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I social network sono un bene o un male?

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Su 7,7 miliardi di persone nel mondo, 3,5 sono online. Le piattaforme di social media sono utilizzate globalmente da 1 persona su 3 e da oltre i 2/3 di tutti gli utenti di Internet. Facebook è attualmente la più grande piattaforma di social media esistente, con 2,4 miliardi di iscritti, pari al 30% della popolazione mondiale. Seguono YouTube, Whatsapp, Instagram e WeChat, con oltre un miliardo di utenti.

L’evoluzione in un ventennio di social

Alcuni grandi siti di social media esistono da più di dieci anni, come Facebook, YouTube e Reddit, ma altri sono molto più recenti: TikTok, ad esempio, è stato lanciato nel 2016 e in poco più di due anni ha raggiunto mezzo miliardo di utenti.

Anche se la storia dei social network inizia nel 1997 con il lancio del sito SixDegrees.com, la prima vera rete sociale, almeno per come oggi la intendiamo, risale al 2004, quando MySpace diviene il primo sito social con un milione di utenti attivi mensili. Due anni dopo, seppur per un breve periodo, riesce nell’impresa di superare Google come sito Web più visitato negli Stati Uniti. Attualmente, però, è sempre meno utilizzato: l’arrivo di Facebook, nel 2004, e di Twitter, nel 2006, ne hanno infatti segnato il declino.

E l’Italia?

Secondo il Global Digital Report 2019, condotto da We Are Social insieme ad Hootsuite, in Italia gli utenti di social media sono oltre 35 milioni. Nel corso del 2018, gli utenti attivi sulle reti sociali sono aumentati di 1 milione, con un incremento del 2,9%. Il 98% degli intervistati ha visitato almeno una volta nell’ultimo mese un social network o un servizio di messaggistica: le piattaforme più attive sono Youtube, Whatsapp e Facebook, seguite da Instagram, FB Messenger, Twitter, LinkedIn e Skype.

Nel nostro Paese, facendo riferimento ai dati Audiweb relativi al mese di giugno 2019, hanno navigato su internet 41,3 milioni di utenti, pari al 69,1% della popolazione dai 2 anni in su, di cui 35,6 milioni da smartphone, corrispondente al 79,6% della popolazione maggiorenne. In media, nel periodo di riferimento abbiamo trascorso su internet più di 4 ore al giorno: ma solo poco più del 25% degli over 65 è stato online, contro il 79,8% dei 18–24enni.

Social media sempre più a misura di giovani?

Nella maggior parte dei Paesi avanzati la percentuale di giovani che utilizza i social media supera il 90%. Difatti, alcuni social risultano molto più popolari tra gli adolescenti: una ricerca condotta negli Stati Uniti evidenzia come l’applicazione di messaggistica Snapchat, ad esempio, sia utilizzata dal 73% delle persone di età inferiore ai 25 anni, ma solo dal 3% di chi supera i 65 anni. In Italia, più del 70% dei giovani è iscritto a Facebook e usa abitualmente YouTube, contro circa il 20% degli anziani.

Sempre più diffuso il fenomeno del dating online: per la società di ricerche GlobalWebIndex, nel 2019 il 38% dei single, su oltre 11 mila intervistati, utilizza applicazioni o siti Web di incontri online; gli uomini rappresentano il 64% del totale e l’età media è di 26 anni. Tra i servizi di incontri più diffusi troviamo Tinder, con oltre 50 milioni di utenti nel mondo, Meetic e Match, tutti di proprietà della statunitense InterAcritiveCorp. Recentemente, anche Facebook ha deciso di lanciare un servizio di dating, grazie al quale si potrà facilmente cercare “l’anima gemella”.

Ma, come affermato da numerosi studi, soprattutto presso la popolazione giovanile i social media possono innescare un elevato rischio di dipendenza e di alterazioni del comportamento, con la potenziale comparsa di disturbi che vanno dall’insonnia alla depressione e all’ansia, aumentando nel contempo la possibilità di essere esposti a forme di cyberbullismo. In Italia, secondo un rapporto Agi-Censis, la maggior parte degli utenti internet è online poco prima di dormire e subito dopo la sveglia, il 22% ha la sensazione di essere dipendente da internet e l’11% vivrebbe con disagio una eventuale mancanza di connessione.

Il rispetto della privacy

Un grave quesito è poi quello riguardante il rispetto della privacy e della protezione dei dati personali. Accettando frettolosamente consensi sulla privacy, spesso le informazioni che inseriamo all’interno di social network e di siti web vengono raccolte, organizzate e rivendute al miglior offerente, nella maggior parte dei casi per poterci “offrire” una pubblicità mirata e basata sulle nostre esigenze.

Tuttavia, attraverso lo sfruttamento massiccio delle informazioni private, si può anche arrivare ad influenzare le nostre scelte personali, come dimostrato dal caso Cambridge Analytica, la società di consulenza britannica che ha raccolto i dati personali di 87 milioni di account Facebook e li ha usati per scopi di propaganda politica, come per la campagna elettorale di Donald Trump o per il referendum a favore della Brexit.

In Europa, a partire dal 25 maggio 2018, è applicato il regolamento noto come GDPR (General Data Protection Regulation), con il quale si impongono criteri rigorosi per il trattamento e la circolazione dei dati personali e si introduce il concetto di “diritto all’oblio”. Per le aziende inadempienti sono previste sanzioni che possono arrivare fino a 20 milioni di euro.

Le fake news

Persiste poi il problema delle fake news. Le notizie create per disinformare deliberatamente i lettori spesso possono essere un’attività molto redditizia: i clickbait, ad esempio, sono storie che, mediante l’utilizzo di titoli sensazionalistici, cercano di attirare il maggior numero possibile di visitatori online allo scopo di aumentare le rendite pubblicitarie. Una risposta a questo problema è il progetto europeo FANDANGO: nato da un consorzio con partner quali l’Università Politecnica di Madrid e l’ANSA, ha l’obiettivo di “addestrare” un’intelligenza artificiale che, mediante l’utilizzo di algoritmi, possa intercettare le false notizie prima che queste diventino virali.

‘Social’ e rivoluzione

I social media sono un utile strumento per l’attivismo politico. Hanno facilitato, infatti, la comunicazione e l’interazione tra i partecipanti delle più recenti proteste politiche: dal movimento di Occupy Wall Street a quello dei gilet gialli francesi, dalla primavera araba alle rivolte avvenute ad Hong Kong sino a quelle, ancora in corso, in Cile.

I governi illiberali, d’altronde, allo scopo di reprimere il dissenso, tentano in ogni modo di limitare o proibire l’uso dei social media, come recentemente avvenuto in Egitto, attraverso le interruzioni di Twitter, FB Messenger e Skype, o in Sudan, mediante la completa chiusura di Internet in risposta alle proteste dilagate in tutto il Paese e organizzate proprio tramite social network.

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