, nonché la consapevole scelta di sacrificare l’economia alla profilassi—poteva andare peggio. Colpisce anche la sospensione dei comuni diritti civili. Il Giappone avrebbe perfino vietato di gridare sulle montagne russe, causa Coronavirus. Resta da chiedersi: “Come mai questa volta?”

Buona parte della risposta è semplice: “Perché ora si può”. Internet ha permesso di estendere velocemente l’allarme in tutto il mondo, innescando uno spirale di crescente preoccupazione generale. Le stesse tecnologie rendono possibili controlli impensabili in passato. Forse è che pensavamo di poterci permettere una difesa più attiva: siamo più ricchi di sessant’anni fa. Potrebbe entrarci il radicale allungamento della vita. Forse la morte fa più paura di prima.

Bisogna capire meglio, perché poi viene il dopo. Cosa succederà quando si toglierà il tappo dalla bottiglia? ISPI, l’Istituto di studi politici internazionali, ha recentemente esaminato l’uso “politico” della pandemia in Medio Oriente e Nordafrica dove l’arrivo del Covid ha frenato estesi movimenti di protesta contro la corruzione e l’inettitudine delle classi di governo, “offrendo alle autorità statali vulnerabili un’insperata opportunità di imporre pesanti misure di controllo sociale e di guadagnare tempo”. Però, non appena il lockdown ha cominciato ad attenuarsi, le proteste sono ripartite con rinnovato vigore—e con l’aggravante del massiccio impatto economico della pandemia.

In Europa l’assalto del virus è servito a bloccare un’ondata di populismo che sfidava l’egemonia dei fautori degli stati altamente centralizzati, permettendo anche a loro di guadagnare tempo e magari di dimostrare i vantaggi della rinuncia alle anarchiche e inutili libertà personali. Per l’ISPI, i governi dell’area MENA “devono ora scegliere tra un impegno serio nelle riforme socio-economiche, oppure una nuova, forse più violenta, stagione di disordini sociali”.

L’Europa non è il Medio Oriente né il Nordafrica—ma è di questo mondo. I problemi esistenti prima dell’avvento del Covid non sono scomparsi. In più, se ne uscirà con l’economia gravemente danneggiata. Non è un bel quadro.

Nota diplomatica ‘L’Asiatica‘ di James Hansen

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