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Il caos roaming si abbatte sulle telco. Con un colpo la Ue scontenta tutti

I titoli delle principali compagnie telefoniche europee viaggiano in negativo, appesantite dalla decisione del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker di ritirare la proposta della Commissione europea sull’azzeramento dei costi del roaming. La Commissione, contravvenendo a quanto promesso, aveva infatti deciso di limitare l’abolizione a un periodo di 90 giorni l’anno non consecutivi per evitare abusi, quali l’arbitraggio delle carte Sim. Una soluzione, questa, di sicuro più gradita agli operatori – per i quali il roaming vale circa il 5% del fatturato – che ai consumatori.

L’abolizione totale dei sovrapprezzi per l’utilizzo del cellulare all’estero, secondo la Commissione, avrebbe potuto aprire la strada alla migrazione dei consumatori verso gli operatori europei con le tariffe più basse.

Secondo Banca Akros, la spesa media per cliente Vodafone in Romania è di 11,7 euro a fronte dei 30,5 dei Paesi Bassi.

Più in generale l’Arpu – il ricavo medio per utente – varia notevolmente da Paese a Paese: dai 36 euro della Norvegia ai quasi 11 euro del Portogallo. Italia e Germania, due dei paesi più competitivi a livello di tariffe, viaggiano sui 14 euro.

L’abolizione del roaming avrebbe quindi scatenato una concorrenza di “tutti contro tutti a dispetto delle licenze pagate e degli investimenti realizzati”, hanno commentato gli analisti di Equita Sim.

Ma non era forse anche questo il senso del mercato unico (e delle promesse forse troppo populiste della Commissione): permettere ai consumatori in primis di potersi avvalere delle offerte più convenienti dell’intero territorio europeo?

Evidentemente non proprio, dato che i servizi della Commissione hanno deciso di introdurre il contestato limite di 90 giorni per evitare abusi come l’arbitraggio tutelando comunque il ‘viaggiatore medio’ europeo che generalmente si trova in un paese diverso dal proprio per circa 12 giorni l’anno.

Un passo indietro che non è piaciuto affatto al presidente Juncker, che sperava di giocarsi (anche) questa  carta mercoledì prossimo a Strasburgo in occasione del suo discorso sullo stato dell’Unione. Un’Unione alle prese con gli effetti della Brexit e con il diffuso malcontento legato alle crescenti ondate migratorie.

Ma il disappunto non è stato solo di Juncker, che ha ordinato il ritiro del testo: con una sola mossa la Commissione si è messa contro i consumatori, il Parlamento (che pure un anno fa aveva approvato la clausola del fair use) e anche le telco.

Il tutto mentre l’esecutivo si appresta a varare quella che sulla carta dovrebbe essere un’ambiziosa riforma del settore delle telecomunicazioni, che dovrebbe essere svelata dopo il discorso di Juncker. La riforma, che mira a mettere l’Europa al passo delle principali economie digitali come gli Usa e la Cina, secondo indiscrezioni potrebbe estendere le regole delle telco anche alle app di messaggistica (Whatsapp, Skype & Co.), oltre a introdurre nuove misure per favorire l’armonizzazione dello spettro radio per il 5G e per agevolare gli investimenti nella fibra ottica.

Dal canto suo, svela il sito Politico, il presidente Juncker avrebbe dato mandato al suo braccio destro Martin Selmayr di gestire la delicata situazione. Ignorando il protocollo – che prevede la consultazione con le parti interessate prima della pubblicazione di qualsivoglia comunicazione sul sito – ecco comparire sulla pagina della Commissione l’annuncio del ritiro della proposta, senza  nessun altro dettaglio.

Fonti citate sempre da Politico sostengono che a spingere Juncker verso questo passo sia stata la pressione degli eurodeputati del Partito Popolare, intenzionati a portare in porto l’abolizione del roaming senza mezze misure.

Eppure, nel difendere la proposta del limite di 90 giorni,  Andrus Ansip (vicepresidente della Commissione per il Digital Single Market) e Günther Oettinger (Commissario per la the Digital Economy and Society) avevano esplicitamente detto che la famigerata ‘fair use policy’, era stata richiesta dal Parlamento europeo e dal Consiglio per evitare abusi che andrebbero a discapito della qualità della rete e degli investimenti in nuova capacità in alcuni paesi.

Le telco sono le più inquiete riguardo questo nuovo dietrofront. Dal roaming dipendono quasi 5 miliardi l’anno e perderli aggreverebbe l’emorragia di ricavi che sta prosciugando le loro casse da almeno 5 anni a questa parte.

Incrementare i giorni di ‘bonus’ oltre il limite fissato dei 90 giorni “pregiudicherebbe la logica della clausola stessa e negherebbe i principi economici di base”.

Il nuovo testo, in ogni caso, dovrebbe arrivare entro il 15 dicembre, ma la strada verso l’abolizione completa del roaming – che sembrava spianata – è tornata a essere irta di ostacoli.

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