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Franceschini: “Riforma del copyright? Il Parlamento approva la legge la prossima settimana”

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Il Ministro Franceschini in audizione parlamentare annuncia un imminente “Rinascimento” per la cultura italiana: il “Recovery Fund” prevede 5,6 miliardi di euro. Basteranno per superare il deserto, in assenza di una riforma della governance?

Sarebbe interessante conoscere quanti sono gli italiani che si sono sintonizzati sulla Web Tv della Camera dei Deputati e su Radio Radicale, che hanno trasmesso in diretta la lunga audizione del Ministro della Cultura Dario Franceschini di fronte alle commissioni Cultura di Camera e Senato riunite assieme: temiamo siano state poche decine (al netto dei parlamentari presenti), e noi siamo – nel bene e nel male – tra loro…

L’intervento del titolare del Mic è stata incentrata sulle linee programmatiche del suo dicastero anche in relazione ai contenuti della “Proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” alias “Pnrr”, alias “Recovery Fund”.

Abbiamo ascoltato con attenzione l’intera audizione, le domande, le risposte, per quasi tre ore (per la precisione 2 ore e 51 minuti): abbiamo tratto l’impressione di un Ministro senza dubbio attento e sensibile rispetto alle tematiche che governa, ma non siamo riusciti a cogliere una strategia di rigenerazione del sistema e di rilancio di lungo periodo.

Riteniamo che la pandemia e la crisi che ha determinato in tutti i settori della società e dell’economia avrebbe potuto provocare una riflessione profonda (finanche autocritica) sulle politiche culturali nazionali (stesso discorso vale – sia ben chiaro – per il sistema mediale e digitale), mentre questa “occasione” non è proprio stata colta. Almeno finora.

Nessuna riflessione autocritica, ed invece rinnovate politiche “contingenti”, dettate dall’emergenza e dall’esigenza di iniettare nel sistema culturale ulteriori risorse pubbliche.

Si è ancora in tempo, ovviamente, dato che il “Recovery Plan” è ad oggi un documento molto generico, che traccia linee di indirizzo discretamente vaghe.

Per ora, una “manna” di risorse pubbliche, come ha confermato il Ministro nell’audizione di ieri.

Franceschini (Mic): “Dobbiamo attraversare questo deserto e 5,6 miliardi non sono pochi”

Dario Franceschini ha mostrato un evidente ottimismo, sostenendo – sia consentito – non senza retorica “io sono convinto che, finita la crisi, nel mondo della cultura ci sarà una sorta di Rinascimento”. Ha aggiunto: “dobbiamo attraversare questo deserto, sapendo che la ripresa ci sarà.. ci sarà una spinta verso la ricerca di consumi nuovi, e credo ci sia grande spazio per la cultura, e per la cultura italiana in particolare”.

Ce lo auguriamo tutti, anche se temiamo che non sarà necessariamente così, date le politiche repressive che il Governo italiano ha assunto nella gestione dell’emergenza pandemica, tendendo al “chiudere tutto”, a fronte di decisioni radicalmente altre assunte da altri Paesi (in particolare quelli scandinavi): queste politiche repressive (ed autoritarie) hanno determinato uno sconvolgimento dei ritmi esistenziali di tutti i cittadini, hanno modificato abitudini e tradizioni, hanno fatto spostare i consumi culturali sulla fruizione di audiovisivi attraverso gli schermi televisivi incrementando molto la domanda in modalità streaming… Hanno represso la vita sociale ed hanno costretto alla modalità “via web”. Cosa accadrà allorquando riapriranno cinematografi e teatri, non è dato sapere. Quest’anno di vita “in clausura” potrebbe aver modificato molto più profondamente di quel che si pensi la psiche (e la psico-sociologia) ovvero “il senso della vita” di molte persone… Nelle more, il Ministro annuncia – ovvero conferma – una iniezione corposa di risorse pubbliche: “nel Piano nazionale di ripresa e resilienza resta una parte importante per la cultura che, al momento, perché è una proposta, tolta la parte turismo è di circa 5 miliardi e 600 milioni di euro”.

Abbiamo osservato il distacco (eleganza?!) con il quale Dario Franceschini ha segnalato la separazione delle politiche per il turismo da quelle per la cultura, allorquando lui stesso è sempre stato fautore di una sinergia tra i due settori. 

Il sempre latente rischio di deriva economicista delle politiche culturali

Il Ministro ha richiamato una tesi che gli è cara: la cultura come volano dell’intera economia nazionale: “è fondamentale che la cultura sia mantenuta al centro dell’agenda politica ed economica del Paese”, ricordando la frase che disse in occasione del suo primo insediamento, “mi trovo a guidare il ministero economico più importante del Paese”. Una “frase che vale ancora – ribadisce Franceschini – e gli investimenti nel settore non sono solo un dovere costituzionale ma anche una grande risorsa per la crescita economica del Paese”. 

Abbiamo più volte segnalato, anche su queste colonne, il nostro dissenso rispetto a questa visione, che tende a determinare inevitabilmente una deriva economicista delle politiche culturali: è certamente corretto osservarle anche dal punto di vista della loro funzione economica, ma riteniamo debba invece prevalere la funzione sociale, di coesione, integrazione, stimolazione del pluralismo espressivo, giustappunto di democrazia culturale.

A fronte di una contestazione da parte del Responsabile Cultura di Fratelli d’Italia, il deputato Federico Mollicone, che ha gridato allo scandalo per la riduzione dei fondi, il Ministro ha precisato che: “sul Recovery Plan, non c’è nessun calo. Erano 3 miliardi nella prima bozza, poi sono diventati 8. Visto che sono stati creati due ministeri, i capitoli del turismo sono andati al nuovo ministero del Turismo, 2,40 miliardi. Ma in totale restano 8 miliardi”.

Arrotondando (miliardo più, miliardo meno…), Franceschini ha poi sostenuto che ne avrebbe voluti “di più”, ma “a me non sembrano pochi 6 miliardi”.

Montevecchi (M5S): “5 miliardi per la cultura, stiamo salendo su una Smart non una Ferrari”

Rispetto all’entità del “budget cultura” del “Recovery Plan”, vogliamo fare comunque nostra la battuta della senatrice grillina Michela Montevecchi: “con cinque miliardi, io mi sentirei di dire quasi con certezza che stiamo salendo su una Smart per ripartire, non su una Ferrari, quindi la prima la prima osservazione che le faccio è: si batta per avere più risorse finanziarie, perché con più risorse finanziarie sicuramente riusciremo a destinare più danari a tutti i progetti”.

Quel che non siamo riusciti a cogliere è la strategia complessiva dell’azione governativa e ministeriale: questi danari verranno ri-assegnati con le logiche pre-esistenti, che non brillano certamente per analisi di scenario, identificazione dei bisogni attuali e latenti e emergenti, e per valutazioni di impatto?!

La domanda è: cambierà, si evolverà la “politica culturale” nazionale o si ripercorreranno le solite vie, i metodi di sempre, che non si caratterizzano certo per ricerca di efficienza, efficacia, equità, trasparenza?!

Lattanzio (Pd): “una riflessione sui nuovi modelli di governance della cultura”

Durante le quasi tre ore di riunione di ieri, di fatto un parlamentare soltanto ha affrontato, pur velocemente, la questione delle modalità di “governo” delle risorse pubbliche a favore della cultura: il deputato Paolo Lattanzio (eletto nelle fila del M5S, ma ora nel Partito Democratico), ha  infatti auspicato “una riflessione sui nuovi modelli di governance per la cultura”. Magari fosse, dato che il dicastero ci sembra assai centrato nell’osservazione del proprio ombelico, in una autoreferenzialità conservatrice. “Io credo che il Pnrr ci dia la grande opportunità di ragionare su scala europea – ha sostenuto Lattanzio – e quindi inserire progetti caratterizzati da nuove modalità di governance”. Ha segnalato come con il “decreto Rilancio”, sia stata già recepita l’idea del mecenatismo diffuso ed ha rimarcato come “anche in quelle progettualità innovative che parlano di prossimità e di territorialità all’interno del Piano sia importante concentrarsi sugli aspetti di governance”. 

I cordoni della borsa, insomma, si allargano, senza dubbio, anche se sfugge il senso, la strategia (perché viene allocato “x” al settore “alfa”? perché 10 e non 100?!): nella parte finale dell’audizione, il Ministro ha sciorinato una serie di dati, elencando cifre di budget e settori di allocazione… 

Abbiamo anche immaginato la faccia dei liberisti del “think-tank” Ibl, ovvero della Fondazione Istituto Bruno Leoni, che da sempre contesta l’eccessivo intervento della mano pubblica in tutti i settori dell’economia italiana (ed anche nello specifico culturale)… E si ricordi che l’economista dell’Ibl Serena Sileoni è stata cooptata nello staff del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi

Una articolata “manna”, in attesa del Pnrr: oltre 50 decreti per risorse emergenziali: dal cinema ai “live club” ai cori

A latere del dibattito su “Recovery”, ad un certo punto Franceschini ha ricordato che non era intenzionato a leggere l’elenco degli oltre 50 decreti che hanno già assegnato risorse emergenziali a tanti settori del sistema culturale nazionale, anche “per quelle categorie che non hanno mai avuto sostegno da parte dello Stato”: ed ha letto, con tono monotono, queste cifre:

  • arene cinematografiche estive, 2 milioni di euro; 
  • norme “intermittenti”, 9,6 milioni; 
  • distribuzione cinematografica, 25 milioni; 
  • esercizio teatrale, 14 milioni; 
  • cori e bande, 1 milioni; 
  • fondazioni lirico-sinfoniche, 20 milioni; 
  • cinema e audiovisivo, 125 milioni; 
  • industria fonografica, 5,3 milioni; 
  • Istituto Luce, 25 milioni; 
  • rievocazioni storiche, 1,1 milioni; 
  • filiere dello spettacolo (trucco e parrucco inclusi e sartorie), 5 milioni; 
  • “live club” (che non hanno mai preso un euro dallo Stato), 10 milioni;  
  • ristoro scritturati della musica danza e circo, 17,1 milioni; 
  • ristoro scritturati teatro, 18 milioni; 
  • sale cinematografiche, 100 milioni; 
  • scuole di danza, 10 milioni; 
  • soggetti extra-Fus, 53 milioni;  
  • sostegno “collective” e autori, 15 milioni; 
  • autori, artisti interpreti, 30 milioni; 
  • spettacolo viaggiante, 15 milioni; 
  • teatri e danza, 13 milioni; 
  • acquisto libri biblioteche, 30 milioni; 
  • mostre autunnali, 22 milioni; 
  • mostre estive, 43 milioni; 
  • musei non statali, 103 milioni; 
  • piccoli editori, 10 milioni; 
  • ristoro concerti annullati, 22 milioni; 
  • ristori “live club” (un secondo intervento), 15 milioni;
  • ristoro editori arte e turismo, 12 milioni; 
  • ristoro eventi sportivi, 1 milione; 
  • ristoro operatori servizi museali, 10 milioni; 
  • “tax credit” librerie, 10 milioni; 
  • traduttori editoriali, 5 milioni…
  • (…)

E l’elenco potrebbe continuare: “come vedete abbiamo cercato di coprire attraverso tutto”, attraverso una serie di “tavoli” con le categorie…

Il Ministro ha poi affrontato una serie di temi, tra i quali l’auspicabile riduzione dell’Iva per il settore dello spettacolo dal vivo, la necessità di rafforzare l’organico del Ministero, la “Digital Library”, e tanti altri ancora, ma qui ci piace segnalare quel che ha sostenuto su tre temi più volte affrontati da “Key4biz”: la piattaforma ItsArt, le prospettive di Cinecittà Istituto Luce, i progetti speciali del Ministero…

La piattaforma “ItsArt”: ha una funzione “integrativa”, non “sostitutiva”

In primis, la vicenda controversa di “ItsArt”, la mitica piattaforma di Cassa Depositi e Prestiti e Chili, nota come “la Netflix della cultura”, che ambisce a divenire “la Disney della cultura” (così nelle parole dell’Amministratore Delegato di Chili Giorgio Tacchia): il Ministro ha rimarcato come la funzione della piattaforma sia integrativa, rispetto all’economia del sistema culturale italiano, e certamente non sostitutiva (sull’argomento, vedi, da ultimo, “Key4biz” del 9 marzo, “ItsArt, le authority (Agcm e Agcom) benedicono la Netflix della cultura”).

La legge (che lui stesso ha voluto) ha assegnato la realizzazione del progetto a Cdp, che “autonomamente ha costituito una società, ha scelto con una procedura selettiva il partner privato… in tutte queste procedure, il ministero non c’entra”. Sarà. Ed ha spiegato: “l’idea è di offrire non una cosa sostitutiva (perché nessuno pensa di sostituirlo spettacolo dal vivo con un’offerta in streaming), ma di offrire un’integrazione, che intanto potrebbe aiutare gli incassi di un teatro che, anche quando riaprirà, da 1.000 posti magari può portarne soltanto 200 in sala, e quindi può integrare la vendita dei biglietti; in secondo luogo, può diventare in modo permanente un modo di promuovere la cultura italiana nel mondo, perché, se tu hai una piattaforma che offre la cultura italiana e teatro prosa danza musica e concerti di musica contemporanea lirica nel mondo, è un veicolo di promozione; inoltre può affiancare all’offerta tradizionale – che nessuno, per carità di Dio!, vuole togliere – la possibilità di vedere lo stesso spettacolo che vedi stando in sala…”. Il Ministro ha ricordato che ci sono altri “player” in gioco: “purtroppo ci sono stati altri, perché i privati sono più veloci del pubblico…”, correggendosi subito “no, ‘purtroppo’ è sbagliato… mentre siamo partiti, altri privati all’estero e anche in Italia adesso sono partiti con cose molto simili… hanno meno vincoli, e quindi sono partiti più velocemente”.

Perché non è entrata la Rai? “Ne avevo parlato a lungo in Commissione Vigilanza, e quindi mi rifaccio al verbale di quel dibattito… non abbiamo accertato il coinvolgimento della Rai fino ad oggi… poi vedremo… ci ha risposto che nella sua ragione sociale non entra la possibilità di vedere spettacoli a pagamento non prodotti da lei”. Ha però precisato che “l’ipotesi di coinvolgimento della Rai, del servizio pubblico secondo me resta attuale troveremo le forme per farlo”.

Ci piace qui rimarcare che nessuna norma di legge, né la Convenzione né il Contratto di Servizio in essere impediscono a Rai di entrare con un ruolo attivo nel “business” cui punta ItsArt, e ci auguriamo che la convergenza auspicata non resti una pia intenzione.

Cinecittà: 300 milioni di euro, ma per quale rigenerazione?!

Il Ministro non ha aggiunto nulla di nuovo, rispetto a quel (poco) che è dato sapere fino ad oggi (vedi “Key4biz” del 15 gennaio 2021, “Recovery Plan, 300 milioni per il rilancio di Cinecittà”), ovvero che “c’è un progetto per Cinecittà, che è tornata interamente pubblica e oggi ha prenotazioni a uno e due anni di distanza. Da un lato con risorse ordinarie abbiamo immaginando un ampliamento, e poi con Cassa Depositi e Prestiti stiamo ragionando di rafforzare il suo ruolo, ampliare le aree e fare un grande investimento nel cinema e nell’audiovisivo che diventerà uno dei settori trainanti dei prossimi anni”. 

A quanto ci è dato sapere, la situazione economico-finanziaria degli “studios” di via Tuscolana non è esattamente delle migliori, e francamente non riusciamo a comprendere quale sia il “posizionamento” di mercato che si prevede per la nuova struttura, rispetto al mercato internazionale. 

In verità, non riusciamo nemmeno a capire quali sarebbero le aree, ovvero i terreni sui quali potrebbe intervenire Cdp… Insomma, per ora si tratta di una prospettiva assai generica (anzi fumosa), a fronte di un intervento di 300 milioni di euro nel “Recovery Plan”. 

Che sia stata affidata a McKinsey o Boston Consunting Group (Bcg) uno studio di fattibilità per il grandioso rilancio annunciato?! Si ricordi che Franceschini affidò proprio a Bcg un progetto di rilancio del sistema museale italiano (vedi “Key4biz” del 7 ottobre 2019, “Economia dei musei in Italia, numeri in libertà al ministero?”)… Attendiamo lumi.

I “progetti speciali” del Ministero: non li sceglie più il Ministro?!

Infine, in risposta ad una domanda del deputato Luigi Casciello (Forza Italia), in relazione ai criteri di assegnazione dei fondi per i “progetti speciali” del Ministero, ovvero “i fondi direttamente a sua disposizione” (la legge recita in verità “su iniziativa del Ministro”), Dario Franceschini ha risposto in modo piuttosto sbrigativo: “i fondi speciali: abbiamo cambiato le regole, ora c’è un bando il bando, le domande vengono valutate dalla Commissione, quindi sostanzialmente non c’è più nessun potere del ministro nell’individuazione dei progetti speciali”. Tesi ardita, per quanto ci è dato sapere. E quell’avverbio (“sostanzialmente”) preoccupa un po’, ma, a questo punto, per comprendere il vero funzionamento del sistema, si dovrà attendere la risposta del Ministro all’interrogazione presentata dalla senatrice Paola Binetti (Udc-Forza Italia) il 2 marzo scorso (vedi “Key4biz” del 4 marzo, “ItsArt, Franceschini risponde a Barachini. Binetti chiede trasparenza su sovvenzioni alla Cultura”).

Avremo occasione di tornare su altre questioni interessanti che il Ministro ha affrontato: dal decreto che rende operativa l’estensione del “tax credit” anche ai videogames al database di cui ora dispone il Mic in relazione ai lavoratori dello spettacolo in qualche modo atipici e precari… 

Senza dimenticare la riforma del copyright, che riguarda evidentemente anche il ruolo della Società Italiana Autori Editori (Siae): in argomento, Franceschini ha sostenuto: “mi risulta che il Parlamento approvi la legge delega la prossima settimana magari, poi ci sono novanta giorni dopo l’approvazione, in cui deve essere fatto il decreto”.

Da segnalare anche che, a fronte della aspra critica da parte della senatrice Margherita Corrado (espulsa nel febbraio 2021 dal M5S, attualmente nel Gruppo Misto), il Ministro ha mostrato un guizzo di fastidio: gli è stata contestata la modificazione della denominazione del dicastero, da Ministero per il Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (Mibact) a Ministero della Cultura (Mic). Nessuno ha in verità notato la differenza tra la preposizione “per” e la preposizione “con”, che pure riteniamo dovrebbe invece essere analizzata criticamente, ma questo è un altro discorso…

Franceschini ha sostenuto che “dietro a un cambiamento del nome, da ministero dei beni e delle attività culturali a ministero della cultura, più comprensibile e chiaro come la politica ha il dovere di fare, non si nasconde un ‘orrido disegno’ di smontare i principi della tutela dei beni e di mercificare la cultura. Accetto anche le offese, ma pensarlo resta offensivo ed è inoltre francamente esagerato costruire su questo un dibattito ideologico”. Ideologico forse no, ma semantico sì, ci verrebbe da commentare, perché – à la Nanni Moretti – le parole sono importanti!

Sarà interessante seguire il dibattito parlamentare sul “Recovery Fund”, augurandoci che l’apporto del Parlamento possa rendere il documento meno generico e meno fumoso.

Clicca qui, per la videoregistrazione (e per la trascrizione automatica) dell’audizione del Ministro della Cultura Dario Franceschini sulle linee programmatiche del suo dicastero anche in relazione ai contenuti della proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), di fronte alle Commissioni Cultura di Camera e Senato riunite, 17 marzo 2021