Nell’immaginario collettivo, la conquista della Luna è spesso associata all’eroismo americano, ai razzi Saturn V, a Neil Armstrong e all’iconico “un piccolo passo per un uomo…”. Ma pochi sanno che, tra le pagine meno celebrate della corsa allo spazio, c’è un pezzo d’Italia. Un pezzo fatto di ingegno, di silicio e di visione industriale. Un pezzo che porta il nome di Olivetti.
Sì, Olivetti. L’azienda di Ivrea fondata da Camillo e portata ai vertici dell’innovazione mondiale dal figlio Adriano. Mentre la Nasa si preparava a sfidare l’ignoto, l’industria americana cercava disperatamente strumenti di calcolo affidabili, compatti, precisi. Il colosso IBM dominava il mercato, ma c’era una macchina che stava emergendo per le sue qualità straordinarie: la Programma 101, il primo vero personal computer al mondo, presentato nel 1965 al BEMA di New York, progettato da un gruppo di visionari italiani guidati da Pier Giorgio Perotto.
Il design? Di Mario Bellini. La tecnologia? Olivettiana al 100%. Eppure fu adottata anche dalla Nasa, che ne acquistò diverse unità per elaborare i dati di missione durante i preparativi di Apollo 11.
Quella macchina, così compatta da stare su una scrivania, eppure così potente da calcolare traiettorie lunari, rappresentava l’avanguardia della miniaturizzazione, della logica programmabile, dell’interfaccia uomo-macchina. In altre parole, era la sintesi della filosofia olivettiana: unire cultura, tecnologia e umanità.
E non è un caso che, negli stessi anni, mentre gli americani mandavano uomini sulla Luna, gli italiani costruivano uno dei modelli industriali più raffinati e umani del Novecento. Olivetti non produceva solo macchine da scrivere o calcolatori: produceva futuro, e lo faceva con uno sguardo etico, estetico e comunitario.
Il contributo di Olivetti alla corsa spaziale non è solo tecnico. È simbolico. È l’esempio che anche il nostro paese, se guidato da una grande visione, può incidere nella storia dell’umanità a livello industriale.
E allora, la prossima volta che guarderemo la Luna, ricordiamoci che una parte di quel sogno, di quel successo, di quell’impresa titanica… porta il marchio e lo spirito di Ivrea.