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I data center finlandesi stanno riscaldando le città

Nel sud della Finlandia, i data center stanno assumendo un ruolo inaspettato: fornire calore alle abitazioni. Grazie a sistemi avanzati di recupero del calore, l’energia termica generata dall’elaborazione dei dati viene canalizzata verso le reti di teleriscaldamento, riducendo sia le emissioni di carbonio sia i costi energetici per i cittadini.

A Mantsala, ad esempio, un centro dati ha coperto fino al 66% del fabbisogno termico della cittadina. Progetti simili sono in corso a Espoo, dove un nuovo polo Microsoft fornirà calore a 100.000 case, contribuendo alla dismissione di centrali a carbone.

Questa soluzione si adatta perfettamente al contesto nordico: clima rigido, bassi prezzi dell’elettricità e una vasta rete di teleriscaldamento. Tuttavia, la sostenibilità non è garantita. Il consumo elettrico dei data center è destinato a raddoppiare entro il 2030 e, in alcuni casi, questi impianti competono con le fabbriche per l’accesso all’energia.

Le critiche si concentrano su tre fronti: la scarsità di occupazione generata, l’elevata domanda elettrica e le localizzazioni isolate, lontane dalle aree urbane che potrebbero beneficiare del calore prodotto.

La normativa europea sta rispondendo con requisiti minimi di efficienza e obblighi di trasparenza. In Germania, ad esempio, dal 2026 i data center dovranno riutilizzare almeno il 10% del calore prodotto.

In Finlandia, mentre alcuni progetti vengono elogiati per la loro innovazione, altri ricevono valutazioni ambientali più negative per la mancata integrazione con il teleriscaldamento.

Il modello finlandese rappresenta un laboratorio avanzato per la decarbonizzazione attraverso il recupero termico dai data center, ma resta una soluzione parziale.

Come affermato da esperti ambientali locali, questi impianti ‘non fanno bene al clima’, ma possono quantomeno limitare i danni.

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Apple vuole collegare i pensieri al controllo dell’iPhone

Apple sta esplorando l’integrazione delle interfacce cervello-computer (BCI) nei propri dispositivi, con l’obiettivo di rendere accessibili strumenti come iPhone e Vision Pro a persone affette da gravi disabilità motorie, come la SLA.

Il progetto, sviluppato in collaborazione con la startup australiana Synchron, prevede l’uso di impianti cerebrali che rilevano segnali elettrici generati dal pensiero del movimento, i quali vengono poi tradotti in comandi digitali attraverso il sistema Switch Control di Apple.

Questo permetterebbe agli utenti di interagire con i dispositivi semplicemente pensando. Anche se attualmente la tecnologia è ancora lenta rispetto ai comandi tattili, l’aspetto rivoluzionario risiede nella possibilità di restituire indipendenza comunicativa a chi, altrimenti, ne sarebbe escluso.

Un ulteriore potenziale emerge combinando i BCI con la funzione Personal Voice di Apple, che consente di creare una voce sintetica modellata su quella reale dell’utente. Con l’interfaccia neurale, un individuo potrebbe ‘pensare’ le proprie parole e farle pronunciare dalla voce artificiale, offrendo un’esperienza più umana e personale rispetto alle voci robotiche del passato.

Questa convergenza tra AI e neurotecnologia non si limita alla mera interazione con dispositivi elettronici: rappresenta un salto qualitativo nella reintegrazione sociale e nella comunicazione personale di chi vive con condizioni gravi.

Apple punta quindi non solo a migliorare l’accessibilità, ma anche a rafforzare l’identità digitale e l’autonomia degli utenti, portando la tecnologia a livelli di empatia e inclusività finora inesplorati.

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