l'analisi

I social e la battaglia contro lo streaming

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Chi crede che i social network giochino in un altro campionato rispetto alle piattaforme di streaming si sbaglia a giudicare dall’ultimo report di Deloitte (2022 Digital media trends, 16th edition: Toward the metaverse).

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Netflix, Disney, Amazon si sfidano sul red carpet degli Oscar e dei Golden Globe, cercando di ottenere il plauso dei critici e di guadagnare il vantaggio competitivo della qualità riconosciuta sulla concorrenza; ma a nulla serve una statuetta in più – e miliardi di dollari di investimento – se un balletto di dieci secondi su TikTok diventa virale e attrae molti più spettatori di quando potrebbe fare qualsiasi film d’autore che non sia anche un blockbuster, possibilmente con i supereroi d’ordinanza.

Chi crede che i social network giochino in un altro campionato rispetto alle piattaforme di streaming si sbaglia: da quando l’user-generated content, cioè i contenuti creati direttamente dagli utenti, è diventato la prima fonte di interesse per un’intera generazione (e forse due), è proprio con il mondo degli influencer e dei creator che i colossi dei media digitali devono confrontarsi. E il risultato, a giudicare dall’ultimo report di Deloitte (2022 Digital media trends, 16th edition: Toward the metaverse), è tutt’altro che scontato.

La televisione? Una cosa per boomer

Parte della questione è il fatto che le generazioni più giovani, man mano che crescono, non abbandonano i loro passatempi preferiti, dai videogiochi ai social, per passare a forme di intrattenimento considerate forse a torto “più adulte”; anzi, le loro attività arrivano quasi a contagiare chi è più vecchio di loro. “Non si cresce più”, dicono gli scettici, per i quali la persistenza di questi modi di passare il tempo sono il sintomo di una società culturalmente in decadenza; “la qualità dei contenuti è in costante miglioramento”, dicono gli altri, che vedono invece in atto una vera rivoluzione dal basso, dove chiunque, con un po’ di inventiva e di intraprendenza, può sfondare senza avere dietro studi e produzioni milionarie. Secondo lo studio di Deloitte, infatti, per quanto guardare la televisione a casa rimanga l’attività di intrattenimento audiovisivo preferita, questo vale soprattutto per le generazioni più vecchie, visto che la maggioranza degli intervistati appartenenti alla Gen Z, in tutte e cinque le nazioni, hanno scelto invece i videogame. Ma, come si è detto tante volte, non è un trend destinato a scomparire con l’età, visto che l’attività videoludica è comunque al secondo posto sia per i millennial del Regno Unito (dietro televisione e film) sia per quelli del Giappone (dopo la navigazione in Internet).

L’informazione via social è su misura

Come rileva il report, la differenza fondamentale tra l’entertainment televisivo, che si tratti di streaming o di tv tradizionale, e i social network, non è solo a livello di contenuti, ma soprattutto della forma con cui questi contenuti vengono proposti. Si tratta di informazioni a “bocconi”, altamente personalizzabili, declinate secondo l’algoritmo (senza che sia quindi più necessario “inseguire” i contenuti, che vengono direttamente serviti all’utente) e adatte anche a un consumo residuale, cioè non come attività principale ma come modo per ammazzare la noia anche quando si hanno pochi minuti a disposizione. Secondo lo studio, negli Stati Uniti l’80% degli intervistati controlla i social almeno una volta al giorno e il 59% più volte al giorno. E non va dimenticato, soprattutto in un momento storico in cui la recessione incombe, che i social sono del tutto gratuiti, o perlomeno richiedono soltanto la paziente sopportazione di un po’ di pubblicità – non a caso, proprio la formula che i servizi di streaming stanno cercando di copiare con i tier a prezzo ribassato (su SOStariffe.it si possono sempre mettere a confronto le varie offerte del momento per individuare la più adatta alle proprie esigenze).

Inseguire il contenuto ed essere inseguiti dal contenuto

Ma quali sono le attività più gettonate sui social? Le differenze tra nazione e nazione qui sono particolarmente evidenti, e dicono molto sia delle abitudini di un popolo, sia di come i colossi del digitale plasmino i loro servizi per venire incontro ai desideri di più utenti possibili. Per esempio, solo il 27% utilizza i social network per aggiornarsi con le notizie, contro il 52% dei giapponesi; in Germania, sui social solo il 16% guarda show o film, poco più di un terzo degli utenti brasiliani (36%). Al centro di tutto stanno comunque i contenuti generati dagli utenti, che siano influencer di vario genere, youtuber, tiktoker o altro ancora: metà degli intervistati negli Stati Uniti sostengono di guardare più contenuti di questo tipo rispetto a sei mesi fa, e ancora la metà sostiene che in questo modo finisce con l’investire costantemente più tempo di quanto preventivato, una percentuale che sale al 70% con la generazione Z.

Il nocciolo del successo dell’algoritmo sta proprio qui: un contenuto che insegue, invece di essere inseguito dall’utente, molto più potente dei blandi “se hai visto questo programma, ti potrebbe interessare quest’altro» delle piattaforme di streaming: consigli spesso insensati, superflui, o comunque relativi a un catalogo che, a prescindere dall’ampiezza (sempre minore, considerata la frammentazione di una scena che tende a smembrare l’avversario per prendere le sue esclusive, più che produrne di nuove), non può rivaleggiare con le migliaia di ore di contenuti che vengono generate dagli utenti. Così, il 60% di chi appartiene alla generazione Z o è un millennial dichiara, negli USA, di dedicare più tempo ai contenuti creati dagli utenti che con film e serie.

Un algoritmo davvero efficace

È chiaro che i sacerdoti di questo passaggio dall’intrattenimento classico a quello dei creator siano gli influencer, figure polarizzanti ma comunque capaci di attirare milioni di follower devoti; il 70% degli intervistati da Deloitte negli Stati Uniti ammette di seguire almeno un influencer, e un terzo sostiene che queste celebrità online influenzino le proprie abitudini di acquisto. Anche in questo caso la percentuale sale (fino a più del 50%) quando si parla di Generazione Z e di millennial. La questione, va da sé, non è solo a stelle e strisce: la percentuale degli utenti che seguono un influencer in Brasile è addirittura dell’88%, e in Giappone del 79%. E dal 40% al 72%, a seconda del Paese, dichiara di aver visto sui social media la pubblicità di prodotti che avevano già cercato sui motori di ricerca (e una buona parte di questi finisce per comprare proprio partendo da queste piattaforme). L’algoritmo dello streaming ha molto da imparare, se vuole rimanere al passo.