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Il cloud non è più dove pensi. Il 2025 segna l’inversione di rotta

Il 2025 potrebbe essere ricordato come l’anno in cui molte aziende hanno cominciato a tornare indietro rispetto al cloud pubblico. Non per sfiducia nella tecnologia, ma per un’esigenza crescente di controllo, costi prevedibili e sistemi più integrati.

Secondo il Parallels Cloud Survey 2025, l’86% dei responsabili IT sta valutando (o ha già deciso) di spostare carichi di lavoro fuori dal cloud pubblico. Di questi, un 45% guarda al ritorno a soluzioni interne, mentre un altro 27% punta su una combinazione tra locale e remoto. In pratica, quasi tre aziende su quattro stanno ripensando da capo la propria infrastruttura digitale.

È un cambio di rotta netto: dal “tutto sulla nuvola” alla scelta mirata, dove non decide più l’entusiasmo per la virtualizzazione totale, ma considerazioni molto più concrete. Le motivazioni? Prestazioni altalenanti, spese difficili da prevedere, poca trasparenza nella gestione. Anche chi resta nel cloud preferisce spesso distribuire i servizi tra più fornitori, per evitare dipendenze e aumentare l’affidabilità. Solo il 2% dichiara di mantenere tutto sui propri server, ma il dato chiave è che la corsa cieca verso il cloud si è ufficialmente fermata.

Lavoro da remoto? Sì, ma la sicurezza vacilla

Altro che ritorno in ufficio: l’84% delle aziende continua a permettere il lavoro da remoto, almeno nei ruoli compatibili. E non si tratta solo di flessibilità per i dipendenti. È un asset strategico che spinge le imprese ad adottare strumenti per l’accesso sicuro a desktop e applicazioni a distanza, come le scrivanie virtuali o le soluzioni di accesso remoto. Ma questa scelta ha un prezzo: più dispositivi da controllare, più reti da sorvegliare, più punti di attacco per i criminali informatici.

Il report mette nero su bianco le nuove priorità dell’IT: la gestione degli accessi per chi lavora da remoto è il problema più citato, seguita dalla complessità crescente nella protezione dei dispositivi e dalla necessità urgente di formare il personale. Aumentano anche i casi di ransomware e phishing, perché i malintenzionati si adattano velocemente ai nuovi contesti. E non è solo questione di tecnologia: serve una cultura della sicurezza che coinvolga tutti, perché sapere riconoscere una mail sospetta, aggiornare regolarmente i propri strumenti, proteggere l’ambiente in cui si lavora sono tutti piccoli gesti, ma che fanno la differenza.

Chi gestisce le reti aziendali lo sa bene: garantire l’operatività da remoto è diventato imprescindibile, ma farlo in sicurezza richiede regole chiare, strumenti adeguati e personale formato. Nessuna scorciatoia, solo buon senso e investimenti mirati.

Soluzioni virtuali, problemi concreti: cambiare fornitore è la nuova normalità

Più della metà delle aziende intervistate – il 58% – sta cercando un nuovo sistema per gestire desktop e applicazioni da remoto. Il motivo? Le soluzioni attuali, come i desktop virtuali o i servizi di accesso remoto, si stanno rivelando spesso troppo costose, poco integrate o inadatte alle esigenze reali. I problemi principali segnalati dai responsabili IT sono la necessità di troppe risorse per il funzionamento, la scarsa centralizzazione dei controlli, ma anche una complessità tecnica eccessiva che frena l’efficienza operativa.

Cambiare piattaforma, però, non è mai una passeggiata. Serve tempo, serve un’analisi comparativa approfondita e, soprattutto, serve capire quale soluzione offre il miglior rapporto tra costi, performance e supporto. Per questo, anche nel mondo delle infrastrutture virtuali, sta crescendo l’uso di strumenti nati per confrontare offerte in modo rapido e trasparente. Se in ambito energia o connessioni internet un comparatore come SOSTariffe.it può aiutare a scegliere con criterio, lo stesso approccio può valere per chi vuole valutare i costi dei servizi gestiti o delle soluzioni cloud: mettere a confronto tariffe, funzioni incluse, vincoli contrattuali e assistenza diventa fondamentale, soprattutto in un mercato in piena trasformazione.

Il punto non è solo cambiare fornitore, ma farlo con consapevolezza, senza restare ostaggi di sistemi obsoleti o tariffe fuori scala, perché la virtualizzazione non dovrebbe mai tradursi in una trappola.

Più budget per la sicurezza, ma senza cultura resta tutto fragile

L’allarme è chiaro: 88% delle aziende aumenteranno il budget per la sicurezza informatica nel 2025, e quasi una su due lo farà in modo significativo. Il problema è che non basta comprare software per sentirsi al sicuro. Gli attacchi informatici diventano sempre più sofisticati, e mentre il 39% degli intervistati teme soprattutto ransomware e malware, un altro 37% indica come principale preoccupazione le falle nei servizi cloud. Il dato più inquietante, però, è che il 42% ha già subito una violazione nell’ultimo anno.

Certo, la difesa di base è quasi ovunque: oltre il 91% usa firewall, il 70% ha antivirus, il 66% ricorre a VPN. Ma poi si scopre che solo l’11% delle aziende forma attivamente i dipendenti sui rischi digitali. Eppure, secondo il report, l’errore umano è al terzo posto tra le cause di incidente, con password deboli e disattenzioni che aprono la porta a intrusioni evitabili. Peggio: solo il 6% usa tecniche come l’isolamento del browser per proteggere l’accesso alle applicazioni online, una misura ormai fondamentale quando si usano decine di strumenti SaaS al giorno.

Le tecnologie servono, eccome. Ma senza una cultura diffusa della sicurezza – fatta di formazione, buone pratiche, strumenti semplici da usare ma ben configurati – il rischio è costruire castelli con le finestre spalancate. E oggi nessuna azienda può più permettersi di ignorarlo.

Tra frammentazione e consapevolezza: il cloud nel 2025 cerca equilibrio

Per concludere, il cloud non è più una scelta binaria. Lo confermano i dati: solo il 14% delle aziende intervistate intende mantenere tutti i carichi nel cloud pubblico. Tutte le altre stanno cercando un modello più flessibile, fatto di combinazioni tra servizi remoti, infrastrutture locali, app in cloud e software installati. Anche tra chi ha già abbracciato il cloud da tempo, cresce la tendenza a riprendere in mano il controllo: multi-cloud, hybrid cloud, on-premise selettivo. Un patchwork di soluzioni che rispecchia le esigenze – sempre più frammentate – delle imprese moderne.

Dietro questa complessità, però, c’è una maturazione evidente. Le aziende non vogliono più rincorrere mode o slogan. Vogliono risposte chiare, soluzioni trasparenti, integrazione reale con i sistemi che già usano. E, soprattutto, vogliono infrastrutture che reggano nel tempo, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche economico, normativo, operativo. Il 2025 segna, in fondo, la fine del cloud come parola magica. E l’inizio di una fase in cui ogni scelta deve avere senso, per davvero.

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