l'intervista

IA, gli assistenti virtuali diventeranno il primo punto di contatto con le aziende

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"Gli assistenti virtuali sono il biglietto da visita dell'intera disciplina dell'AI. Lo confermano tutte le analisi di mercato. I progetti di AI più frequenti sono legati all'adozione di assistenti virtuali, nella maggior parte dei casi, in ambito customer care".

Ing. Ernesto Di Iorio – CEO di QuestIT

Gli assistenti virtuali sono spesso il primo impatto consapevole di un utente con l’intelligenza artificiale.

Questo conferisce a tale tipologia di software una responsabilità non indifferente, perché spesso le persone giudicano quanto è avanzata la ricerca sull’AI in base a quanto “intelligente” è l’assistente virtuale con cui dialogano.

Ne abbiamo parlato con Ernesto Di Iorio – CEO di QuestIT.

Luca Sambucci. Ci può raccontare come è nata QuestIT? Qual è stata la molla che ha fatto scattare l’idea di un’azienda di intelligenza artificiale, in Italia, nel lontano 2007?

Ernesto Di Iorio. Siamo nati nel 2007, tra le prime spin-off dell’Università degli Studi di Siena, nel dipartimento di Ingegneria dell’informazione. Eravamo 4 studenti di dottorato appassionati di tematiche di apprendimento automatico applicato all’elaborazione del linguaggio.

In quel periodo eravamo presi da una sfida veramente sui generis. Mentre era ormai noto e scontato vedere una macchina battere il campione del mondo di scacchi (Deep Blue aveva battuto nel 1996 Kasparov, il campione del mondo di scacchi), noi eravamo alle prese con una sfida che nessuno si era mai posto prima … Può una macchina battere l’uomo nella risoluzione delle parole crociate?

Beh, inizialmente anche a me sembrava strano: da quando risolvere un cruciverba era una gara? E perché era così interessante insegnare una macchina a giocare a questo passatempo?

Ma quante volte sotto l’ombrellone, abbiamo sentito, “vediamo chi finisce prima e lo fa meglio” Ecco la gara!

In ogni caso, scacchi e parole crociate sono task estremamente diversi. Gli scacchi sono un gioco in cui le regole e le azioni che si possono fare ad ogni passo sono ben definite, come ben definita era la letteratura scientifica pressoché infinita di algoritmi di intelligenza artificiale da poter sfruttare per vincere (ricordo che ne implementai un paio già al primo anno di Ingegneria e rischiai la bocciatura perché il professore perse 4 5 partite di seguito durante l’esame), ed il resto lo fece la potenza di calcolo che andava crescendo in maniera esponenziale in quegli anni.

Le parole crociate sono tutta un’altra storia. Si basano sulla comprensione del linguaggio, bisogna comprendere la definizione, ragionare sulle informazioni in proprio possesso e capire quale parola è più adatta con i vincoli dello schema che l’inserimento di altre parole ha creato.

Insomma, tanti problemi, ma sicuramente i primi due erano quelli più intriganti. Capire il significato della definizione e recuperare informazioni in maniera automatica dalla rete, per identificare parole “adatte” a soddisfare la richiesta.

Lavorammo diversi anni su questo progetto e vincemmo due premi di ricerca di Google, per l’originalità della ricerca e per le tecnologie che nel frattempo stavamo sviluppando per vincere la gara.

Webcrow era il nome di questa Intelligenza Artificiale. Webcrow vinse moltissime gare, anche a livello internazionale, ma non abbiamo mai vinto contro i veri campioni di cruciverba, perché ripeto, comprendere il linguaggio, ragionare sui dati, per fortuna è qualcosa in cui l’uomo è biologicamente programmato da qualche milione di anni e non è così facile imitarlo.

Improvvisamente ci scoprimmo esperti di temi di frontiera in ambito AI e pensammo che quelle tecnologie potessero essere utili non solo per giocare alle parole crociate, ma anche per rispondere a domande dell’utente su documentazione aziendale, su manuali d’uso dei dispositivi che abbiamo in casa, nel classificare organizzare ed estrarre informazioni da grandi moli di dati non strutturati (e-mail, web, documenti vari).

Da lì lanciammo QuestIT (“cercalo”), nel lontano 2007. Ma eravamo in Italia ed eravamo troppo in anticipo. Ricordo che quando facevo vedere le cose che facevamo la stanza si riempiva di uno strano silenzio, tra stupore ed incredulità. Erano tempi in cui ero ancora più ricercatore che imprenditore e riempivo quei silenzi con altra tecnologia, con nuove idee, con visioni tecnologiche di un futuro che, poi, non era così lontano.

Alcuni ci chiamavano l’AI-team, scimmiottandoci un po’, ma alla fine come per l’A-team, ci chiamavano quando la situazione era disperata e ci voleva una capacità di innovare i processi con un approccio tecnologico all’avanguardia.

Luca Sambucci. Ora vediamo AI dappertutto. Che sensazione ha, da pioniere del campo, osservare come tutti oggi salgono sul carro dell’intelligenza artificiale?

Ernesto Di Iorio. Da un lato mi fa piacere che finalmente l’AI non sia più solo nei laboratori di ricerca universitari e nei cinema, anche se come tutte le cose, c’è una distorsione enorme e anche chi ha semplicemente letto un paio di articoli su qualche blog si spaccia per consulente di AI, perché è la moda del momento.

Accompagnare le aziende nell’adozione di tecnologie di AI è un lavoro molto delicato e richiede competenze nell’analisi del business e dei processi aziendali e nelle tecnologie più idonee per le caratteristiche dell’azienda che si sta supportando.

Chi non ha competenze specifiche nel settore AI tende a promettere la luna e poi ci si scontra con la realtà dei fatti: i sistemi di intelligenza artificiale, in particolare i sistemi di machine learning, necessitano di grandi quantità dati (quanto più sono destrutturati e disorganizzati) per poter raggiungere performance interessanti in termini di accuratezza e quindi essere utili nel supportare i processi aziendali. Inoltre, è necessario identificare approcci metodologici adeguati per integrare tali tecnologie nei processi in maniera da non stravolgere il modo di lavorare dell’azienda, catturando dati di qualità, indispensabili all’addestramento continuo delle macchine, dalle attività quotidiane che già normalmente si fanno.

Spesso l’approccio è quello di rifare tutto da capo e con alta probabilità, dopo mesi e mesi di lavoro, ci si ritrova a raccogliere i cocci di una esperienza costosa e devastante.

Piero Poccianti, presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AixIA), durante l’AIForum dell’anno scorso (uno dei principali eventi italiani in ambito AI, di cui QuestIT è main sponsor da ormai tre anni), ha lanciato una metafora eccezionale.

Il miglior modo di adottare l’AI in azienda è simile a quando si fa il bagno. Si immerge prima un dito per sentire la temperatura, se è accettabile, ci si immerge la mano, poi piano piano un piede, finché non ci si sente confidenti di immergersi completamente senza scottarsi“.

È ovvio che tutte queste prove debbano far parte di un piano e di una strategia aziendale ben definita sul medio-lungo periodo, ma bisogna fare i passi giusti per raggiungere il traguardo e non scottarsi.

E in questo processo il consulente che segue l’azienda deve avere le competenze giuste per guidare il cliente in un percorso progressivo che minimizzi l’impatto sull’organizzazione aziendale, comprendendo i limiti tecnologici dell’AI e il contesto in cui queste soluzioni devono essere applicate.

Insomma, mai fidarsi di chi spara percentuali di affidabilità, senza aver analizzato i processi e i dati presenti in azienda.

Luca Sambucci. Gli assistenti virtuali sono spesso il primo impatto consapevole di un utente con l’intelligenza artificiale. Questo conferisce a tale tipologia di software una responsabilità non indifferente, perché spesso le persone giudicano quanto è avanzata la ricerca sull’AI in base a quanto “intelligente” è l’assistente virtuale con cui dialogano. Ha mai sentito il “peso” di creare software che sono, a tutti gli effetti, il biglietto da visita dell’intera disciplina?

Ernesto Di Iorio. Si, gli assistenti virtuali sono il biglietto da visita dell’intera disciplina dell’AI. Lo confermano tutte le analisi di mercato. I progetti di AI più frequenti sono legati all’adozione di assistenti virtuali, nella maggior parte dei casi, in ambito customer care.

Ma ancora oggi se ne sottovaluta l’impatto. Le conversazioni uomo macchina raggiungeranno numeri impressionanti, tanto che, recenti ricerche di mercato, dicono che entro il 2023, il 70% delle conversazioni di customer care (tra aziende e clienti), avverrà mediante agenti conversazionali.

Gli utenti sono sempre più predisposti a servizi self-service (40% degli utenti, Studio condotto da: Harris Insights And Analytics), vogliono servizi disponibili 24/7 (sondaggio condotto da Arvato) e preferiscono mandare messaggi piuttosto che chiamare al telefono (63% degli utenti, Studio condotto da: Harris Insights And Analytics).

Insomma, la tecnologia sta cambiando e con essa le abitudini e le preferenze degli utenti.

Gli assistenti virtuali diventeranno dunque il primo punto di contatto con le aziende, e scaleranno verso degli operatori umani solo in caso di bisogno. Siamo dunque di fronte ad un cambio di paradigma. Fino a qualche anno fa le macchine supportavano gli operatori, oggi, e sempre di più nel prossimo futuro, gli operatori supporteranno le macchine nel contatto con i clienti.

Il motivo è semplice: l’uomo è una risorsa scarsa, di altissima qualità ma che non scala rapidamente all’aumentare del carico, anzi, tendenzialmente perde qualità quando sovraccaricato. La macchina scala all’infinito, può gestire contemporaneamente moltissimi utenti, lavora 24/7, ma ha una capacità di analisi e di risposta più limitata che però può migliorare nel tempo con l’intervento di un operatore umano.

Ma gli assistenti virtuali non sono solo legati al customer care e dunque al supporto clienti. Anche internamente all’azienda vengono sviluppati assistenti virtuali in grado di interagire con i dipendenti per supportarli nei compiti quotidiani, accedere più rapidamente ad informazioni strutturate (database) e non strutturate (documenti di progetto, e-mail, web etc.), aumentando la produttività e al tempo stesso “interiorizzando” preferenze, modalità di lavoro e best practices.

Insomma, gli assistenti virtuali sono la nuova interfaccia verso qualsiasi processo aziendale, interno ed esterno e dal quale si può partire rapidamente per comprendere le potenzialità che l’AI può dare alla propria azienda.

Luca Sambucci. Andiamo un po’ più sul tecnico, come sono costruiti i vostri assistenti virtuali? Su quale tecnologia si basano? Avete adottato anche voi l’architettura Transformer?

Ernesto Di Iorio. Le tecnologie alla base dei nostri Assistenti Virtuali sono molteplici, per questo sarà necessario partire per gradi. Gli assistenti virtuali vengono generati dal nostro ecosistema: Algho.

Algho è una “AI Conversation Platform” che integra tecnologie cognitive proprietarie e dei principali vendor internazionali, come Google, Microsoft, Amazon, IBM, per la creazione di assistenti virtuali empatici, in grado di interagire con gli utenti mediante l’elaborazione di frasi e parole in linguaggio naturale, di interpretare, generare e produrre gli aspetti verbali e non verbali della conversazione (movimenti e stati d’animo) al fine di supportare e ottimizzare i principali processi aziendali nella aree del customer care, del marketing e della gestione e analisi dei dati.

Algho analizza la richiesta dell’utente comprendendola attraverso tecnologie di “speech recognition, natural language process, semantic role labelling, emotion analysis, computer vision” e identifica le risposte più pertinenti presenti nella sua knowledge-base mediante un processo di “intent recognition” basato su tecniche di machine learning e di information retrieval.

Per quanto riguarda la creazione della knowledge-base, la sua manutenzione e il costante aggiornamento è dato da un processo di “reinforcement learning” guidato dalle conversazioni tra l’assistente virtuale e gli utenti.

Uno dei punti di forza dei nostri assistenti virtuali è senza dubbio la proattività: oltre a fornire informazioni relative a prodotti, servizi o dati, gli assistenti virtuali creati con Algho possono anche essere proattivi verso gli utenti assolvendo a compiti più specifici, come ad esempio prenotare un appuntamento, aprire un ticket di assistenza o verificare lo stato di spedizione di un ordine. Questo grazie ai conversational form, al motore di information extraction e al lavoro centrale dell’algoritmo di “word sense disambiguation”.

Infine, tra le caratteristiche madri dei nostri assistenti virtuali c’è la capacità di evolversi e aggiornarsi continuamente. Questo avviene attraverso le tecniche di machine learning che consentono al sistema di evolversi costantemente migliorando la conoscenza dell’assistente virtuale sulla base delle conversazioni sostenute. L’apprendimento automatizzato è di tipo supervisionato, ovvero necessita dell’approvazione e della supervisione del virtual assistant manager.