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Genitori e Selfie, attenzione al pubblico

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Se i genitori sono occupati a fare il Selfie per condividerlo in rete, mostrando a tutti quanto stanno facendo e perdendo di vista ciò che si sta facendo soprattutto se il fare è affettivo, si getteranno le basi di un fare compulsivo che brama riconoscimento pubblico come asse portante del sé, con le problematiche psicologiche che ciò comporta.

Il fermare l’attimo, soprattutto in vacanza, per suggellare ricordi di paesaggi, di luoghi, di monumenti, che possano colorare di vivida intensità i toni grigi dell’inverno, è sempre stato un atto consueto da quando abbiamo avuto la possibilità di fotografare gli scenari esterni ma anche noi stessi, i nostri figli, per conservare ricordi di quei momenti M (Stern, 1985) che entreranno nel mondo interno delle nostre rappresentazioni mentali.

Con l’avanzamento del progresso tecnologico lo zoom si è sempre più ristretto sull’immagine personale di un sé, su un autoscatto, che si muove nel mondo, e che nella frenetica ricerca di immagini da diffondere in rete e non più da conservare, sposta l’asse della propria identità in una visibilità esterna piuttosto che una sedimentazione interna di stati del sé.

Moltiplicazione di scatti, alla ricerca dell’esigenza di lasciare impronte nel marasma digitale con l’intento, spesso inconsapevole, di uscire fuori dallo schermo ed essere riconosciuto ed identificato nella composizione di quei frammenti di sé depositati nel gigantesco puzzle digitale. Di nuovo delega allo schermo dell’esigenza dell’individuo di essere, visto, riconosciuto, contenuto e compreso nei suoi aspetti affettivi vitali. Traiettoria naturale e evolutivamente tracciata nell’incontro dello sguardo del bambino con il genitore che lo riconosce, lo rispecchia e struttura il suo sé.

Non ci sorprende allora che, la condivisione di me e di momenti di me nel web, sia così importante per tanti adolescenti, che nel rispecchiamento digitale ricercano quello sguardo condiviso di approvazione e riconoscimento che stentano a ritrovare nel loro stesso sguardo e in quello dei loro genitori. Nel Selfie il fermare l’attimo per suggellare un ricordo o un’immagine nei tanti album digitali è alimentato da una parte, da una ricerca di un investimento narcisistico sul Sé che può essere fisiologico e naturale per gli adolescenti alle prese con lo sviluppo della propria identità reale e digitale allo stesso tempo, ma che assume toni preoccupanti nel momento in cui si bypassa il bisogno istintivo di proteggere e monitorare la prole per ricercare una condivisione iconica e un plauso condiviso di like. L’unica fotografia di sé stesso di cui ha bisogno il bambino è quella ritrovata nella mente dei genitori “motivata da credenze, sentimenti e intenzioni” (Fonagy, Target, 2003, trad.it. 2005, pag. 346). Il processo della mentalizzazione, ovvero dell’incontro tra menti per lo sviluppo della capacità di leggere stati mentali propri ed altrui, e di saperli regolare emotivamente è alla base dello sviluppo del Sé in termini di adeguatezza e rischio. Se in questo itinerario di acquisizione evolutiva inseriamo l’interferenza dello schermo, la capacità di lettura della mente del bambino potrebbe essere inficiata da comportamenti poco sintonici che potrebbero alterare il normale processo di distinzione tra fantasia e realtà, tra riconoscimento mentale e impronta superficiale.

Asse di riconoscimento del sé proiettato all’esterno in una globalizzazione totale, in cui frammenti di sé faticano a ricompattarsi se non si è sviluppato un asse interno solido nelle relazionali con le figure affettive primarie. Gli esiti nel digitale arriveranno dopo nella fedele trasposizione dei circuiti cerebrali che conservano nell’archivio della memoria a lungo termine quanto e come inserito. L’estremizzazione del Pubblico quindi Sono, che assume toni di rimprovero e critica da parte degli adulti nei confronti dei selfie anche estremi di tanti adolescenti, ha la sua base costitutiva nell’infanzia, e nel rispetto del bambino di essere tenuto nella mente del genitore prima di essere diffuso in un ambiente che non ha ancora sperimentato e che non conosce.

Se i genitori sono occupati a fare il Selfie per condividerlo in rete, mostrando a tutti quanto stanno facendo e perdendo di vista ciò che si sta facendo soprattutto se il fare è affettivo, si getteranno le basi di un fare compulsivo che brama riconoscimento pubblico come asse portante del sé, con le problematiche psicologiche che ciò comporta.

Nel momento in cui condividiamo in rete immagini di nostro figlio che dorme, dell’allattamento, dei primi passi priviamo il bambino del suo bisogno istintivo di essere protetto, rassicurato ma soprattutto di essere rispecchiato negli occhi dei genitori primo Selfie istintivo e naturale di una vera e fruttuosa condivisione affettiva. Nel film Inside Out l’emozione primaria di Ryle la Gioia viene letta e amplificata dai genitori nella loro focalizzazione attenta del volto della bambina e nell’amplificazione all’unisono: “è proprio un fagottino di gioia”. Se deleghiamo la rete a riconoscere il bambino o la nostra vita, i nostri momenti intimi e la nostra quotidianità fissandoli in immagini da condividere senza viverle appieno, allora si corre il rischio rincorrere la linea patologica del PUBBLICO quindi SONO per poi di scontrarci sulla lama sottile del confronto con la realtà che può portarci dell’isolamento o alla ricerca narcisistica dell’approvazione degli altri che nel momento in cui viene a mancare porta ad una frantumazione del Sé.

Se questo può essere giustificato per gli adolescenti, la cui trasformazione da “bruco a farfalla” conosce momenti di vacillamento e confusione, gli adulti non possono regredire a forme adolescenziali cavalcando l’onda della diffusione di una comunicazione iconica priva dell’ancoraggio alla dimensione umana e affettiva che orienta il benessere psicologico proprio ed altrui.

Iniziamo a proteggere quindi il “germe vitale” del bambino e non lo esponiamo precocemente ai rischi digitali partendo in primis dall’esempio che diamo orientandoci verso la conquista di una consapevolezza digitale che alcune volte, ancora oggi, viene drammaticamente a mancare.

Asse portante del sé sull’altro-con l’altro e non del sé alla ricerca del plauso mediatico che ha poco senso ed è nocivo in termini di sviluppo, soprattutto nella prima infanzia.

Bibliografia

Fonagy, P., Target, M. [2003], Psychoanalytic Theories. Perspective from Developmental Psychopatology, tr.it., Psicopatologia evolutiva. Le teorie psicoanalitiche, Raffaello Cortina; Milano.

Stern, D., [1985], The interpersonal world of the infant, New York, Basic; trad. it. Il mondo interperso- nale del bambino, Torino, Bollati Boringhieri, 1987.