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Giulia Bongiorno, “Per digitalizzare la PA servono competenze, semplificazione e un Ministro ad hoc”

Quasi tre milioni di contribuenti nel 2018 hanno inviato via email la dichiarazione dei redditi precompilata e, nel 2017, la nota rottamazione delle cartelle esattoriali che ha riguardato 950 mila richieste, si è svolta in gran parte sul nuovo sito web dell’Agenzia delle Entrate.

Nello stesso tempo, però, il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa per interazione digitale e Pubblica Amministrazione (PA): nel 2018, solo il 24% degli italiani ha avuto modo di interagire con gli uffici della PA per via telematica, contro, ad esempio, il 92% dei danesi e il 71% dei francesi.

Questi sono alcuni dei dati illustrati oggi a Napoli in occasione dei Digital Days, “I campioni della trasformazione digitale del Paese”, e contenuti nel nuovo Rapporto Agi-Censis.

Ad aprire l’appuntamento organizzato da Agi Agenzia Italia, in collaborazione con la Regione Campania e l’Università di Napoli Federico II e con il patrocinio di AgID, è stato il Ministro per la Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, secondo cui la PA italiana soffre di troppe barriere all’innovazione e di troppe limitazioni anche al ricambio generazionale, che consentirebbe ai più giovani di entrare nelle amministrazioni pubbliche locali e in quella centrale:
Negli anni passati si è sempre detto che la trasformazione digitale era già avvenuta e che praticamente dovevamo soltanto esultare. Invece io mi sono insediata da 10 mesi e posso dire che siamo all’anno zero“.

“Nell’amministrazione pubblica si deve poter entrare anche con un corso universitario, in esito al quale ci sarà poi un concorso. In tal modo possiamo abbreviare i tempi di accesso nella Pubblica Amministrazione. La digitalizzazione corre e la PA resiste, la vera scommessa è vedere chi prevarrà. Spero che possa prevalere la digitalizzazione, ma solo ad alcune condizioni”, ha dichiarato il Ministro.

Tre le condizioni di base individuate da Bongiorno per la trasformazione digitale della PA, la prima: “abbiamo dirigenti di oltre 50 anni, non sono nativi digitali, quindi serve formazione, serve una trasformazione digitale che sappia includere”.
La seconda condizione è legata invece al concetto di semplificazione: “se introduciamo la digitalizzazione tutto deve essere più veloce, non può essere peggio di prima e questo significa che o gli uffici capiscono che la digitalizzazione deve essere preceduta della semplificazione, o altrimenti avremo nostalgia del cartaceo e dei tempi passati”.
Ultima condizione, infine, è l’eliminazione di tutte le resistenze interne: “dobbiamo snellire i procedimenti e fare in modo che non ci siano resistenze all’innovazione nella Pubblica Amministrazione, cercando allo stesso tempo di evitare la frammentarietà e pensare alla figura di un Ministro della digitalizzazione, che abbia tutti i poteri necessari per far correre la trasformazione digitale della PA”.

Il Censis, comunque, ci consegna un’immagine della PA molto meno negativa in termini di relazione con il pubblico: diminuisce la quota di coloro che sono convinti che la PA funzioni male, che passano dal 52,1% al 50,8%; aumenta al contempo la quota di coloro che si orientano su un giudizio tutto sommato positivo, dal 24,3% al 33,2%; molto bene solo il 3,1%.

Proprio riguardo la semplificazione, il 73,2% degli italiani si attendevano qualcosa di meglio in questo senso, mentre un 30,8% ha registrato un reale vantaggio.

In termini di trasformazione digitale, però, il quadro cambia e circa un italiano su cinque è insoddisfatto di questa prima fase di cambiamento, la stragrande maggioranza, invece, ritiene che il processo di trasformazione digitale sia troppo limitato sia in termini di diffusione, sia di incisività nei processi interni.

Gli sforzi fatti sono di fatto ritenuti del tutto insufficienti per l’8,1% della popolazione. Per il 15% circa dei cittadini i cambiamenti avvenuti sono persino fonte di ulteriori difficoltà complicando ulteriormente la vita di chi si trova a richiedere questi servizi.

Giudizi che complessivamente si mostrano non positivi, ma che il Rapporto riconduce anche alla limitata conoscenza dei processi in questione da parte dei cittadini: solo il 9,2% afferma di saper bene di cosa si tratta, il 53,4% non ne sa molto o niente.

C’è poi un 37,4% di cittadini, che pur dichiarandosi sufficientemente informato, rileva nella persistente difficoltà di accesso o di utilizzo dei servizi digitali il vero problema che finisce per annullare i lati positivi di un’offerta non più vincolata a sportelli e file infinite.

Se poi il rapporto tra PA, digitale e cittadini non è dei migliori in Italia, ci sono anche altre motivazioni altrettanto valide: l’arretratezza culturale delle famiglie italiane, la mancanza di una connessione internet adeguata, il rifiuto culturale del digitale a favore dell’analogico (il 32,2% degli italiani non si connette mai alla rete e non la usa), a cui va aggiunta la mancanza di competenze digitali reali

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