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Identità digitale unica, la CIE prenderà il posto dello SPID?

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Key4biz continua a stimolare e a pubblicare le proposte al Governo e alla ministra dell’Innovazione per l’Italia digitale promessa dal premier Conte. Di seguito il nuovo contributo.

Già Matteo Renzi con il pin unico aveva generato una certa confusione in materia di Agenda Digitale. Oggi tocca a Giuseppe Conte rispolverare in modo fumoso alcuni concetti in una cornice attuativa pressocché identica a quella di allora.

“…L’innovazione deve essere il motore che imprime una nuova spinta a tutti i settori dell’economia e della società. La Pubblica Amministrazione dovrà essere alla testa di questo processo realizzando le infrastrutture materiali e immateriali necessarie. In questa direzione occorrono impegni concreti. Dobbiamo lavorare perché i cittadini abbiano un’unica, riassuntiva identità digitale di qui a un anno”. Si è espresso così il Presidente del Consiglio Conte prima di ricevere il voto di fiducia alla Camera dei Deputati. A quale “identità digitale” unica faceva riferimento? SPID, CIE, un sistema di autenticazione unico, centralizzato e nuovo di zecca?

Su SPID si è detto e scritto molto. Previsto dall’art. 64 del riverniciato Codice dell’Amministrazione Digitale e introdotto nel nostro Paese dall’art. 17-ter del D.L. n. 69/2013, questo sistema di identificazione non è mai riuscito ad affermarsi fra i cittadini e le imprese (si contano al momento in cui si scrive 4.700.456 adesioni, a fronte delle 6 milioni previste solo entro il primo anno dal lancio, avvenuto nel marzo del 2016).

SPID, tanti i motivi dell’insuccesso

Tanti sono i motivi dell’insuccesso. Innanzitutto, una inadeguata informazione dei cittadini, la maggior parte dei quali non conosce questo strumento. Si pubblicizzano le modalità per il rilascio, ma non le finalità, le potenzialità. Sono ancora pochi, inoltre, i servizi offerti dalle Pubbliche Amministrazioni, specie quelle più piccole e meno strutturate e situate in località disagiate, in cui i cittadini potrebbero trarre un notevole giovamento da SPID.

Mancano, poi, attori privati che possano stimolare la domanda e rendere remunerativi gli investimenti effettuati dagli identity provider.

Da ultimo, la sovrapposizione con la CIE (Carta di Identità Elettronica), che offre di fatto una identificazione robusta e di III livello (non ancora disponibile per il sistema SPID), è più diffusa di SPID e permetterebbe di fruire di quei servizi pubblici che oggi richiedono la firma digitale (il cui procedimento di rilascio dovrebbe essere più lungo e a pagamento, anche se il rilascio della CIE dipende dal buon cuore dei singoli Comuni italiani). Il limite rappresentato dall’utilizzo di una smart card è stato superato dal rilascio dell’app CIE ID, che permette di accedere ai servizi (ancora pochi in realtà) offerti dalle PP.AA e dagli stati membri dell’UE tramite la tecnologia nfc del proprio smartphone.

La direttiva (UE) 2015/2366 (c.d. PSD2), recepita in Italia con D.Lgs. 218/2017 e che è entrata in vigore il 14 settembre 2019, avrebbe potuto rappresentare la grande occasione per SPID: il Governo avrebbe dovuto, infatti, istituire un tavolo tecnico con l’ABI, AgID e gli identity provider al fine di individuare in SPID il sistema unico per l’accesso ai servizi di pagamento bancario. Occasione, com’è noto, sfumata.


Perché la CIE il sistema di autenticazione unico e generalizzato

La CIE sembrerebbe, quindi, la candidata ideale a diventare il sistema di autenticazione unico e generalizzato annunciato dal Presidente Conte, per il maggior livello di sicurezza offerto e la sua ampia diffusione, a meno che non si voglia disegnare un sistema a due binari, in cui i servizi mobili siano accessibili tramite SPID di secondo livello e quelli “professionali” tramite un’autenticazione più forte garantita dalla CIE, ma ciò non sarebbe in linea con le dichiarazioni del premier.

Ma ha senso tutto questo in un sistema amministrativo che almeno da ciò che si legge nell’attuale normativa in materia dovrebbe essere improntato su trasparenza amministrativa digitale e riutilizzo dei dati, quindi servizi informativi tendenzialmente disponibili senza la necessità di un sistema di identificazione informatica? E, in un Sistema Paese ancora monco in uno dei pilastri fondamentali di un processo serio di trasformazione digitale (e cioè ANPR), possiamo davvero pensare che ci sia necessità di tre livelli di SPID per il cittadino italiano che o deve essere messo in grado di trovare i suoi servizi disponibili direttamente on line in modo aperto e trasparente sui siti web delle PA o esperire i suoi diritti di accesso con sistemi sicuri e certi di identificazione? E ha ancora senso che questi servizi di identificazione siano offerti da diversi provider privati in un libero mercato che non si è mai sviluppato?

In questo Paese, si vorrebbero convincere i cittadini italiani a dotarsi di un sistema di identità digitale che non permette di far nulla in assenza di servizi reali sviluppati dalle PA in modalità digitale e senza che tale sistema possa essere, ad esempio, utilizzato su piattaforme di e-commerce. Mancano ancora sia i modelli di business su cui dovrebbe reggersi questo strumento, sia le strategie effettive per favorirne una diffusione, sia i servizi stessi che tale sistema dovrebbe consentire di avviare.

Del resto, in assenza -sino ad oggi- di una governance reale in materia di Agenda Digitale si è proceduto alla rinfusa, probabilmente con il coraggio delle idee e delle intuizioni di qualche consulente suggerito da un ministero, un’agenzia, o un dipartimento, ma senza alcuna logica e senza una visione complessiva.

E l’Italia è sempre lì al 25.mo posto della classifica Desi e non possiamo pensare ancora che sia colpa del caso.

Per approfondire il tema:

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