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I leader del G20 evitano Mohammad bin Salman, come dargli torto?

Il Principe Reale saudita, Mohammad bin Salman—preferisce la sigla modaiola MbS – è riuscito a infilarsi nella tradizionale foto di gruppo che ha concluso il recente vertice G20 di Buenos Aires.

A salutare con ostentato calore e “high five” c’è stato solo il collega russo Vladimir Putin. Gli altri facevano a gara per non farsi riprendere vicino a lui. Perfino Donald Trump, che lo aveva tiepidamente difeso, aveva troppo da fare laggiù per poterlo incontrare privatamente.

Però la foto c’è, e il Governo saudita ne sta facendo un grande uso in Patria nel difficile tentativo di dimostrare che tutto va bene, che il piccolo faux pas con quel giornalista comesichiama assassinato è già stato perdonato e dimenticato. Invece non va bene niente.

Il macabro omicidio di Jamal Ahmad Khashoggi da parte di agenti del Governo di Riad nel Consolato di Istanbul è ancora troppo fresco ed è stato portato troppo vicino al trono saudita perché “MbS” possa andare allegramente in società.

Quando il Principe ha sorvolato il Marocco—un alleato saudita—sulla via di ritorno dall’Argentina, la stampa marocchina si è complimentata con il Re, Muhammad VI, per avere evitato di incontrarlo.

L’influente Senatore americano, Lindsay Graham (Repubblicano), in questi giorni lo ha definito “un pazzo” e una “wrecking ball”, una “palla da demolizione” di quelle che servono per abbattere i palazzi. Il problema non è solo morale, per quanto far strangolare e poi sezionare le persone non sia considerato il massimo del bon ton.

Gli Stati a volte uccidono gli oppositori—un fenomeno che evidentemente fa parte di quel “monopolio della violenza” di cui parlava Max Weber. La vera difficoltà è che il crimine è stato compiuto in maniera spettacolarmente stupida. Mandi quindici uomini, quindici agenti stranieri, a Istanbul, e nessuno deve farci caso? Non danno nell’occhio? Fai ammazzare uno all’interno di una sede diplomatica, ipermonitorata per definizione? Con la fidanzata fuori che lo attende?

Con le telecamere di sorveglianza che mostrano chiaramente che, mentre è entrato, non è uscito—almeno intero? Poi gli agenti chiamano casa per vantarsene? Allora quel Principe—perché non ci sono dubbi seri sulla responsabilità—non è solo sanguinario, è anche fesso. MbS non è un interlocutore affidabile. Lo storico rapporto saudita con gli Usa—dura da 75 anni—è ora seriamente a rischio. Il succitato Senatore Graham è dello stesso partito di Donald Trump. I Democratici sono ancora più inferociti.

Questo quando, dopo tre quarti di un secolo, gli americani hanno meno bisogno dei sauditi che i sauditi di loro. Nei prossimi giorni il Comitato Affari Esteri del Senato Usa dovrebbe riunirsi proprio per discutere del sostegno americano alla guerra saudita nello Yemen. In settimana, dopo un briefing confidenziale della CIA sull’affare Khashoggi, il Presidente del Comitato, il Senatore Bob Corker, ha detto alla CNN: “Se lui (MbS) fosse davanti a una giuria lo condannerebbero in circa trenta minuti”.

L’Arabia Saudita è forte di petrolio, ma non di eserciti. Combatte dal 2015 in uno dei più miseri paesi del mondo—lo Yemen—senza riuscire a imporsi. La guerra yemenita doveva essere il capolavoro trionfale di MbS. Se gli alleati dovessero sottrarsi, finisce male la guerra—e ormai finisce male anche lui. Forse con maggiore eleganza però. Una bella caduta da cammello.

*Nota Diplomatica ‘MbS a BA di James Hansen

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