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Gli Emmy e la guerra dello streaming tv. Lo strapotere di HBO MAX

Non ci fossero assai più drammatici scenari bellici ad azzerare la nostra propensione a utilizzare metafore di guerra, sarebbe perfino divertente – s’intende: a patto di non esserne parte in causa – seguire l’andamento delle streaming wars, il conflitto che si trascina da anni tra le piattaforme che producono e distribuiscono contenuti video. Se non altro, qui lo spettatore ne esce (o dovrebbe uscirne) sempre vincitore, magari non con qualche capolavori rarissimo televisivo ma, almeno, con una certa varietà di contenuti.

In questo campo, gli appuntamenti dove si tirano le somme non sono soltanto i resoconti trimestrali delle aziende; su tutti gli ultimi due di Netflix, che, abbastanza disastrosi, hanno certificato, se non la fine, almeno un’ennesima fase di riflessione per un dominio già traballante. Ma c’è soprattutto la stagione dei premi, e non ci sono premi nel settore più arcinoti perfino a noi dall’altra parte dell’oceano degli Emmy assegnati pochi giorni fa. Se ci si limita a un brutale conteggio, c’è solo una lettura possibile: HBO, con HBO Max, ha disintegrato la concorrenza, con 12 Primetime award, contro i 4 di Apple TV, i 3 di Netflix, i 2 di Hulu e il premio singolo di Prime Video e NBC. Disney+ – non proprio un’azienda irrilevante, né che non investe a sufficienza nei suoi prodotti audiovisivi – è rimasta a bocca asciutta. Anche se si contano i Creative Arts award, i premi “tecnici” assegnati la settimana precedenti, HBO e HBO Max rimangono saldamente in cima alla classifica, con 26 premi totali (Netflix è a 23, Hulu a 6, Apple Tv+ a 3, NBC a 6, Disney+ a 6 e Prime Video a 5).

I successi della ricetta di HBO Max

Se state sospettando di esservi fatti sfuggire una piattaforma streaming tra le tante a cui siete abbonati (a proposito, su SOSTariffe.it trovate le offerte più convenienti per non spendere più del necessario con la tv streaming), niente paura: HBO Max in Italia non c’è, né ci sarà fino al 2025. Se infatti gli abitanti di Slovenia, Montenegro, Portogallo o Moldavia, per fare un esempio, insieme a quelli di altri 57 Paesi, hanno un’altra possibilità per incrementare il proprio monte abbonamenti mensili, da noi gli accordi tra WarnerMedia e Comcast impediscono lo sbarco di HBO Max, e i contenuti vengono distribuiti da Sky (sui canali Sky Atlantic e i vari Sky Cinema, oltre allo streaming online di NOW TV). Negli USA invece HBO è una potenza, e lo ha dimostrato portandosi a casa non solo il maggior numero di Emmy, ma i più importanti; in particolare il più prestigioso di tutti, quello per la miglior serie drammatica, che per il secondo anno consecutivo è andato a Succession. Ma se il prestige drama(o family drama, o black comedy-drama, o dramedy: è creatura di difficile definizione, per la sua capacità di passare dal shakespeariano al quasi demenziale nel giro di un minuto) firmato da Jesse Armstrong è ormai un vincitore quasi scontato per la qualità di scrittura, regia e recitazione (non a caso si è portata a casa anche i premi per il miglior attore non protagonista, Matthew Macfadyen, la migliore sceneggiatura e il miglior casting), è stata forse più sorprendente la performance di un altro prodotto HBO, The White Lotus, miniserie da 6 episodi che ha avuto un successo tale da far annunciare subito una seconda stagione, non più ambientata alle Hawaii ma in Sicilia. The White Lotus ha superato perfino Succession come numero di premi vinti: ben cinque nell’ambito delle miniserie, con i migliori attori non protagonisti femminile e maschile (Jennifer Coolidge e Murray Bartlett) oltre miglior miniserie, migliore sceneggiatura e migliore regia.

E Netflix? Aveva soprattutto un asso nella manica, ossia Squid Game, che ha comunque visto la vittoria come miglior attore di Lee Jung-jae (Zendaya, protagonista di Euphoria, altro prodotto HBO, ha vinto quello come miglior attrice) e il premio per la regia drammatica. Stranger Things, che aveva fatto molto bene nei premi tecnici, non si è invece portata a casa alcun premio nei Primetime. Sul fronte della commedia, sorride invece Apple TV+: un’altra vecchia conoscenza degli Emmy, Ted Lasso, ha vinto quattro premi prestigiosi, tra cui miglior serie, miglior regia, miglior attore protagonista (Jason Sudeikis) e non protagonista (Brett Goldstein).

Chi vince tra qualità o quantità?

La domanda, a questo punto, è: c’è un legame tra i risultati degli Emmy e lo stato di salute delle piattaforme? La ricetta di HBO è sempre stata chiara: a partire dalla madre di tutte le serie moderne, i Soprano, tanta qualità, tanta scrittura, pochi effetti speciali, tutte cose che poi agli Emmy pagano, ma senza disdegnare anche produzioni più “di massa” (come House of the Dragon). Si può obiettare che i premi della critica abbiano un valore relativo, se poi una serie fa comunque il pieno di spettatori; ma non è un segreto che la base di abbonati a Netflix sia in declino costante, ed è difficile non vedere un nesso tra le due cose, soprattutto perché è stato proprio il colosso dello streaming a cercare a tutti i costi, in questi anni, il consenso della critica (basta ricordarsi di Roma di Alfonso Cuarón, vincitore dell’Oscar per il miglior film straniero nel 2018). Allo stesso tempo, l’esempio di Disney+ sembra andare in controtendenza: pochi premi (solo 30 nomination quest’anno, erano state 71 l’anno scorso) ma tanti abbonati, e non a caso qualche settimana fa c’è stato il sorpasso (contestato: secondo gli sconfitti, Disney conta gli abbonamenti a pacchetto come se fossero abbonamenti singoli) su Netflix, 221,1 milioni contro 220,7 milioni. Disney+ però può contare su due franchise di assoluto richiamo come Star Wars (ha appena esordito Andor e per ora le recensioni sono ottime, così com’erano state per Rogue one, il film di cui i dodici episodi sono il prequel) e il Marvel Cinematic Universe. Faranno storcere il naso a qualcuno, ma sono una garanzia di successo.

Si vedrà l’anno prossimo con Rings of Power su Prime Video, la più costosa serie di sempre per distacco, fortemente voluta da Jeff Bezos in persona; è probabile che il fondatore di Amazon sogni di bissare, per il piccolo schermo, il risultato della trilogia del Signore degli anelliagli Oscar una ventina d’anni fa, quando i tre film raccolsero 30 nomination e 17 vittorie. Servirà anche il plauso della critica?

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