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Frequenze, le proroghe non piacciono all’Antitrust. Rinnovi futuri a rischio?

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All’AGCM (Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato) la prassi inveterata di prorogare i diritti d’uso delle frequenze radio in generale sicuramente non piace. E’ quanto emerge da un parere inviato dall’Autorità di Piazza Verdi al Mise e all’Agcom, pubblicato ieri sul bollettino, in cui l’Antitrust fa il punto su questa pratica, con qualche distinguo.

In primo luogo, le proroghe creano un problema quando ci sono risorse frequenziali particolarmente scarse e il loro rinnovo “impedisce, pertanto, che il confronto concorrenziale porti all’ingresso di nuovi operatori o all’emergere di operatori più efficienti”.

Il parere dell’AGCM sembra puntare il dito sul recente rinnovo di sei anni (dal 2023 al 2029) dei diritti d’uso delle frequenze 3.4-3.6 Ghz del WiMAX agli operatori Aria (Tiscali), Go Internet, Linkem e Mandarin. Ma in realtà l’obiettivo è molto più ampio e riguarda il meccanismo del rinnovo automatico dei diritti d’uso senza gara.

“Tale prassi” specifica AGCM “ha avuto spesso ad oggetto delle risorse scarse, come ad esempio le frequenze con banda inferiore a 1 GHz, che hanno proprietà di propagazione tali da essere essenziali per la copertura di rete di un operatore nazionale. Ad esempio, i diritti d’uso delle frequenze in banda 900 MHz a Telecom Italia S.p.A. e Vodafone rilasciati nel 1995 e, dopo le proroghe, i diritti d’uso scadranno il 31 dicembre 2029, dopo 35 anni”.

Ben diverso il caso delle frequenze 3.4-3.6 GHz, rinnovate per soli 6,5 anni, e delle bande 700MHz, 3.6-3.8 Ghz e 26 Ghz definite. Per queste frequenze, sottolinea AGCM, le proroghe “intervengono in un contesto di maggiore disponibilità delle risorse frequenziali”.

AGCM batte un colpo anche sul tema del costo delle proroghe, che in prima battuta deve essere allineato al reale valore dell’asset. E’ vero che il valore dello spettro cambia nel tempo, come dimostra l’asta 5G chiusa a 6,55 miliardi di euro.

Ma per fissare il valore dei rinnovi è fondamentale per AGCM anche tenere conto di altri criteri – ad esempio la diversa durata delle licenze – e soprattutto l’utilizzo cui viene destinata la risorsa (scarsa) e il suo riflesso nel recupero degli investimenti.

Un altro aspetto rilevante, secondo l’Autorità, per concedere e quantificare il prezzo di una proroga è “la necessità di perseguire – mediante il rinnovo – obiettivi specifici, come ad esempio il mantenimento del supporto di una determinata tecnologia, il recupero degli investimenti o la permanenza di determinati servizi”, un riferimento calzante per la necessità di dare un adeguato orizzonte agli operatori del WiMAX, per consentire loro di recuperare il ciclo di investimenti per la transizione alla tecnologia LTE.

L’AGCM conclude chiedendo in futuro un ricorso meno frequente allo strumento della proroga.

In definitiva, brutte notizie per gli operatori che tra pochi mesi dovranno chiedere la proroga per le frequenze 2100 Mhz, originariamente utilizzate per 3G e 4G da Tim, Vodafone, Wind Tre e Iliad, ma che sicuramente con la proroga saranno anche autorizzate per il 5G.

Se invece della proroga si arrivasse ad una nuova asta si aprirebbero non poche incertezze, di cui al momento il settore non sente il bisogno.

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