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Filtro Antiporno e tutela dei minori online, osservazioni sull’art. 7 bis Decreto legge Giustizia

La legge n. 70 del 25 giugno 2020 di conversione del D.L. n. 28/2020 “Misure urgenti in materia di intercettazioni, di ordinamento penitenziario, di giustizia civile, penale, amministrativa e contabile e per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19” ha introdotto, nel precedente testo, l’art. 7 bis che istituisce al primo comma l’obbligo per i soggetti che somministrano comunicazioni elettroniche diprevedere tra i servizi preattivati, sistemi di parental control o di filtro di contenuti inappropriati per i minori e di blocco dei contenuti riservati ad un pubblico di età superiore agli anni diciotto” .

La norma vuole contrastare gli altissimi costi sociali derivanti dal danno alla salute dei minori provocato da un’esposizione a contenuti violenti e pornografici o comunque inappropriati allo sviluppo equilibrato della personalità ancora in formazione, come denunciato nel pubblico dibattito dal Movimento Italiano Genitori e dal suo direttore Antonio Affinita.

Dal punto di vista giuridico la norma di legge primaria può ben modificare la posizione soggettiva dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica, di cui al Codice delle comunicazioni elettroniche D.Lgs. 259/2003, onerandoli di adottare misure di prevenzione che possano evitare il pericolo che i minori d’età assistano a contenuti non consoni alla loro crescita e maturazione psico-fisica.

Sebbene siano state sollevate obiezioni all’adozione dell’emendamento citato, in quanto addosserebbe ai fornitori suddetti una responsabilità pari a quella degli editori, sembra invece allo scrivente che possa respingersi agevolmente tale controdeduzione, proprio richiamando la normativa europea e quella nazionale ad essa conforme.

I rilievi di Assoprovider e le perplessità di Agcom possono essere risolti osservando che, qualora il superiore interesse del minore enunciato dalla Dichiarazione dei diritti del Fanciullo 1989 e dalla nostra Carta Costituzionale, richieda la previsione legislativa di obblighi in capo ad alcuni stakeholders, portatori di un diverso e pur rilevante interesse, quello di mercato e quindi di rango inferiore rispetto al preminente interesse del minore, questo deve, nel bilanciamento tra i due, certamente prevalere, come stabilito espressamente dalla Carta di Nizza art. 24, comma 2:In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente”.

L’art. 7 bis in questione non entra affatto in contrasto con il Regolamento 2015/2120 del 25.11.2015 poiché questa normativa “stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta …” e prevede espressamente tre eccezioni rispetto al generale obbligo dei fornitori di servizi di accesso a internet di “trattare tutto il traffico allo stesso modo, sinteticamente descritte come segue: 1) la necessità di conformarsi al diritto dell’Unione, ad esempio alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, o alla normativa nazionale; 2) l’esigenza di “proteggere l’integrità o la sicurezza della rete”; 3) la prevenzione di “un’imminente congestione della rete”.

L’interesse superiore del minori integra una fattispecie rientrante nella prima categoria di eccezioni che esonerano i fornitori di servizi di connessione dall’obbligo di gestire il traffico “allo stesso modo”.

Pertanto, ad avviso dell’esponente, una norma che imponga obblighi in capo ai fornitori di servizi di accesso ad internet di bloccare determinati contenuti deve essere ritenuta legittima ove ricorra uno dei seguenti presupposti:

1) la norma in questione debba uniformarsi ad “atti legislativi dell’Unione, o alla normativa nazionale conforme al diritto dell’Unione, (ad esempio relativa alla legittimità di contenuti, applicazioni o servizi o riguardante la sicurezza pubblica)… quando sia in gioco il superiore interesse del minore, ai sensi dell’art. 24 della Carta di Nizza;

2) la norma sia richiesta dal coordinamento con il “diritto penale, che impone, ad esempio, il blocco di specifici contenuti, applicazioni o servizi”.

Appare pertanto superabile il prefigurato presunto contrasto tra normativa italiana e normativa europea, considerato che le clausole eccezionali previste dal Regolamento su un’Internet aperta costituiscono il fondamento di legittimità di una normativa interna che prescriva obblighi ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica di bloccare specifici contenuti, applicazioni o servizi.

1) Tutela del superiore interesse del minore nelle comunicazioni elettroniche.

A livello europeo la tutela del minore è prevista come obiettivo di interesse generale della disciplina dei contenuti trasmessi o pubblicati tramite servizi di comunicazione elettronica o servizi audiovisivi dalla “Direttiva Quadro” Direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.

Nei “considerando” nn. 5 e 6 della Direttiva Quadro è enunciato il principio della uniformità della disciplina dei contenuti di tutti i mezzi di comunicazione elettronica considerato che “La convergenza dei settori delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell’informazione implica l’esigenza di assoggettare tutte le reti di trasmissione e i servizi correlati ad un unico quadro normativoLa separazione della disciplina dei mezzi di trasmissione dalla disciplina dei contenuti non incide sul riconoscimento dei collegamenti fra i due aspetti, in particolare al fine di garantire il pluralismo dei mezzi di informazione, la diversità culturale e la protezione dei consumatori … La politica audiovisiva e la regolamentazione dei contenuti perseguono obiettivi di interesse generale, quali la libertà di espressione, il pluralismo dei mezzi di informazione, l’imparzialità, la diversità culturale e linguistica, l’inclusione sociale, la protezione dei consumatori e la tutela dei minori.

La protezione dei minori dinanzi alla possibile trasmissione di contenuti pornografici e violenti è prescritta a livello del Consiglio d’Europa da specifica Convenzione sulla televisione transfrontaliera STE n. 132 del 5 maggio 1989 la quale all’art. 7 par. 2 statuisce che: “Gli elementi dei servizi di programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, psichico e morale dei fanciulli o degli adolescenti non debbono essere trasmessi quando questi ultimi, a causa dell’orario di trasmissione e di ricezione, li possano guardare”.

L’obiettivo è fatto proprio anche dalla normativa europea vincolante, in particolare è oggetto di tutela specifica da parte della direttiva 2010/13/UE “Direttiva sui servizi di media audiovisivi”, Bruxelles, 4 maggio 2012, in particolare nei “considerando” nn. 12, 47, 59 e 60 ed in particolare nel testo all’art. 4 par. a), i) che consente deroghe al principio di libertà di ricezione e ritrasmissione negli Stati Membri quando sia necessario alla tutela dei minori; ed all’art. 12 che prescrive l’obbligo per gli Stati di impedire l’esposizione dei minori a programmi che possano nuocere al loro sviluppo: “Gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che i servizi di media audiovisivi a richiesta forniti da un fornitore di servizi di media soggetto alla loro giurisdizione che potrebbero nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori siano messi a disposizione del pubblico solo in maniera tale da escludere che i minori vedano o ascoltino normalmente tali servizi di media audiovisivi a richiesta”.

Il Capo VIII della stessa Direttiva 2010/13/UE intitolato “Tutela dei minori nelle trasmissioni televisive” con l’articolo 27 detta una disciplina specifica: “1. Gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che le trasmissioni televisive delle emittenti soggette alla loro giurisdizione non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita. 2. Le misure di cui al paragrafo 1 si applicano anche agli altri programmi che possono nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minori che si trovano nell’area di diffusione vedano o ascoltino normalmente tali programmi. 3. Inoltre, qualora tali programmi siano trasmessi in chiaro, gli Stati membri assicurano che essi siano preceduti da un’avvertenza acustica ovvero siano identificati mediante la presenza di un simbolo visivo durante tutto il corso della trasmissione”.

Può pertanto essere superata anche l’ultima obiezione, in base alla quale un obbligo normativo di bloccare determinati contenuti costituirebbe una limitazione della libertà dei cittadini, poiché limitazioni della libertà dei cittadini sono legittime solo per adempimento di obblighi di rango superiore ai quali lo Stato si è vincolato in virtù della firma di Trattati e Convenzioni: “L’obbligo di rispettare il diritto dell’Unione si riferisce, tra l’altro, al rispetto dei requisiti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea riguardo alle limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali. Come previsto dalla direttiva 2002/21/CE del Parlamento e del Consiglio, qualsiasi misura in grado di limitare tali  diritti o libertà fondamentali deve esser imposta soltanto se appropriata, proporzionata e necessaria nel contesto di una società democratica e se la sua attuazione è oggetto di adeguate garanzie procedurali conformemente alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Regolamento 2015/2120/UE “considerando” n. 13).

Peraltro nell’ordinamento italiano già esiste una norma interna, l’art. 34 del Testo Unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici D. Lgs. n. 177/2005 (d’ora in poi TUSMAR) rubricata “disposizioni a tutela dei minori”, che stabilisce l’obbligo delle emittenti televisive di adottare accorgimenti tecnici al fine di impedire che i minori siano fruitori di contenuti ad essi inadeguati.

Lo stesso Codice delle comunicazioni elettroniche all’art. 70 stabilisce alcuni obblighi ai fornitori di servizi di connessione ad una rete di comunicazione elettronica e prevede che i contratti con i consumatori debbano contenere, su richiesta dell’Autorità preposta al settore in Italia, AGCOM, ulteriori informazioni (cfr. art. 70, comma 3). Se la legge primaria ha dettato una dettagliata disciplina dei contratti tra consumatori e fornitori di servizi di accesso ad internet, nulla osta che un atto posteriore dello stesso rango nella gerarchia delle fonti imponga, de jure condendo, ulteriori obblighi agli ultimi senza affatto intaccare, con questo, le competenze dell’AGCOM.

2) Normativa penale

Nel contesto del Consiglio d’Europa la Convenzione di Lanzarote ratificata in Italia dalla l. 1 ottobre 2012 n. 172 all’art. 22 prevede la fattispecie di Corruzione di bambini che impone agli Stati obblighi di protezione: “Le parti adotteranno le necessarie misure legislative o di altro genere al fine di considerare reato penale il fatto intenzionale di far assistere, a fini sessuali, un bambino che non abbia raggiunto l’età fissata … anche senza che egli partecipi ad abusi sessuali o ad attività sessuali”.

L’ordinamento italiano prevede apposite fattispecie di reato volte a proteggere il sereno ed equilibrato sviluppo della personalità del minore e ad impedire l’esposizione ad atti osceni e a contenuti inadeguati:

 soccorre allo scopo non solo l’art. 609 quinquies “Corruzione di minorenne”, ma anche la norma dell’art. 527 codice penaleAtti osceni” dalla quale si ricava che il legislatore ha considerato meritevole di tutela l’interesse dei minori a non subire violenza nella sfera psico-sessuale e a non dover essere oggetto di abuso anche nella forma della costrizione ad assistere ad attività sessuale di altri.

Al fine della configurazione del reato descritto dall’art. 527 del codice penale rubricato “Atti osceni”, con l’aggravante prevista dal secondo comma ovvero di  aver commesso il fatto in luoghi abitualmente frequentati da minori, è sufficiente la ricorrenza della condizione di pericolo: “Per la sussistenza del reato, occorre inoltre accertare che dal fatto derivi il pericolo che i minori assistano a detti atti; essendo elemento espresso di fattispecie, il pericolo deve essere oggetto di una puntuale verifica in sede giudiziale; il giudice, pertanto, deve appurare, al momento del fatto, l’effettiva presenza di minori in uno dei luoghi indicati dalla norma, a nulla rilevando che poi concretamente uno o più minori abbiano effettivamente assistito al compimento di detti atti, essendo sufficiente il pericolo che ciò potesse accadere. In altri termini, nella base del giudizio di pericolo occorre considerare la presenza di due o più minori, mancando la quale è escluso il pericolo che i minori possano assistere alla realizzazione, da parte dell’agente, di atti osceni” (Cass. pen. 43542/2019).

Minori e cyberspazio

L’ordinamento pertanto punisce il fatto di aver commesso atti osceni più gravemente sulla base della valutazione di pericolo, ovvero del giudizio probabilistico che nel luogo commissi delicti potrebbero trovarsi dei minori ad assistere: come non configurare anche la rete ed il cyberspazio come quel luogo frequentato dai minori?

Considerando che il bambino che è esposto alla pornografia a 6-7 anni è segnato gravemente e che la gravità del fenomeno è comprovata dall’aumento dei “centri di riabilitazione psicologica dei minori vittime di pornografia su internet”, allora una previsione normativa che imponga a tutte le categorie economiche di porre in essere misure idonee alla prevenzione della disponibilità ai minori su internet di contenuti inappropriati è del tutto legittima ed anzi doverosa.

Se attualmente unica modalità di affrontare il rischio di esposizione dei minori alla pornografia tramite internet è la preinstallazione di filtri, app di parental control sui devices alla fonte, l’aspetto della convenienza economica deve necessariamente passare in secondo piano.

Paragonando il sistema internet ai sistemi di gestione delle normativa sui modelli organizzativi, si ravvisa senz’altro l’opportunità e doverosità di ordinare a tutti i soggetti che fanno parte del sistema, compresi i fornitori di comunicazioni elettroniche, di porre in essere ogni attività volta a impedire la verificazione del rischio di esposizione dei minori a contenuti violenti, inappropriati o pornografici, considerato che i minori non possono proteggersi da sé..

Appendice normativa

«Art. 7-bis (Sistemi di protezione dei minori  dai  rischi  del cyberspazio).

1. I  contratti  di  fornitura  nei   servizi   di comunicazione elettronica disciplinati dal codice di cui  al  decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, devono prevedere  tra  i  servizi preattivati sistemi  di  controllo  parentale  ovvero  di  filtro  di contenuti inappropriati  per  i  minori  e  di  blocco  di  contenuti riservati ad un pubblico di eta’ superiore agli anni diciotto.

2. I servizi preattivati di cui al  comma  1  sono  gratuiti  e disattivabili  solo  su  richiesta  del  consumatore,  titolare   del contratto.

3. Gli  operatori  di  telefonia,  di  reti  televisive  e  di comunicazioni elettroniche assicurano adeguate forme  di  pubblicita’ dei servizi preattivati di cui al comma 1 in modo da assicurare che i consumatori possano compiere scelte informate.

4. In caso di violazione degli  obblighi  di  cui  al  presente articolo, l’Autorita’ per  le  garanzie  nelle  comunicazioni  ordina all’operatore la cessazione della condotta e  la  restituzione  delle eventuali somme ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando in ogni caso un termine non inferiore a  sessanta  giorni  entro  cui adempiere».

Per approfondire

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