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Guerra e disinformazione: il tempo dell’auto-critica

Sono tempi bui, anche per l’espressione d’idee. La guerra in Ucraina ci sta drammaticamente buttando dentro a una disinformazione dilagante, in parte tipica della guerra e in buona parte amplificata e incattivita dall’ambiente digitale, che non ci fa comprendere ciò che accade sul campo. Sappiamo, e va ripetuto fino alla noia, che c’è un aggressore e che c’è un aggredito ma non riusciamo, almeno chi scrive, a entrare dentro le dinamiche per poter elaborare analisi pertinenti. 


Eppure non può sfuggire agli intellettuali che sia venuto il tempo di una “larga” auto-critica. Abbiamo passato anni, dalla caduta del muro di Berlino, a esasperare reciproche posizioni, a cristallizzare rapporti di potenza. a spingere su un competizione (non solo economica) che non guardava nel profondo della condizione dei popoli. 


Perché ci possa essere pensiero critico, occorre anzitutto che vi sia auto-critica. Se dalla crisi ucraina si uscirà, leggendo tra le righe, con un compromesso che soddisfi il più possibile entrambe le parti, il mondo non potrà proseguire la sua marcia com’è accaduto finora. Tante sono le compromissioni sistemiche che, a voler essere realisti, condizionano pesantemente le reciproche posizioni; se ciò che stanno facendo Vladimir Putin e il suo gruppo di potere è solo condannabile e se il popolo ucraino va aiutato con tutti i mezzi a resistere, gli Occidenti non possono ergersi a giudici morali. Lo dico con chiarezza. 


Se ci fosse un equo tribunale della Storia, la difficoltà più grande sarebbe trovare giudici adeguati. Qui non si teorizza la purezza, il che sarebbe da Stato etico, ma la forza e la capacità di leggere la Storia, di guardarsi allo specchio e di cambiare via. Non ascolto la propaganda ma cerco di guardare negli occhi la realtà dei civili ucraini morti, feriti, dei rifugiati, delle famiglie divise. A loro dobbiamo, e a tutte le vittime della Storia in giro per il mondo, la nostra auto-critica. 


Eppure non se ne vede traccia. Ben comprendo che, in una situazione come l’attuale, ciascuno cerchi di proteggere i propri interessi perché, nell’interrelazione planetaria, nulla ci è estraneo. La dura legge del mercato (parola da ridiscutere per come viene utilizzata al giorno d’oggi) non perdona eppure, in un tempo non lungo, saremo chiamati ad adottare un’altra logica strategica e sistemica: dovrebbe essere chiaro a tutto che l’attuale assetto del pianeta non è più sostenibile. 


Se le democrazie vogliono davvero distinguersi e riguadagnare una “nuova innocenza“, rubo questa magnifica espressione a Raimon Panikkar, è bene che non si ritrovano più in Summit che servono solo ad auto-giustificarsi ma che diano l’esempio: se vogliamo essere società aperte dobbiamo essere società auto-critiche. 

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