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Fusione del permafrost: a rischio il 70% delle infrastrutture dei Paesi artici entro il 2050

Gli studi sulla fusione del permafrost artico

Una delle conseguenze dirette dei cambiamenti climatici ed in particolare del surriscaldamento globale è la fusione del permafrost artico. Che sta aumentando di velocità, di ampiezza e che va sempre più in profondità.

Un fenomeno che si sta osservando da anni e che riguarda la parte superiore del terreno, un tempo perennemente congelata (il permafrost appunto), ora in via di rapida fusione a causa dell’innalzamento globale delle temperature medie.

Sull’ultimo numero di Nature Reviews Earth & Enviroment, sono stati pubblicati diversi studi firmati da vari gruppi di ricerca internazionali, tra cui l’Istituto di Tecnologia della California e le università di Oulu in Finlandia e Wageningen nei Paesi Bassi.

Infrastrutture a rischio di Russia, Canada e USA

I risultati sono praticamente simili e tutti allarmanti: nei Paesi artici, in particolare la Russia, il Canada e gli Stati Uniti (nello specifico, l’Alaska), c’è il rischio concreto di veder danneggiato tra il 30 ed il 70% di tutte le principali infrastrutture regionali.

Strade, rete elettrica, gasdotti, rete idrica e fognaria, ma anche abitazioni, siti industriali e distretti minerari, queste le voci individuate come a rischio maggiore di distruzione e/o danneggiamento grave.

Quando il permafrost si scioglie, il terreno sprofonda, portandosi giù tutto quello che vi si trova sopra, dalle case alla rete idrica, passando per le strade.

Un esempio pratico è l’incidente avvenuto lo scorso anno in Siberia, a Norilsk, dove lo sprofondamento del terreno ha causato una catastrofe ambientale di enormi proporzioni, per la rottura di alcuni serbatoi e la conseguente perdita di migliaia di tonnellate di carburante, ovviamente finite nei fiumi e nel mare Artico.

Boom di emissioni di CO2 e metano

La fusione del permafrost, oltre a creare danni seri alle infrastrutture e le strutture elencate, determina anche un altro gravissimo fenomeno, quello delle emissioni di CO2 e metano, che sono stimate crescere a 1.700 miliardi di tonnellate entro la metà del secolo.

Intrappolate per milioni di anni nel ghiaccio sotterraneo, queste sostanze liberate nell’aria contribuiranno in maniera drastica all’aumento delle concentrazioni di gas sera in atmosfera e all’incremento della temperatura media del pianeta nei prossimi anni.

Danni economici crescenti

I danni economici stimati sono di 7 miliardi di dollari solo per la Russia, entro i prossimi 30 anni, ma considerando anche gli altri Paesi, i costi dovrebbero lievitare nell’ordine di decine di miliardi di dollari.

Secondo uno studio del World Economic Forum del 2019, se non si farà qualcosa di concreto in termini di contrasto ai cambiamenti climatici, di riduzione del global warming e di transizione ecologica, tali danni sono stimati aumentare nell’ordine dei 70.000 miliardi di dollari entro i prossimi 100 anni.

Il dato che colpisce di più è che se anche riuscissimo a contenere l’aumento medio della temperatura del pianeta attorno ai +1,5°C, come fortemente suggerito dalla COP21 di Parigi, comunque i danni legati alle anomalie climatiche e al surriscaldamento globale sarebbero superiori ai 24.000 miliardi di dollari a livello mondiale.

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