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Idrogeno verde, capacità di produzione cresce del +20% l’anno nell’Ue

È stato sottoscritto ieri da 22 Stati membri dell’Unione europea il Manifesto per lo sviluppo di una catena del valore europea sulle Tecnologie e sistemi dell’idrogeno.

Per l’Italia ha partecipato il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, che contestualmente ha anche preso parte al lancio dell’Importante progetto di comune di interesse europeo sull’idrogeno (o Ipcei on hydrogen, Important projects of common european interest).

All’iniziativa, organizzata dalla Germania e condotta in videoconferenza, oltre all’Italia, hanno partecipato Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Romania, Slovenia, Svezia, Ungheria.

L’idrogeno per decarbonizzare la nostra economia

Il nostro ministro ha avuto modo di evidenziare l’importanza della recente decisione del Consiglio europeo in termini di decarbonizzazione, che ha fissato ad almeno il 55% l’obiettivo della riduzione delle emissioni comunitarie entro il 2030 per poi raggiungere il totale abbattimento nel 2050.

L’idrogeno verde appare come lo strumento più utile ad assicurare il raggiungimento di questi obiettivi entro i termini stabiliti”, ha dichiarato Patuanelli. “Sono pertanto profondamente convinto che le imprese italiane sapranno farsi trovare pronte a cogliere le opportunità offerte nel quadro dei cosiddetti IPCEI – ha aggiunto – e a lavorare in sinergia con le imprese degli altri paesi europei, in modo da far raggiungere alla Ue un ruolo di leadership in questa importante energia del futuro, in particolare nei sistemi produttivi e nel trasporto”.

Il primo progetto Ipcei sull’idrogeno sarà incentrato su “Tecnologie e sistemi dell’idrogeno” e riguarderà tutta la catena del valore, dalla R&S all’implementazione delle installazioni.

Obiettivo primario è produrre idrogeno sostenibile, si legge in un comunicato del ministero dello Sviluppo: “In particolare da fonti rinnovabili; produrre elettrolizzatori e mezzi pesanti di trasporto alimentati idrogeno, come navi, aerei, veicoli commerciali; sviluppare soluzioni per lo stoccaggio, la trasmissione e la distribuzione dell’idrogeno; implementare applicazioni industriali dell’idrogeno, per favorire la decarbonizzazione degli impianti industriali specie in quei settori di difficile elettrificazione”.

L’Europa dei gas rinnovabili

In questi giorni è stato pubblicato dal consorzio Gas for Climate il nuovo “Market state and trends Report” di Guidehouse, con le principali tendenze e lo stato dell’arte dei gas rinnovabili, tra cui principalmente l’idrogeno verde e il biometano.

Secondo il documento, i gas rinnovabili stanno assumendo un ruolo chiave nel percorso di transizione green degli Stati dell’Unione e nel raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 e di abbattimento delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030.

Riguardo all’idrogeno verde la capacità di produzione per elettrolisi in Europa viaggia su tassi di crescita del +20% annuo (dal 2016 al 2019).

L’Italia è già oggi e lo sarà sempre più in futuro uno dei primi Paesi in Europa per produzione di idrogeno verde e in particolare di produzione di idrogeno verde a partire dal biometano.

Entro il 2030 saremo in grado, insieme al Belgio, di produrre 11GW in più grazie all’impiego di unità di steam reforming o un’unità di autothermal reforming, che sono alla base della generazione di idrogeno green a partire da biometano.

Biometano, risorsa o problema?

Per quanto riguarda il biometano, è riportato in un articolo dell’Adnkronos, si osserva una “crescita rapida della produzione e degli impianti di digestione anaerobica e upgrading”, con un conseguente aumento delle iniezioni in rete nell’ultimo decennio “da circa 5,5 TWh all’anno agli attuali 20 TWh”.

Entro il 2030 la quota di biometano nelle reti europee potrebbe arrivare al 5-8%”.

La maggior parte degli impianti che producono biometano ne nostro continente (il 65% nel 2019) utilizza rifiuti o biomasse agricole come effluenti zootecnici, sottoprodotti agricoli e colture di secondo raccolto.

Proprio per questo tipo di alimentazione degli impianti sul territorio, sono ancora diverse le critiche sollevate dalle organizzazioni ambientaliste e non pochi i timori legati all’inquinamento derivante dalla produzione di biometano.

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