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AssetProtection. Fenomeno Blue Whale, è giunta l’ora di un’educazione civica digitale?

#f57, #f58, #i_am_blue_whale, #curatorfindme sono gli hashtag per entrare nel tunnel di un gioco sociale perverso, mortale: quello della Balena Blu. Sembra sia nato in Russia già da qualche anno, per poi diffondersi nel resto d’Europa. Alcuni giovani tra i 9 e i 17 anni, dopo aver attivato il meccanismo attraverso l’inclusione degli hashtag sopra riportati in un post, vengono contattati tramite social network da un curatore che impartisce loro macabre istruzioni – si devono procurare incisioni sulla pelle, vedere film horror, ascoltare musica triste – sino a condurli, nel cinquantesimo giorno, al suicidio, rigorosamente documentato attraverso un video.

E non possono abbandonare il percorso: pena pesanti minacce di ritorsione sui propri cari. Così, inspiegabilmente, come alcune balene decidono di suicidarsi dirigendosi verso la riva e spiaggiandosi, giovani vite volgono al termine, lasciandosi cadere nel vuoto dai palazzi più alti della città, in un alone di subdolo plagio psichico e follia estrema delle menti che hanno architettato tutto questo.

Di notizie al riguardo su internet se ne trovano a iosa, anche grazie a due servizi mirati realizzati dalle Iene. Ma la questione che lascia ancor più sorpresi – parliamo delle morti suicide di oltre 160 giovani ragazzi non ufficialmente riconducibili al Blue Whale, anche se accomunate da circostanze simili – è il tema sul quale s’è concentrata l’attenzione dei media. Invece di parlare delle possibili soluzioni applicabili e diffonderle, alcuni hanno scelto di gridare alla bufala.

Così ci si distrae su di un tema, quello delle fake news,  piuttosto che lavorare tutti insieme per arginare il fenomeno nel modo più concreto possibile. Anche se c’è poco da discutere dal momento che la Polizia di Stato, nonostante gli accertamenti ancora in corso sul caso di Livorno, ha preso in seria considerazione la questione, raccogliendo e gestendo decine di segnalazioni.

La sicurezza non è un faccenda che riguarda solo il business, anzi. Ed è proprio in questi casi che le persone, le famiglie, gli amici devono imparare rapidamente a comportarsi e ad agire nel modo più costruttivo possibile, senza lasciare nulla al caso, coordinando in equilibrio operazioni di ascolto e reazione sia dal punto di vista umano che tecnologico. Il MOIGE, Movimento Italiano Genitori Onlus, sottolinea l’importanza di osservare e monitorare eventuali comportamenti anomali dei figli, senza però entrare in conflitto con loro.

Per evitare il conflitto è necessario saper ascoltare ed, in alcuni casi, osservare in silenzio. Il monitoraggio dei contenuti pubblicati dai propri figli sui social network, ad esempio, può risultare un’attività decisiva per individuare eventuali situazioni di pericolo.

Da queste indicazioni, pur di massima, scaturiscono due ulteriori osservazioni: una correlata al contrasto che sussiste tra diritto alla privacy dei minori ed il dovere di custodia responsabile dei genitori sui propri figli, l’altra legata alla carenza di mezzi disponibili nella scuola per affrontare un dialogo costruttivo sul digitale – sociale con gli studenti e le famiglie.

La prima questione, se tentiamo di inquadrarla in un momento storico ante social network, si tradurrebbe facilmente in: “apro o non apro il diario segreto di mio figlio, nel caso in cui qualcosa mi insospettisse?”. Adesso ci sono di mezzo le password. E per i social un ragazzo, già dai 13 anni, ha diritto ad esporsi in rete e mantenere la propria privacy secondo i criteri che ritiene opportuni, anche tagliando fuori i genitori.

Questo anche se in Italia è considerato maggiorenne, ed i genitori non sono più responsabili per le sue scelte, solo dopo i 18 anni. Diciamo che le piattaforme sociali potrebbero proporre una giusta mediazione, introducendo qualche funzione di controllo o monitoraggio speciale per i genitori, già che non sembra siano ancora in grado di controllare alla fonte la pubblicazione di contenuti pericolosi o addirittura criminali.

La seconda questione: una volta a scuola si studiava l’educazione civica. Ora è il momento di passare all’educazione civica digitale, con un approccio focalizzato sulla sicurezza. Altrimenti mancano gli strumenti per sostenere ed incoraggiare il dialogo necessario tra l’istituzione scolastica, la famiglia ed i ragazzi, elemento chiave per prevenire e disarmare alcuni dei fenomeni che mettono a rischio i nostri figli.

Forse dietro i salti nel vuoto di quei giovani ragazzi non c’è solo la follia, la perversione. C’è anche un po’ della nostra incapacità ed inadeguatezza.

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