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Il 29 novembre 1966 i Beatles iniziano a registrare “Strawberry Fields Forever”

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Chissà perché c’è sempre una nostalgia che avanza e, timidissima, arrossisce quando parliamo di fragole: da Bergman a John Lennon, questo frutto è sempre la porta su un’infanzia che ci manca.

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Chissà perché c’è sempre una nostalgia che avanza e, timidissima, arrossisce quando parliamo di fragole: da Bergman a John Lennon, questo frutto è sempre la porta su un’infanzia che ci manca. Per il cantautore di Liverpool, in particolare, “Strawberry Field” era il giardino dell’orfanotrofio di Liverpool dove andava a giocare: un luogo in cui “niente è reale” e ci si poteva permettere il lusso di vivere a occhi chiusi, fraintendendo tutta la rumorosa realtà là fuori. 

Questo pezzo arriva in un momento particolare per i Beatles: affioravano i primi personalismi, c’era qualche problema di immagine e un silenzio creativo di molte settimane; nelle intenzioni di Lennon-McCartney, inoltre, il brano doveva tenersi lontano da live e palchi. Arriviamo in quei giorni di novembre del 1966, quando i musicisti si chiudono in studio a registrare: molti sono i take e il gruppo sembra indeciso sul tono di fondo, oscillando tra il pop, lo psichedelico e l’orchestrale. Inizia un vero e proprio taglia e cuci (non c’era infatti il digitale); alla fine, John Lennon trova il sentiero per i campi di fragole che cercava. 

In un mondo in cui ogni link (fisico o digitale), è una finestra aperta verso possibilità infinite, è confortante pensare che qualcuno abbia scelto per noi una sola e giustissima emozione. Chiudendo la cerniera su tante altre e su un presente che, spesso, è solo un indefinito rumore.