Finestra sul mondo

Francia mediatrice di pace in Libia, Crisi idrica a Roma, Commissario Ue propone flusso controllato dei migranti, Farc entreranno in parlamento colombiano

di Agenzia Nova |

Poteri, economia, finanza e geopolitica nelle ultime 24 ore

Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

Libia, la Francia mediatrice di pace

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – Questa potrebbe essere la volta buona: il quotidiano economico “Les Echos” accoglie con favore l’iniziativa diplomatica del presidente Emmanuel Macron; oggi martedi’ 25 luglio accogliera’ a Saint Cloud, alle porte di Parigi, i due maggiori protagonisti attuali della crisi politica in Libia, cioe’ il capo del governo di “unita’ nazionale” basato a Tripoli e riconosciuto dalle Nazioni Unite, Fayez al-Sarraj, ed il maresciallo Khalifa Haftar, che con le sue truppe controlla la Cirenaica ed altre regioni del vasto paese africano. “Con questa iniziativa”, recita un comunicato del palazzo dell’Eliseo, “la Francia intende facilitare un accordo politico” in grado di avviare la ricostruzione dello Stato libico in sfacelo dopo la caduta di Gheddafi nel 2011. Un obbiettivo che gioca anche su un calendario propizio: il vertice tra i due leader libici infatti arriva proprio nel momento in cui, come sottolinea anche il comunicato dell’Eliseo, il nuovo rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la Libia, il libanese Ghassan Salame’, “prende le sue funzioni di mediatore ed assistera’ alla riunione” di Parigi. A dispetto delle proteste dell’Italia che ritiene di essere stata marginalizzata dall’iniziativa di Macron, come ricorda “Les Echos”, la Francia afferma nel comunicato della presidenza di aver agito “di concerto con tutti i sui partner”: si tratta infatti di ricostruire in Libia un’autorita’ statale “capace di rispondere ai bisogni fondamentali di tutti i libici” e che sia “dotata di un esercito regolare unificato sotto il potere civile in grado di controllarne il territorio e le frontiere, per lottare contro i gruppi terroristici e per contrastare il traffico di armi e di migranti”. Per raggiungere questi obbiettivi, sostiene il quotidiano, la Francia ha effettivamente molte frecce al suo arco a cominciare dalle buone relazioni che intrattiene con molti paesi del Nordafrica; ma dovra’ stare attenta, avverte “Les Echos”, a chiarire la sua posizione rispetto ai due “uomini forti” libici e non dare alcuna impressione di sostenere l’uno o l’altro dei due poli che si contendono il potere in Libia.

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Roma minacciata dalla piu’ grave crisi idrica della sua storia moderna

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – Roma, la citta’ delle fontane e degli acquedotti che non ha mai sofferto di mancanza di acqua, e’ minacciata dalla piu’ grave crisi idrica della sua storia moderna: e’ una constatazione carica di stupore quella che fa il corrispondente del quotidiano francese “Le Monde”, Je’rome Gautheret, nel suo reportage sulla drammatica situazione in cui rischiano di trovarsi gli abitanti della capitale italiana, che potrebbero vedersi tagliare l’acqua per ben otto ore al giorno se entro venerdi’ 28 luglio il Comune, la Regione Lazio e la societa’ Acea non troveranno una soluzione al problema creato da mesi di siccita’. Oltre a Roma pero’, ricorda il giornalista francese, e’ quasi tutta l’Italia che si sta confrontando con la crisi idrica provocata dalla piu’ severa siccita’ degli ultimi 200 anni; e non stupisce, aggiunge, che da diverse settimane il paese sia anche devastato da centinaia di incendi. Aldila’ della contingenza meteorologica tuttavia, sottolinea il “Monde”, la questione sta prendendo una piega tutta politica: i partiti ora si rimpallano la responsabilita’ dell’incuria in cui per troppi anni e’ stato mantenuto il sistema di approvvigionamento idrico italiano, e di Roma in particolare; ben il 44 per cento dell’acqua immessa negli acquedotti romani non arriva a destinazione nelle case, comparato con il 16 per cento ad esempio di Milano. Gautheret sostiene che sarebbe disonesto addossare tutta la colpa della situazione alla sindaca Virginia Raggi del Movimento 5 stelle (M5s), arrivata alla guida del Municipio capitolino nel giugno 2016: tutte le passate amministrazioni sono corresponsabili del fatto che l’Acea, la societa’ che gestisce la rete idrica della capitale ed il cui capitale e’ detenuto al 51 per cento dal Comune di Roma, negli anni abbia trascurato di riparare i tubi e si sia curata soprattutto dei dividendi che vanno ad alleviare l’abissale deficit nelle casse dell’amministrazione della capitale italiana; la Raggi tuttavia, accusa il giornale francese, ha tardato a prendere le misure della catastrofe in arrivo. Ora l’unica speranza di Roma e’ legata al calendario: alla fine di luglio infatti, come tutti gli anni, Roma sara’ abbandonata da centinaia di migliaia di romani che andranno in vacanza e questo dovrebbe diminuire sensibilmente la domanda di acqua; insomma, conclude il “Monde”, ora come ora la sola soluzione alla crisi idrica e’ che una buona parte della popolazione della capitale d’Italia se ne vada dalla citta’.

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Migrazioni, commissario europeo Avramopoulos: “Vogliamo un afflusso controllato verso l’Europa”

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – Dimitris Avramopoulos, 64 anni, e’ il Commissario per le migrazioni e la sicurezza interna della Ue. L’ex diplomatico greco si e’ insediato nel 2014, subito dopo la crisi dei rifugiati e al culmine degli attentati in Europa. In un’intervista rilasciata alla “Sueddeutsche Zeitung” spiega come la crisi migratoria abbia colto di sorpresa le autorita’ comunitarie europee. “Dobbiamo combattere il traffico di esseri umani in modo piu’ efficace”, ammette il diplomatico, pur sottolineando la recente approvazione da parte di Bruxelles del divieto alla vendita di gommoni alla Libia. Avramopoulos elogia le Ong, che a suo dire non sono il problema, ed anzi meritano riconoscenza per la loro opera di soccorso;il commissario, pero’, sollecita l’ue e i paesi membri a sostenere l’Italia nella discussione del nuovo codice di condotta con quelle organizzazioni. Dall’inizio dell’anno gli sbarchi di migranti in Italia sono stati piu’ di 100 mila: “Comprendo cio’ che tormenta l’Italia. Il Paese ha bisogno del pieno sostegno dei suoi partner europei”, afferma per l’ennesima volta il funzionario, che torna anche a citare la redistribuzione dei profughi all’interno dell’Ue e l’esigenza di lavorare all’integrazione. La Commissione ha presentato un piano d’azione con misure di aiuto specifiche per l’Italia, tra cui il rimpatrio di quanti non abbiano diritto all’asilo e un piano di reinsediamento. Prima della deposizione di Muammar Gheddafi l’Italia aveva raggiunto un accordo efficace con la Libia per il respingimento dei migranti, che pero’ non garantiva il rispetto dei diritti umani di questo ultimi, ricorda il commissario. La Ue e’ pronta ad assistere la Libia e lo fa gia’ con la formazione della Guardia Costiera e lavorando assieme all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e l’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr). Tuttavia la situazione rimane critica, e l’assenza di istituzioni di riferimento univoche rende il dialogo quasi impossibile. “Stiamo cercando di creare le condizioni piu’ sicure per il programma di reinsediamento, ma e’ difficile farlo”, ribadisce il Commissario. “La Ue ha bisogno di migranti in futuro. Dobbiamo sviluppare un approccio europeo per percorsi legali verso l’Europa. Vogliamo un afflusso controllato, non incontrollato”, sottolinea. La Ue ha avviato i procedimenti d’infrazione contro Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, che rifiutano il ricollocamento di rifugiati nei loro territori. “Occorre difendere la liberta’ di movimento all’interno della Ue e per far questo occorre aumentare la sicurezza. Per far questo c’e’ bisogno di un maggiore scambio d’informazioni tra Stati e una fiducia comune”, conclude il politico greco.

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Colombia, a settembre il nome del partito con cui le Farc entreranno in Parlamento

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – Il prossimo primo settembre sara’ per la Colombia l’ennesima giornata storica. Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, le temutissime Farc, sveleranno il nome del partito con cui cercheranno di costruirsi uno spazio politico, legale, nel paese. Il processo di pace che si e’ faticosamente chiuso lo scorso anno ha garantito infatti alla ex guerriglia la possibilita’ di ottenere una rappresentanza in Parlamento: dieci seggi divisi tra Camera e Senato, garantiti fino al 2026, da iniziare a riempire alle elezioni presidenziali in avvicinamento. In cambio occorreva lasciare le armi, trasformando la ultradecennale bandiera del cambiamento del paese da lotta armata a lotta politica in senso stretto. Un passaggio del trattato di pace che aveva suscitato timori e perplessita’ gia’ nel momento in cui venne presentato all’opinione pubblica: la garanzia di un posto fisso in Parlamento non risponde alla vera regola democratica e pochi giurano che l’abbandono delle armi, pur se garantito dalle Nazioni Unite, sia integrale ed effettivo. Ma il processo avanza. In questi giorni i vertici dell’organizzazione stanno discutendo i dettagli dell’agenda: alla fine di agosto si celebrera’ il primo congresso nazionale, occasione per mettere a punto un programma politico ed economico che secondo molti echeggera’ quello “neosocialista” che ha fatto la fortuna di Evo Morales in Bolivia, ma ancor piu’ di Hugo Chavez in Venezuela. Il 1 settembre si conoscera’ il nome del partito. “Ci hanno detto ‘signori, scambiate le pallottole con il voto’. Ed e’ quello che ci apprestiamo a fare”, ha spiegato Ivan Marquez, capo delegazione ai negoziati tenuti per anni all’Avana. “Come gli altri partiti”, anche la nuova formazione “avra’ un finanziamento dello Stato e speriamo che lo Stato rispetti l’impegno”, ha proseguito Marquez toccando un altro punto sensibile della questione. Ma d’altro canto, un processo di pace che mette fine a 53 anni di una guerra intestina difficile da dimenticare per numero di morti e ferite reali nel paese e’ pieno di passaggi critici. Dalla firma degli accordi, novembre 2016, sono stati uccisi cinque componenti dell’ex guerriglia – e dieci loro familiari – che avevano deciso di aderire al processo e integrarsi nella vita civile. Scrive il quotidiano “El Pais”, che parte di questi omicidi e’ dovuto al rifiuto opposto dalle vittime alla proposta di reimbracciare le armi, avanzata dalle altre organizzazione criminali. La “manodopera” delle Farc, nel tempo sempre piu’ legata alla criminalita’ comune, continua ad avere “mercato”: “per i guerriglieri comuni c’erano proposte di due milioni di pesos al mese, circa 900 dollari. Per i comandanti medi o specializzati in esplosivi, la cifra era di dieci milioni di pesos, grosso modo 4.500 dollari e per gli alti gradi delle Farc, fino a cinquanta milioni di pesos”. Altri omicidi potrebbero essere spiegati con la lotta che altre potenti organizzazioni criminali legate al narcotraffico hanno aperto per il controllo delle zone della selva ora abbandonate dalle Farc. E mentre il processo di pace con le Farc continua la sua pur difficile marcia, quello con l’altro gruppo terroristico, l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), e’ ancora in gran parte da costruire. IN questi giorni inizia in Ecuador il terzo round di colloqui con il governo e i media locali riferiscono che a breve, in occasione dell’imminente visita del Papa in Colombia, potrebbe registrarsi un cessate il fuoco temporaneo.

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Usa, il nuovo direttore delle comunicazioni di Trump starebbe studiando una “purga” dello staff presidenziale

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – La “Washington Post” scarica nuove indiscrezioni anonime sull’amministrazione del presidente Usa Donald Trump. Dopo aver accusato il presidente di valutare la grazia per se’ stesso o per i suoi collaboratori nell’ambito delle indagini sulla presunta “collusione” con la Russia – un’indiscrezione prontamente smentita dal diretto interessato e dal nuovo direttore delle comunicazioni della Casa bianca, Anthony Scaramucci – il quotidiano ha pubblicato ieri un’altra “rivelazione” di “fonti anonime”, secondo cui proprio Scaramucci, arrivato da soli quattro giorni alla Casa Bianca, starebbe studiando una vera e propria “purga” dello staff presidenziale adibito alle comunicazioni, con l’obiettivo di allontanare chiunque sia ritenuto scarsamente fedele al presidente o sospettato di far trapelare informazioni riservate alla stampa. Secondo la “Washington Post”, Scaramucci si sta avvalendo di “confidenti dentro e fuori la Casa Bianca” per valutare i profili di decine di funzionari addetti alla stampa e alle comunicazioni; il neonominato funzionario starebbe incontrando i sui sottoposti uno a uno “per comprendere il contributo di ognuno” e – sostiene il quotidiano – per scartare “chiunque non stia lavorando a sufficienza per difendere il presidente dalle crisi che lambiscono la Casa Bianca”. Il “rimpasto” intrapreso da Scaramucci, figura vicinissima al presidente in carica, lo avrebbe posto secondo il quotidiano in rotta di collisione con il capo dello staff presidenziale, Reince Priebus; nei mesi scorsi, Scaramucci ha lamentato in diverse occasioni che diversi funzionari della Casa bianca sarebbero impegnati a curare l’immagine di Priebus, anziche’ sostenere l’agenda del presidente. Secondo le “fonti anonime” citate dalla “Washington Post”, alla Casa bianca circolerebbe gia’ una lista di funzionari che hanno collaborato a lungo con lo stesso Priebus e con l’ex portavoce della Casa Bianca Sean Spicer, dimessosi lo scorso fine settimana dopo l’arrivo di Scaramucci: questi funzionari sarebbero i potenziali “bersagli” del rimpasto. Nel fine settimana, ricorda la “Washington Post”, Scaramucci ha inviato un avvertimento insolitamente duro ai suoi nuovi sottoposti tramite le telecamere dell’emittente Fox: “Bisogna fermare le fughe d’informazioni. Sono un uomo d’affari, e sono pronto a intraprendere azioni drastiche per fermarle”. Trump avrebbe gia’ autorizzato il suo collaboratore a intraprendere tutte le misure necessarie. Nel frattempo, l’amministrazione presidenziale e’ alle prese con un altro “fronte caldo”, quello creato dalle durissime critiche di Trump al suo procuratore generale, Jeff Sessions, reo di essersi auto-ricusato dalle indagini sul “Russiagate”, spianando al strada alla nomina di una commissione d’inchiesta speciale. Secondo le succitate fonti anonime della “Washington Post”, Trump e i suoi collaboratori piu’ stretti starebbero discutendo in privato la possibilita’ di rimpiazzare Sessions, e sono gia’ alla ricerca di potenziali successori, in quello che potrebbe essere il rimo passo di un’offensiva diretta del presidente contro il procuratore speciale incaricato delle indagini sulla Russia, Robert Mueller.

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Usa, il Partito democratico prova a riconquistare l’elettorato con un’agenda economica

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – Dopo mesi di dibattito politico monopolizzato e inquinato dalle accuse di “collusione” tra il presidente Usa Donald Trump e la Russia, il Partito democratico ammette che la sonora sconfitta elettorale dello scorso novembre e’ dovuta all’incapacita’ del partito di proporre un’agenda che rifletta le priorita’ e le preoccupazione della maggioranza dell’elettorato statunitense. Il partito prova a correre ai ripari questa settimana, presentando un programma economico di orientamento moderatamente populista, che sotto molti aspetti richiama a quel messaggio che ha consentito proprio al repubblicano Trump di conquistare l’accesso alla Casa Bianca. Il leader della minoranza democratica al Senato, Chuck Schumer, illustra questo programma, battezzato dal suo partito “A Better Deal”, tramite un editoriale sulle pagine del “New York Times”. I cittadini statunitensi, riconosce Schumer, “chiedono a gran voce audaci modifiche alla nostra politica e all’economia. Ritengono, a ragione, che entrambi i sistemi siano truccati a loro sfavore, e hanno chiarito la loro posizione alle elezioni dello scorso anno”. Si tratta di un’ammissione coraggiosa, da parte del leader di un partito che in generale continua ad attribuire la vittoria di Trump alle presunte intromissioni di Mosca nel processo democratico Usa. Ricalcando parola per parola proprio il messaggio di Trump, Schumer scrive che “le famiglie americane meritano un accordo migliore, cosicche’ il paese possa tornare a funzionare per tutti, non solo per le elite e gli interessi speciali”. L’economia e la societa’ statunitense, scrive il Democratico, poggiavano “su un patto di fondo: lavorare duro e giocare secondo le regole davano accesso a una casa, a un’auto, all’universita’ per i propri figli e a una modesta vacanza ogni anno, accantonando al contempo risparmi per una pensione confortevole”. Nella seconda meta’ del secolo scorso “milioni di cittadini americani hanno conseguito questo stil di vita della classe media”. Da diversi anni, pero’, “le cose sono cambiate”. Oggi i cittadini statunitensi “vivono in uno stato di incertezza per il futuro che non ha precedenti dai tempi della Grande depressione”. E le istituzioni, per troppo tempo, “hanno piegato le regole in favore dei ricchi e dei potenti, scaricando sempre piu’ peso sugli americani che lavorano”. Il Partito democratico, che ormai da anni trascura queste questioni fondamentali in favore di un’agenda incentrata sulle questioni climatiche, identitarie e di genere, secondo Schumer ha deciso di svoltare pagina. “I Democratici dimostreranno al paese di stare dalla parte dei lavoratori, e di perseguire tre semplici obiettivi. Primo, aumenteremo i salari. Secondo, ridurremo le loro spese quotidiane. E terzo, forniremo ai lavoratori gli strumenti di cui necessitano nell’economia del XXI secolo”. Nel corso dei prossimi mesi, annuncia il senatore, i Democratici “avanzeranno una serie di politiche che, se attuate, concretizzeranno questi tre obiettivi”. Schumer ne anticipa alcune: la creazione di posti di lavoro tramite un piano per le infrastrutture da mille miliardi; l’aumento dei redditi tramite l’aumento del salario minimo a 15 dollari l’ora; e l’abbassamento delle spese familiari tramite l’introduzione dei congedi familiari e per malattia retribuiti. Schumer ieri ha illustrato questo “Patto migliore” con l’elettorato assieme ad altri leader democratici, durante un evento nel cuore rurale della Virginia; ed e’ significativo che lo scorso fine settimana Schumer abbia rivolto una frecciata persino a Hillary Clinton: “Quando si perde un’elezione contro un candidato che gode della fiducia di appena il 40 per cento dell’elettorato (Trump, ndr) non si punta l’indice contro qualcos’altro – Comey, la Russia… – ma contro se stessi. (…) La gente non sapeva per cosa ci battessimo, soltanto che eravamo contro Trump. E credo che lo stesso valga ora”. Nell’editoriale sul “New York Times”, Schumer tocca altre questioni che stanno a cuore alla larga maggioranza dell’elettorato: il costo elevato dei medicinali, il bassissimo tasso di partecipazione alla forza lavoro; avverte pero’ che i Democratici sono in minoranza in entrambe le camere del Congresso, e per questa ragione non possono garantire “l’approvazione delle nostre priorita’ gia’ da domani”: un chiaro invito ai cittadini statunitensi ad appoggiare il suo partito alle elezioni di medio termine del prossimo anno.

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Spagna, patto “storico” per combattere la violenza di genere

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – Dopo sei mesi di dibattiti, 66 udienze di esperti e una ultima otto ore di dibattito senza interruzioni, il Parlamento spagnolo ha finito il testo guida per il nuovo patto di Stato contro la violenza di genere. Il voto definitivo arrivera’ venerdi’, ma l’unanimita’ raggiunta nella sottocommissione ad hoc fa pensare che il grosso del lavoro sia stato fatto. I partiti “hanno siglato un accordo storico con il quale sperano di trasformare una delle maggiori piaghe del paese in una cosa del passato”, scrive il quotidiano “El Pais”. Solo quest’anno 32 donne e sei minorenni sono stati assassinati, ricorda la testata segnalando che le violenze hanno creato 16 orfani minori di 18 anni. Il testo prevede ben 200 misure d contrasto e prevenzione al fenomeno e mette a disposizione un miliardo di euro perche’, nei prossimi cinque anni, la legge possa essere applicata in ogni sua parte. La legge contempla “misure per prevenire la violenza maschilista sin dalla scuola, ampliare la protezione e cambiare i criteri di identificazione delle vittime” includendo anche coloro che non hanno ancora presentato la denuncia penale. A queste, e ai loro figli, verranno inoltre assicurate maggiori misure di sicurezza. Cuore del provvedimento, e scenario delle maggiori dispute tra i partiti, e’ l’articolo uno della legge, quello che si incarica tra l’altro di definire il termine stesso di “violenza di genere”. Il movimento antisistema di Podemos, segnala la testata, avrebbe voluto allargare il concetto “oltre l’ambito delle coppie o ex coppe e a ogni genere di violenza contro le donne”. Alla fine ci si e’ ispirati alla convezione di Istanbul che la Spagna ha ratificato nel 2014: si considera violenza contro la donna quella che comporta danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica. L’accordo unitario trovato tra le forze politiche, fatto questo che tutti i media celebrano con soddisfazione, prevede anche misure per proteggere le vittime delle tratte degli esseri umani e dei matrimoni forzati. Tra le misure maggiormente attese c’e’ quella che introduce nei pronto soccorso e nei trattamenti sanitari di base un protocollo grazie al quale i medici potranno identificare e tenere traccia di possibili violenze. Le vittime verranno accompagnate in maniera “permanente” da apposite unita’ di appoggio e dal punto di vista penale si prospetta la fine dell’attenuante della confessione. E oltre le tante misure immaginate per la prevenzione, il patto apre anche alla possibilita’ di tipificare reati in ambito digitale in modo che offese e calunnie online non siano solo qualificate come infrazioni lievi.

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Regno Unito, Labour diviso sull’unione doganale

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – Le questioni del mercato unico e dell’unione doganale dividono il vertice del Labour, principale partito di opposizione del Regno Unito. Il segretario ombra al Commercio, Barry Gardiner, in un articolo pubblicato sul quotidiano “The Guardian”, sostiene che restare nell’unione doganale dopo l’uscita dall’Unione Europea sarebbe un “disastro” perche’ con un accordo simile a quello della Turchia il paese si troverebbe in una posizione debole. Il segretario ombra per la Brexit, Keir Starmer, e la segretaria ombra agli esteri, Emily Thornberry, sono convinti, invece, che la Gran Bretagna possa negoziare condizioni piu’ favorevoli. “La maggior parte degli accordi commerciali nascono dal desiderio di liberalizzare gli scambi, rendere piu’ facile vendere beni e servizi in altri mercati. Questo non vale per la Brexit. La Brexit nasce da obiettivi politici piu’ che commerciali: avere il controllo delle nostre frontiere, la sovranita’ sulle nostre leggi, non sottostare alla Corte europea di giustizia e non pagare un contributo al bilancio europeo”, premette Gardiner. Pur essendosi schierato sul fronte “Remain” nella campagna referendaria dell’anno scorso, il politico ritiene che questi obiettivi saranno “i parametri in base ai quali gli elettori giudicheranno le future relazioni che saranno negoziate con l’Ue”. Al tempo stesso, prosegue l’esponente laborista, e’ necessario tentare di mantenere i vantaggi economici del mercato unico, ma scegliere di fare parte dello Spazio economico europeo significherebbe pagare un prezzo politico alto e andare contro “i quattro obiettivi dei Leaver”: il Regno Unito dovrebbe accettare le liberta’ di circolazione e quindi non riprenderebbe il controllo delle frontiere ne’ della sovranita’ nazionale, continuerebbe a essere soggetta alla giurisdizione della Cgue e a contribuire al bilancio comunitario; inoltre, non essendo piu’ membro dell’Ue, “diventerebbe in effetti uno Stato vassallo”, senza voce in capitolo su leggi e regole. Riguardo alla permanenza nell’unione doganale come paese esterno all’Ue, continua Gardiner, la Gran Bretagna non parteciperebbe alle decisioni sulle tariffe e non potrebbe concludere accordi bilaterali separati. L’ipotesi, a suo parere, e’ accettabile per una fase di transizione, ma non come fine in se’, perche’ “precluderebbe accordi indipendenti con i cinque maggiori mercati di esportazione al di fuori dell’Ue (Stati Uniti, Cina, Giappone, Australia e Stati del Golfo Persico)”. Il politico sottolinea, poi, che il Regno Unito sarebbe svantaggiato se l’Ue negoziasse un accordo con gli Usa, perche’ dovrebbe “accettare i prodotti statunitensi senza alcuna garanzia di reciprocita’”. Un’asimmetria di questo genere e’ esemplificata dal caso della Turchia, che importa auto dal Messico senza dazi, ma li paga per esortare il suo tessile. In conclusione, per Gardiner il Labour non deve cercare di adattarsi a “inadeguate strutture esistenti”, ma “sviluppare una visione positiva per il futuro del paese fuori dall’Ue”, “coerente con gli obiettivi di chi ha votato Leave, senza sacrificare i diritti e le tutele, come i conservatori minacciano di fare”, “una visione che rassicuri anche chi ha votato Remain che l’accesso senza frizioni al mercato unico a lungo goduto puo’ in gran parte essere mantenuto”.

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Regno Unito, i Lord mettono in guardia da un accordo con gli Usa che abbassi gli standard sulla sicurezza alimentare

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – Il segretario al Commercio Internazionale del Regno Unito, Liam Fox, riferisce il quotidiano britannico “The Independent”, in visita a Washington per avviare una trattativa per un accordo commerciale con gli Stati Uniti in vista della Brexit, ha liquidato come un “dettaglio” e “un’ossessione dei media” l’ipotesi di consentire in Gran Bretagna la vendita di pollame di importazione Usa trattato col cloro, vietata invece nell’Unione Europea. Nel governo di Londra, e tra gli stessi Brexiter, la questione potrebbe essere motivo di divisione. Il segretario all’Ambiente, Michael Gove, ha recentemente assicurato che gli standard in materia di sicurezza alimentare “non saranno allentati in alcun modo”. Un portavoce di Downing Street, tuttavia, ha dichiarato che la controversia e’ solo “ipotetica” e ha rifiutato di escludere modifiche alle regole sulla qualita’ degli alimenti attualmente in vigore, pur affermando che e’ prioritario mantenere la sicurezza alimentare e la fiducia dei cittadini. Proprio oggi sull’argomento e’ stato pubblicato un rapporto della commissione Energia e ambiente della Camera dei Lord, secondo il quale aprire le porte a prodotti statunitensi di bassa qualita’ sarebbe un disastro per l’agricoltura nazionale: gli agricoltori e gli allevatori britannici non sarebbero competitivi rispetto alla concorrenza di produttori di merci di costo e qualita’ inferiori e si innescherebbe una corsa al ribasso sugli standard, che ora sono i migliori al mondo. A dibattito ha preso parte anche Meurig Raymond, presidente della National Farmers Union (Nfu), l’associazione di categoria, per il quale e’ in gioco la fiducia dell’opinione pubblica nella qualita’ del cibo britannico, nella tracciabilita’ dei prodotti dal campo alla tavola.

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La Turchia ritira le accuse alle aziende tedesche

25 lug 10:52 – (Agenzia Nova) – La Turchia ha ritirato il controverso elenco di quasi 700 aziende tedesche che accusava di “finanziare il terrorismo”, a causa dei loro presunti legami con l’organizzazione del predicatore Fethullah Gulen, accusato da Ankara di aver pianificato il tentativo di golpe dello scorso anno. Lo ha annunciato un portavoce del ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maizi’ere (Cdu) lunedi’ a Berlino. Il ministro dell’Interno turco ha chiarito in una conversazione telefonica con il suo omologo tedesco un “problema di comunicazione”, ha detto de Maiziere. La scorsa settimana era stato il quotidiano “Die Welt” a riferire dell’esistenza della lista che era stata consegnata alle autorita’ federali. Inizialmente si parlava di 68 aziende tedesche, tra cui la Daimler e la Basf, coinvolte in presunto favoreggiamento del terrorismo ai danni della Turchia; poi il numero era salito addirittura fino a 700 nominativi. L’intera questione, negli ambienti governativi di Berlino, era stata definita “assurda” e “ridicola”. La Polizia giudiziaria aveva chiesto alle autorita’ turche maggiori informazioni, ma non aveva ricevuto risposta. Il ministro dell’Economia turco, Nihat Zeybekci, aveva quindi negato la scorsa settimana l’esistenza di una lista nera. Il governo federale aveva annunciato un cambiamento di rotta nella politica nei confronti della Turchia la scorsa settimana. Il ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel (Spd), aveva spronato le aziende del paese a riconsiderare i loro investimenti in Turchia, ed aveva sconsigliato ai turisti tedeschi di visitare quel paese. Il capogruppo parlamentare dell’Unione Volker Kauder ha dichiarato alla rete televisiva “Ard”: “Sappiamo che la Turchia ha problemi economici significativi. Ecco perche’ la leadership locale e’ anche cosi’ sensibile quando la Germania esorta i viaggiatori ad essere prudenti nel visitare il Paese”. Anche il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble (Cdu) aveva fortemente criticato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan:. “Mette in pericolo la partnership secolare tra la Turchia e la Germania”, ha dichiarato al quotidiano “Bild”. L’Spd aveva chiesto una posizione piu’ rigida nei confronti di Erdogan da parte del governo.

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